Vittorio Zincone, Sette 24/10/2014, 24 ottobre 2014
«A FORZA DI CHIUDERE GLI OCCHI, L’ILLEGALITÀ È DIVENTATA CONVENIENTE»
[Sandro Veronesi]
Sandro Veronesi ha 55 anni e 5 figli. Vive tra Roma e Prato. Ha vinto il premio Campiello con La forza del passato e il premio Strega con Caos calmo. Ha scritto per tutte le principali case editrici e insieme con Domenico Procacci ne ha fondata una: Fandango Libri. Ora è sbarcato nelle librerie con Terre rare (Bompiani). Il protagonista è Pietro Paladini, già presente nel suo volume di maggior successo. Un sequel, quindi. Domando: «Mentre scrivevi Caos calmo avevi già in mente Terre rare?». Risponde: «No. Non ho quella capacità straordinaria di J. K. Rowling che ha immaginato sin dal primo libro la saga letteraria di Harry Potter. Mi è venuto in mente di scrivere il secondo tempo della vita di Paladini mentre guardavo il film. Prima avevo pensato di partire dalla celebre scena di sesso che è interpretata da Nanni Moretti e da Isabella Ferrari per raccontarne le conseguenze nelle vite dei personaggi. Ne ho parlato con Nanni e lui mi ha sconsigliato di fossilizzarmi su quel fotogramma. Poi ho cambiato rotta. È venuto fuori un romanzo sulla rimozione e sul passato che reclama i conti da pagare».
Il volume si apre con una citazione di Javier Marías: «Il mondo dipende dai suoi relatori e anche da quelli che ascoltano il racconto e a volte lo condizionano». La citazione giusta per le nostre due ore di conversazione, invece, sarebbe di Corrado Alvaro: «La disperazione più grave che possa impadronirsi d’una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile». La rettitudine perduta, la superfetazione dell’illegalità e l’impossibilità di vivere una vita esemplare sono leitmotiv veronesiani. Dice: «Sto lavorando a una lettura teatrale, ragionata, del Vangelo secondo Marco. Lì vedi davvero che cos’è la rettitudine: un uomo, Gesù Cristo, che sceglie di farsi umiliare ed è talmente superiore che non viene capito».
Lei considera se stesso un paladino della rettitudine?
«Mi sforzo. Ho costruito apposta un personaggio/antidoto che è figlio di questo tempo: permeabile al male banale. Una persona che potrebbe essere esemplare, che potrebbe resistere, ma cede, perché è sin troppo facile».
Un personaggio che è anche l’italiano tipo?
«Questo è un Paese dove alcuni vecchietti di Prato danno qualche moneta ai tossicodipendenti perché vadano a rubare al posto loro nei supermercati».
Per fame.
«Certo, c’è la crisi. Ma non c’è più la limpidezza neorealista dei Ladri di biciclette. Lì si rubava per necessità, ma con sofferenza e con vergogna, perché si era consapevoli di commettere un reato e di ledere la propria dignità. Ora si manda qualcun altro e gli si danno i soldi per bucarsi. Quindi per uccidersi».
Il (non) Belpaese.
«Abbiamo chiuso gli occhi su talmente tanti cattivi comportamenti che l’illegalità è diventata conveniente, oltre che diffusissima. Spesso siamo costretti a pensare che se non fossimo ligi forse vivremmo meglio».
Non esageri.
«Ha presente quella frase orrenda sulle tasse che si sente ogni tanto? Fino a luglio lavoro per lo Stato e solo ad agosto comincio a guadagnare… Ormai la sento dire anche a molti amici di sinistra».
E che cosa gli risponde?
«E no, cari miei, voi con lo Stato avete fatto un patto. Fate parte di una comunità e quindi, idealmente, lavorate per la comunità tutto l’anno».
Faccia un po’ il guru. Come ne usciamo?
«Partecipando. E insegnando alle nuove generazioni a partecipare di più alla vita sociale. A interessarsi a ciò che accade davanti ai loro occhi».
Lei apre Terre rare proprio con questo argomento: sui media si diffonde una leggenda metropolitana incontrollata…
«…perché Paladini decide di non dire pubblicamente che cosa è successo di fronte al suo negozio di automobili. Se avesse parlato il libro non avrebbe avuto ragione d’essere».
Quel capitolo sembra anche una critica al sistema di informazione: i tam tam incontrollati, le notizie non verificate…
«Da qualche anno il livello di entropia delle informazioni è fuori controllo: siamo sommersi da news non richieste, non necessarie e non volute. E in questa giostra incontrollata finiamo per non verificare nulla e smettiamo di fare le domande più importanti».
Una domanda importante…
«Dov’è il nostro oro? Dove si trova la riserva aurea della Banca d’Italia? Siamo sicuri di esserne ancora in possesso?».
