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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

I MIEI TRUCCHI PER FAR RIUSCIRE UNA FESTA


Duemila feste: tante, una più una meno, ne ha organizzate, quasi tutte memorabili e tutte accomunate dall’effetto sorpresa. Gli invitati vanno stupiti, solo così non si annoieranno: ecco il segreto valido per tutte le stagioni e per tutte le serate mondane. Buttate via il galateo, ignorate le regole antiquate delle buone maniere, date alla gente quello che non si aspetta: «Non sono i soldi a decidere la riuscita di una festa. Ma la persona che la organizza».
Non è solo un frizzante e astuto invito alla leggerezza, un peana al superfluo, ma anche un vero manuale carico di consigli pratici Party! L’arte del divertimento il libro di Elsa Maxwell che viene oggi stampato per la prima volta in Italia (Elliot, pp. 260, euro 16,50, traduzione di Manuela Francescon). Un libro per certi versi attualissimo. Per niente attuali invece, nel senso che la loro stirpe è da considerarsi estinta, sono i suoi amici, i suoi ospiti, i suoi eleganti compagni di merende, cocktail, tè delle cinque, cene in piedi, pranzi mascherati, balli in diadema, cacce e cacce al tesoro. Dal divino Cole Porter al figlio dell’Aga Khan, dalla duchessa di Windsor a Somerset Maugham, da Clark Gable a Maria Callas, di cui Elsa, la vipera di Hollywood, era perdutamente, e inutilmente, innamorata.
La più grande arrampicatrice sociale del XX secolo, partita da Keokuk nell’Iowa e diventata una celebrity planetaria, venuta dal niente, bruttissima e «somigliante a una cuoca nel giorno di libera uscita» come la etichettò Diana Vreeland, conosce bene la materia che tratta, essendo lei stessa la burattinaia di quei mirabolanti ricevimenti di cui è anche la feroce cronista e la bizzosa Pr.
«Festicciole senza pretese e banchetti pantagruelici» li definisce Elsa Maxwell, zarina senza rivali del gossip da jetset. Essere la regista di quei party è per lei «pura gioia, puro piacere». In fondo un ricevimento ben riuscito ha molto in comune con un’esistenza di successo: «Qualcuno ha detto che la vita stessa» scrive la Maxwell «altro non è che una festa: uno ci arriva che è già cominciata e se ne va quando non è ancora finita». A farle un upgrading in questo firmamento di frivolezze è stato lo scrittore americano Frederik Lonsdale: «Elsa ha bussato alla porta della storia e ha segnato parte del secolo coi suoi ricevimenti. La sua fama è legata a mille e una festa – e non se ne ricorda una noiosa».
Come si bussa alla porta della storia con in mano una tartina e nell’altra un calice di champagne? Usando l’immaginazione. Fu così che Elsa trasformò la molto formale e molto raffinata Sala della Giada del Waldorf Astoria a Manhattan in un angolo di campagna poiché la festa era a tema bucolico, con tanto di veri maiali (dodici, governati da un vero porcaio fatto arrivare dall’Ohio), balle di fieno, carretti, alberi di melo e di pero, un pozzo che non dava acqua ma birra, due mucche vere e una di cartapesta da cui, insolito bar, si poteva mungere whisky o Dom Perignon. A questo inconsueto Barnyard party Cecil Beaton si presentò mascherato da spaventapasseri con due passeri impagliati sulle spalle. E duecento uccelli che gorgheggiavano a squarciagola, chiusi in gabbia e a fine serata regalati agli ospiti come cotillon, fu la sorpresa di Elsa alla festa in onore dell’adorato Cole Porter, sempre al Waldorf, ma nella Sala Impero. Al ballo di beneficenza April in Paris, coraggiosamente abbigliata da marajà, la Maxwell decide di stupire gli invitati fra cui la regina Giuliana d’Olanda facendo partecipare alla festa alcuni elefanti. L’enorme quantità di cacca scaricata dai pachidermi sui marmi e sui tappeti persiani verrà giudicata foriera di buona fortuna.
A parte gli effetti speciali, il segreto di una festa riuscita è mescolare con intelligenza gente molto diversa, ma ognuno deve portare il suo valore aggiunto. Che a tavola siedano teste coronate o nuovi ricchi, la padrona di casa dovrà fare attenzione al passaggio più delicato, la fine del pasto: «Dopo cena può esserci un momento morto. La novità è svanita, la conversazione potrebbe iniziare a vacillare, la noia a stendere un velo di polvere su stomaci e menti appagate. Bisogna prepararsi a gestire la bonaccia che segue la gozzoviglia». Altro consiglio di Miss Maxwell: «Se organizzate una festa in casa, per l’amor di Dio, tenetene fuori i bambini. Anche i più portati per la vita sociale sono per la maggior parte della gente una vera iattura».
Stesso trattamento viene suggerito per cani e gatti: l’ideale è «isolarli in cantina». Fate sparire anche eventuali parenti: «Credetemi, nessuno muore dalla voglia di conoscerli».
Se a Washington in genere le feste «sono un puro e semplice esercizio di noia che si ripete quasi sempre uguale a se stesso», che divertente organizzare un crociera-party promozionale (pro turismo) su una nave a vapore, l’Achilleus messa a disposizione gratis da Niarcos, con a bordo due carissimi amici, le loro maestà Paolo e Federica di Grecia. Un mezzo fallimento invece (ma non l’aveva ideata lei) la megafesta di ambientazione ispanica in Costa Azzurra con mille invitati starring Pablo Picasso con sombrero e chitarra e Jean Cocteau vestito da torero. Era in programma anche un breve combattimento fra due tori, che però all’ultimo saltò: «Sono stati i tori ad assestare il colpo finale. Quando è venuto il loro momento erano troppo annoiati per battersi».
È fin troppo prodiga di consigli pratici, la Maxwell, dai trucchi per avere sempre una conversazione brillante («Costruitevi un repertorio di aneddoti») a come neutralizzare un seccatore a una festa. Da come mettere alla porta un imbucato, a come rendere innocuo un ospite che ha alzato un po’ troppo il gomito o a come scoraggiare quello che lei definisce un marpione, sarebbe a dire un invitato un po’ troppo galante che allunga lascivamente le mani sulle signore. Altra raccomandazione: invitate sempre più uomini, «Dio ci scampi dalle donne sole».
Ma ben più interessante dei decaloghi è il carosello del c’era questo c’era quello, cui Maxwell la parvenue indulge buttando lì solo nomi altisonanti: quel pranzo da Charles Bestegui nel suo castello di Groussay, la serata romana dall’ambasciatrice Claire Booth Luce, quanto è buono il borsch a casa di Artur Rubinstein a Park Avenue. E ancora: le cene epicuree ma mai per più di otto persone da Diana Vreeland, le imprevedibili feste in una delle venti ville di Aly Khan, quella partita a bridge con Winston Churchill, il quale le lascia un insegnamento di cui la Maxwell farà tesoro: «Puntare sempre una cifra superiore a quella che ci si può permettere di perdere. Solo così si impara».
A concludere il libro un ricettario d’eccezione, sempre che possa interessare come Claudette Colbert cucinasse le lumache all’aglio, Joan Fontaine l’aragosta alla creola, Clark Gable il piccione ripieno di riso e di mandorle.
Laura Laurenzi