Stefano Vastano, l’Espresso 24/10/2014, 24 ottobre 2014
Cara Italia non sei sotto attacco COLLOQUIO CON MARCEL FRATZSCHER DI STEFANO VASTANO COLLOQUIO CON MARCEL FRATZSCHER Ci sono anche svantaggi nella presenza di tanti giganti industriali? «Il rischio è che questi giganti globali aprano troppo l’economia tedesca
Cara Italia non sei sotto attacco COLLOQUIO CON MARCEL FRATZSCHER DI STEFANO VASTANO COLLOQUIO CON MARCEL FRATZSCHER Ci sono anche svantaggi nella presenza di tanti giganti industriali? «Il rischio è che questi giganti globali aprano troppo l’economia tedesca. Oggi la Basf investe sì un miliardo di euro in nuovi impianti, ma lo fa negli Usa. Il trend dei colossi industriali è investire sempre più all’estero e sempre meno in Germania». La forza dei grandi gruppi non si deve al fatto che negli ultimi 15 anni i salari non sono aumentati in Germania? «No, le grandi imprese tedesche pagano oggi salari molto buoni ai loro dipendenti, anzi tra i più alti al mondo. La stagnazione nei salari si registra in Germania nel settore servizi, e non è un caso se il governo di Berlino ha appena introdotto il salario minimo». La pratica della cogestione aziendale quanto ha inciso nel successo tedesco? «Negli ultimi 10 anni la cogestione si è dimostrata un fattore di successo durante le crisi economiche e finanzarie. I partner sociali, sindacati e datori di lavoro, si assumono le loro responsabilità. I sindacati sono disposti a rinunciare ad aumenti salariali pur di conservare i posti di lavoro, mobilitando risorse per crearne di nuovi per i più giovani». Dunque la forza del modello tedesco si deve anche a un patto con i sindacati che siedono nei Consigli aziendali? «Sì, ed è un modello che i sindacati in Italia e in Francia potrebbero imparare. Oggi la Germania ha una disoccupazione al 5 per cento, meno della metà di quella all’inizio delle riforme Schröder. Anche nell’era Merkel, governo, sindacati ed imprese discutono insieme le condizioni per superare le crisi: questa concertazione è la spina dorsale del nostro modello». «La forza del modello tedesco è non solo nei nostri colossi industriali ma, come da voi in Italia, in una miriade di piccole e medie imprese. E soprattutto nella buona pratica della cogestione aziendale». È la tesi di Marcel Fratzscher, il direttore dell’istituto di ricerca economica Diw di Berlino, che di recente ha pubblicato "Illusione Germania", dove ha messo a nudo i difetti e ritardi, ad esempio in investimenti e infrastrutture, dell’economia tedesca. Marcel Fratzscher, anche in questi giorni si torna a parlare dei dissapori tra Francoforte e Berlino, cioè tra la Banca centrale europea e il governo tedesco. Le cose stanno davvero così? «No, non credo che vi sia un vero conflitto tra le posizioni della Bce e quelle del ministro delle Finanze tedesco Schäuble. Mario Draghi insiste sul fatto che in Europa non abbiamo bisogno solo di una politica economica più espansiva ma anche di riforme strutturali nei Paesi più indebitati e di un miglior coordinamento della politica fiscale. Wolfgang Schäuble punta sul consolidamento come presupposto di ogni buona politica economica». In Italia si teme che il Paese sia di nuovo sotto attacco da parte dedla speculazione finanziaria. «Nonostante le recenti oscillazioni dei mercati finanziari non stiamo precipitando verso una tempesta come nel 2008. Siamo riusciti a varare una serie di riforme in Europa, introducendo inoltre meccanismi di controllo nel sistema bancario in grado di tamponare e prevenire le più gravi infiammazioni. Alcuni Paesi poi, come il Portogallo o l’Irlanda, hanno messo a punto le dovute riforme. Certo è che il debito in Italia è ancora troppo alto e ciò non è un elemento di stabilità né per il vostro Paese né per l’eurozona. La politica più espansiva sinora esercitata dalla Bce di Draghi ha aperto finestre di tempo per Paesi in crisi come Italia e Francia ma finora sia il governo di Matteo Renzi sia quello di François Hollande a Parigi non le hanno sfruttato abbastanza. I piani esposti da Renzi sono molto convincenti. Ma in Germania e in Europa ci chiediamo se sarà in grado di realizzarli con la dovuta velocità». Intanto la Germania, pur se cresce meno del previsto, è sempre un modello virtuoso. A cosa si devono i vostri successi? Oltre alle riforme anche al fatto di avere colossi che dominano il mercato come Volswagen, Basf nella chimica e Allianz nel settore finanziario? «È vero che in Germania ci sono tanti colossi industriali all’avanguardia nel rispettivo settore. Ma la forza propulsiva della Germania è data da una miriade di piccole e medie imprese. Sono loro ad offrire la maggior parte dei posti di lavoro e sono le più innovative ed efficienti nei settori di nicchia. Sotto questi aspetti non ci sono tante differenze tra il "made in Germany" e il "made in Italy"». Come mai allora il sistema Italia è in crisi e la locomotiva tedesca no? «La differenza tra i due sistemi è nella qualità delle istituzioni: da voi è molto più complesso lanciare un nuovo prodotto o organizzare in modo più flessibile il mercato del lavoro. Il vostro Paese è afflitto da apparati burocratici lenti e inefficienti e da paesaggi istituzionali che non agevolano ma ostacolano le imprese». Quanto investono i colossi industriali in ricerca e sviluppo? «Ricerca e sviluppo vantano una lunga tradizione qui in Germania: il nostro Paese vi investe il 3 per cento del Pil. Non dimentichiamo poi che qui da noi è molto attiva una rete di istituti e accademie - come il prestigioso Fraunhofer Institut - che fanno da ponte tra ricerca e processi industriali, università ed imprese».