Sembra una domanda da maniaco dei complotti.
«Sulle riserve auree sono un po’ paranoico».
È diventato un po’ grillino?
«Non so se qualcuno del Movimento Cinque Stelle abbia mai fatto questa domanda in Parlamento. In ogni caso non credo che in politica esistano più le rendite di posizione».
Posizioni. Lei si presentò alle primarie di Prato del primo piddì veltroniano.
«Ero in lista con un gruppo di extra-comunitari, per sensibilizzare la città sul tema dell’immigrazione. Il discorso veltroniano del Lingotto mi aveva entusiasmato».
Ora il Pd scrive le riforme con Berlusconi.
«La prima volta che mi sono indignato per Berlusconi risale al 1994. Quando vidi che nessuno si incatenava al portone di Montecitorio per non farlo entrare».
Ha trasmesso questa avversità per Berlusconi ai suoi figli?
«I miei figli in età da voto sono post ideologici. Non criticano Alfano per la sua trascorsa militanza berlusconiana, ma per il suo essere più bigotto del Papa. Ridono ogni volta che lo vedono. Fanno parte di una generazione definita “dei bamboccioni”, ma non lo sono affatto… Se stanno a casa dei genitori è solo perché gli affitti sono troppo alti. Alla politica chiedono di fare qui quello per cui hanno studiato».
Oggi sembra difficilissimo.
«E allora partono. Non si illudono di avere, in Italia, una pensione o l’articolo 18. Sanno bene che uno Stato che non riesce a pagare delle tapparelle a un suo fornitore difficilmente gli potrà garantire certi diritti».
Lei era adolescente negli anni Settanta.
«Non sono mai stato iscritto al Pci e non ho frequentato né Lotta Continua né Potere Operaio. Mi chiamavano il socialista, ma non ho mai votato per Craxi. In compenso negli ultimi trent’anni ho visto scivolare chi mi stava a sinistra sempre più a destra».
Lei ha un clan di amici?
«Il più antico è Umberto, fa il direttore di banca. Un uomo esemplare».
A cena col nemico?
«A parte i ricercati dalla Polizia e le persone violente non c’è qualcuno con cui non andrei a cena».
Andrebbe anche con Berlusconi?
«Ci sono stato a metà anni Novanta. Dopo una partita di calcio. Ero consulente di Telepiù».
Che cosa c’entra lei con Telepiù e con il calcio?
«Davo consigli. Per esempio: sono stato io a indicare Beppe Bergomi come possibile commentatore calcistico».
La cena...
«Dopo un trofeo “Luigi Berlusconi” andammo al ristorante Giannino. Ci sedemmo a una grande tavola a forma di ferro di cavallo. Oltre a noi di Telepiù, c’erano Berlusconi con i figli, Moggi, Giraudo, Galliani. Ennio Doris trascorse la serata cercando di convincermi ad aprire un conto nella sua banca».
Lei di che cosa parlò con Berlusconi?
«Io non ci parlai. Intorno a me era tutto un fiorire di battute, barzellette... Si parlava soprattutto di donne. Uno a uno si avvicinavano a Berlusconi... Lui si piegava verso l’interlocutore di turno porgendo l’orecchio, parlottavano qualche minuto e... avanti il prossimo. Una scena da film».
Il libro preferito?
«Sotto il vulcano di Malcolm Lowry».
La canzone?
«Pyramid Song dei Radiohead».
I Radiohead sono la sua ossessione. Imperversano anche in Caos calmo.
«In Terre rare c’è molta più musica pop».
Terre rare sarà un film?
«È un po’ presto per dirlo».
Il suo film preferito?
«Il buio oltre la siepe di Robert Mulligan».
Che cosa guarda in tv?
«Soprattutto sport. Tennis, calcio…».
Ora spopolano le fiction americane.
«Guardo True detective. Molto bella, piena di parole».
Le piacerebbe scrivere una fiction?
«Una storia molto piena di parole potrei sperimentarla. Per bisogno si fa tutto. Ma mi considero una pippa».
Conosce l’articolo 3 della Costituzione?
«È quello sul lavoro?».
No, parla di uguaglianza. Quanto costa un pacco di uova?
«Un euro e mezzo».
Fa la spesa?
«Nei tre giorni a settimana che vivo a Prato, sì».
Sa dove si trova il Kurdistan?
«Tra la Siria, la Turchia e l’Iraq. Purtroppo c’è un popolo di curdi, ma non esiste ancora uno Stato curdo».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Trasferirmi a Roma nel 1986».
L’errore più grande che ha fatto?
«Non dire alcuni no».
Mi fa un esempio?
«Sono cose private. Le basti sapere che un “NO” me lo sono fatto tatuare sul polso destro».