Guido Olimpio, Corriere della Sera 24/10/2014, 24 ottobre 2014
IL DIAVOLO E LA SIRIA: LE OSSESSIONI DEL KILLER RINNEGATO DALLA MADRE
La madre dell’assassino non lo perdona. «Piango per le vittime, non per mio figlio. Sono arrabbiata con lui e addolorata. L’ho incontrato a pranzo la scorsa settimana dopo 5 anni che non ci vedevamo. Ho poco da aggiungere e non voglio partecipare al circo mediatico», afferma Susan Bibeau, impiegata nell’ufficio immigrazione, in un breve scambio con l’Associated Press. Parole che equivalgono ad una condanna per un giovane che, oltre ad essere un terrorista, ha avuto una montagna di problemi.
Trentadue anni, originario del Quebec, Michael Zehaf-Bibeau, dopo un’adolescenza in apparenza normale tra una famiglia tranquilla e buone scuole, si infila nei guai. Le carte giudiziarie segnalano una dozzina di incriminazioni per reati comuni. Dalla detenzione di droga alla rapina. Condanne che lo portano a periodi di detenzione. Inquieto, instabile, si trasferisce in British Columbia, dall’altra parte del Canada, forse vuole fare il minatore e intanto frequenta una piccola moschea. Dove si fa notare per i comportamenti bizzarri che lo mettono in urto con gli anziani della comunità musulmana. Sono segnali che dovrebbero essere colti, ma nessuno lo fa.
Un amico dell’epoca lo descrive strano, ossessionato dal «Diavolo che sta prendendo piede nel mondo».
Michael, che si faceva chiamare anche Abdullah, è molto attratto dall’islam e dal Medio Oriente. Probabilmente vuole riscoprire parte delle sue origini. La madre è canadese mentre il padre, Belgasem, è libico. È emigrato in Canada dove ha gestito per qualche anno un bar, quindi avrebbe fatto il commerciante. Dettagli scarsi, a parte il divorzio dalla moglie nel 1999. Quando esplode la rivolta contro Gheddafi, Belgasem si sarebbe recato per qualche mese a Tripoli dove sarebbe stato testimone di torture e violenze. Particolari, per ora, impossibili da verificare.
Per i servizi di sicurezza Michael, che aveva anche la cittadinanza libica, voleva recarsi in Siria, seguendo l’esperienza di altri canadesi entrati nell’Isis, in Al Nusra e altri gruppi. Un passaggio provocato dalle sue idee estremiste. Infatti Michael attira l’attenzione dell’antiterrorismo che però non lo inserisce nella lista dei 90 «elementi pericolosi». Ma quando chiede il rinnovo del passaporto scatta il divieto e lui arriva, il 2 ottobre a Ottawa, proprio per risolvere il problema. È probabile che le autorità abbiano messo dei paletti perché lo considerano a rischio. Magari sapevano già che il killer era in rapporti con Hasibullah Yusufzai, un canadese partito per la Siria dove è entrato in un gruppo ribelle estremista. Non ci sono invece prove di relazioni con Martin Ahmad Rouleau, l’altro convertito che ha ucciso un soldato investendolo con una vettura nei pressi di Montreal.
È su questi rapporti che ora dovrà puntare l’inchiesta. L’ipotesi base è che Michael sia un «lupo solitario», ma è presto per scartare connessioni più ampie. Un testimone ha riferito che il giovane frequentava assiduamente altre due persone nell’ostello per senzatetto dove era solito dormire. Ed era con loro anche nei giorni precedenti all’attacco. Semplici amici o complici? L’altro filone è quello dei contatti sul web: la polizia ha accertato che comunicava con ambienti estremisti in Medio Oriente, sembra in Iraq. Un giovane che potrebbe sintetizzare una nuova minaccia doppia. Uno sparatore di massa, con turbe mentali, ma che è anche jihadista.
Guido Olimpio, Corriere della Sera 24/10/2014