Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 24/10/2014, 24 ottobre 2014
GLI STRESS TEST PER LE BANCHE EUROPEE E LA VIGILANZA CHE PASSERÀ ALLA BCE: È UN MOMENTO CRITICO PER L’ECONOMIA EUROPEA. I RISULTATI DELLE VALUTAZIONI SUI GRANDI ISTITUTI POTREBBERO MINARE LA STABILITÀ DELL’AREA EURO
Sta per entrare nel vivo l’unione bancaria; il 4 novembre la vigilanza sulle grandi banche dell’eurozona passerà dalle banche centrali statali alla Bce. Prima di prenderle in carico, essa le sta esaminando con la European Banking Authority (Eba), che scrive le regole per le banche europee; il 26 ottobre, finito lo stress test , sapremo se hanno abbastanza capitale. Chi denoterà carenze ( shortfall se si zoppica in italiano), avrà poco tempo per annunciare i rimedi escogitati.
La Ue ha già deciso che a pagare eventuali nuovi salvataggi saranno prima i soci, poi obbligazionisti e depositanti oltre 100 mila euro. È il bail in , paga chi è «dentro», mentre con il bail out, paga chi sta fuori, il contribuente; solo dopo che gli in abbiano subito perdite pari all’8% dell’attivo potrà subentrare il Meccanismo Unico di Risoluzione (Mur) europeo. A regime avrà 55 miliardi: non è la solida rete di sicurezza chiesta dalla Bce per garantire capitale a chi non lo troverà sul mercato.
Ciò può ridurre la libertà d’azione della nuova vigilanza, e invece la Bce deve partire con il piede giusto. Non può sbagliare, specie in questa fase; nuocerebbe alla sua credibilità, anche in politica monetaria. Quando nel 2011 l’Eba rese pubblici gli stress test , fu rampognata perché non c’era un’adeguata rete di sicurezza. Dopo tre anni ancora non ci siamo. Serve attenzione in una fase delicata, per i riflessi sul corso delle azioni e la stabilità. La Bce sta informando riservatamente le banche sui risultati degli esami; le notizie vanno subito date, le voci infondate (o interessate), sanzionate. Ieri il mercato mormorava su Banca Mps, domani chissà: la Consob ha inviato alle banche istruzioni riservate (ardue da decifrare) per comunicare l’esito degli esami e commentare le voci. Ci s’è messo anche il Global Financial Stability Report del Fondo Monetario Internazionale, per cui il 60% degli attivi dell’eurozona fa capo a banche che, guadagnando poco o dovendo ricapitalizzare, non possono fare nuovo credito. Sarebbe utile se la Bce annunciasse che esercizi simili, magari meno intensi, saranno ripetuti con frequenza: scemerebbe la pressione mediatica sull’annuncio dei risultati.
Non si parlasse di banche, sarebbe semplice; se una società quotata deve aumentare il capitale, lo dice e l’azione andrà su o giù. Una banca però vive di fiducia, può crollare se questa manca, magari per voci infondate, con danni per tutto il sistema. La stabilità di questo può urtare con la trasparenza; il diritto del mercato all’informazione può danneggiare le banche. È interessante il caso del portoghese Banco Espirito Santo (Bes). Stufa dell’opaca gestione della famiglia controllante, in agosto la banca centrale ha trasferito a un Novo Banco (finanziato da Stato e banche per 5 miliardi) le attività valide, insieme a depositi e obbligazioni senior. Ancora a luglio, il Bes aveva raccolto capitale per 1 miliardo e venduto obbligazioni junior, arpionando agli sportelli i malcapitati che il mese dopo son rimasti in trappola nel Bes. È stata la prova del bail in, pur se Lisbona non ha tirato «dentro» gli obbligazionisti senior, come vorrebbe lo schema Ue. Non si sono chiesti al Mur soldi e i titoli di Stato portoghesi non han subito danni, ma han pagato gli investitori, immolati per la stabilità. L’unione bancaria serve anche ad evitare nuovi casi simili: finché tutto grava sulle finanze statali, la connivenza dei regolatori è un rischio e sempre prevarrà la «legge marziale» di stabilità. È stato l’imminente passaggio al vigilante unico a causare la sfilza di ricapitalizzazioni nell’eurozona (60 miliardi in 12 mesi) e le pulizie pasquali dei bilanci, premessa per la ripresa dell’offerta (pur se non della domanda) di credito. Non avevano più senso diciotto diversi regolatori per le grandi banche: per di più nel mercato unico Ue!
Non tutte le tessere sono ancora a posto, ma l’unione bancaria lascia il porto. Per investire le imprese han però bisogno di capitali propri, senza i quali le banche (o il mercato) non le finanzieranno: serve a questo la Capital Markets Union evocata da Jean-Claude Juncker, nuovo presidente della Commissione Ue, i cui contorni sono ancora vaghi. Speriamo non sia un modo per addolcire un Regno Unito sempre più malmostoso nella Ue.
Per lo studio «Deleveraging? What deleveraging?» (Geneva Report, settembre ‘14), le banche devono svalutare i crediti e ricapitalizzare, ma solo politiche espansive rilanceranno lo sviluppo. Per la prima parte i prossimi giorni saranno cruciali, alle politiche espansive speriamo si arrivi con il tempo, e forse con una scossa politica che rompa gli indugi: prima che la crisi morda tanto da reimporre i vecchi cliché del nazionalismo. I settant’anni trascorsi dal ‘45 sono un attimo, per l’evoluzione della psiche, al cui fondo ancora giace, e può ricacciarci nel passato, il pregiudizio: sui tedeschi arroganti, sugli italiani inaffidabili e così via. Se il clima politico si inasprirà, a decidere non saranno i calcoli di convenienza, non il portafoglio, tanto meno il cuore. Sarà la pancia a plasmare opinioni e paure ataviche dei popoli, che la politica europea solo segue, inetta a guidare; e a qualcuno certo converrà, non solo politicamente, anche economicamente.
Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 24/10/2014