varie 24/10/2014, 24 ottobre 2014
ARTICOLI SULL’ADDIO DI MASSIMO MORATTI DAI GIORNALI DEL 24/10/2014
FABIO MONTI PER IL CORRIERE DELLA SERA -
Dopo 19 anni, 8 mesi e 5 giorni, Massimo Moratti saluta l’Inter. Da ieri alle 15.08, non è più presidente onorario della società, carica che ricopriva dal 15 novembre 2013, quando Erick Thohir aveva rilevato il 70% del pacchetto azionario. Lascia l’Inter tutta la famiglia Moratti e chi l’ha rappresentata in Consiglio in questi undici mesi (o per 19 anni, come Ghelfi, che ha accompagnato la famiglia in tutta l’avventura nerazzurra con straordinaria competenza), come spiegato in un comunicato, diffuso dalle agenzie di mezzo mondo, ma tenuto nascosto per ore dal sito nerazzurro. Come si usava in Corea del Nord.
«Internazionale Holding srl, società facente capo a Massimo Moratti e ai suoi figli, Angelomario e Giovanni, e titolare di una partecipazione pari al 29,5% di Fc Internazionale Milano spa comunica che Angelomario Moratti, Rinaldo Ghelfi e Alberto Manzonetto hanno rassegnato ciascuno a titolo individuale le proprie dimissioni da consigliere di amministrazione della società Fc Internazionale. Internazionale Holding srl comunica inoltre, che Massimo Moratti ha rinunciato alla carica di presidente onorario di Fc Internazionale spa gentilmente offertagli da Erik Thohir nel novembre 2013».
La famiglia Moratti resta per ora proprietaria del 29,5% del pacchetto azionario e procederà alla nomina di tre nuovi consiglieri di amministrazione, mentre è possibile che lasci anche Zanetti, appena nominato vice presidente, anche se con compiti tutt’altro che chiari. Thohir ha incontrato Massimo e Angelomario Moratti ieri pomeriggio, nel centro di Milano: è stato un incontro utile per chiarire le posizioni di ciascuno, ma anche per certificare la distanza fra le parti, nel modo di concepire l’Inter. Moratti padre e figlio si sono resi conto che la scelta di uscire dal club, sebbene dolorosa, non era più differibile. E l’ex presidente ha chiarito: «Non c’è niente da spiegare, tutti capiranno nei prossimi giorni».
Thohir, che in questi mesi ha «usato» Moratti, trasformandolo o in un parafulmine o in una specie di assicurazione per avere credibilità all’esterno, ha rilasciato una gelida dichiarazione all’arrivo a San Siro: «Ho saputo delle dimissioni di Moratti, l’ho incontrato e ci siamo parlati. Questo non cambia il rapporto tra le due famiglie, mi ha detto che continuerà a supportarmi. Io sono il presidente della società e ho il dovere di fare ciò che è meglio per l’Inter. E devo rivedere alcune operazioni fatte dalla società».
È una conclusione traumatica, ma non inattesa di un rapporto, quello fra Moratti e Thohir, che sembrava solido e che invece è diventato precario. Non è stata la sgradevole risposta di mercoledì di Mazzarri all’(ex) presidente onorario a spingere Moratti a uscire di scena. Questione di classe e se uno non ce l’ha non la può acquistare a 53 anni compiuti. E poi di Mancini, che si era autoesonerato per aver perso con il Liverpool negli ottavi di Champions League, ce n’è uno. Resta il fatto che né Thohir, né altri dirigenti mercoledì pomeriggio o ieri sera hanno pensato di chiamare Moratti e censurare le parole di Mazzarri.
Moratti ha invece ritenuto che la misura fosse colma dopo aver ascoltato le parole pronunciate lunedì, dopo l’assemblea degli azionisti, da Michael Bolingbroke, il ceo nerazzurro, chiamato da Thohir a occu-parsi delle finanze nerazzurre: «Stiamo mettendo a punto un piano quinquennale per il club che rispetterà le linee guida del financial fair play. Nel passato abbiamo accumulato perdite; noi abbiamo dovuto assicurare di essere pronti a raddrizzare ciò che è stato fatto nel passato; il nostro approccio consiste nell’essere trasparenti, questa è una cosa importantissima e necessaria».
Questa immagine dell’Inter dipinta come società disastrata, sull’orlo del fallimento, prossima a portare i libri in tribunale ha sempre irritato Moratti. Che ieri ha detto: stop.
Fabio Monti
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F. MO., IL CORRIERE DELLA SERA -
È tutto un complesso di cose, come avrebbe detto Paolo Conte, a far sì che i Moratti abbiano deciso di lasciare campo libero alle strategie di Thohir e del suo staff.
Il 24 maggio, a Latina, l’ex presidente era già stato abbastanza chiaro: «Noi abbiamo sbagliato a non sfruttare i successi degli anni passati dal punto di vista commerciale e Thohir è stata la scelta migliore, ma non mi piace molto quando dice di voler risanare l’Inter che non ha nulla da risanare. L’Inter ha risposto sempre ai propri debiti, all’acquisto dei giocatori, al pagamento degli stipendi senza mai pesare su nessuno. Ora c’è un’altra persona che spero possa continuare così, magari spendendo un po’ meno di me».
Traduzione. L’analisi dei conti da parte del gruppo indonesiano è durata quattro mesi, prima di arrivare alle firme; segreti non ce ne sono mai stati; di scatole cinesi nemmeno l’ombra.
Mettere in piedi una squadra che arriva in cima al mondo costa e quando Moratti ha ritenuto che non ci fossero più le condizioni per un’Inter ai massimi livelli, ha deciso di cedere. Non ha incassato un euro dalla vendita della società, valutata da società specializzate 500 milioni. Thohir ha liberato le fide-jussioni bancarie di Moratti (150 milioni), dando in garanzia le attività dell’Inter (per 230 milioni) e versando 70 milioni in conto capitale (15 novembre 2013). Tutto qui. Le sanzioni dell’Uefa, se ci saranno, non saranno così terribili, come vengono dipinte da alti e loquaci dirigenti dal passato bianconero.
In estate sono state operate epurazioni e dismissioni verso chi aveva la «colpa» di aver lavorato per l’Inter di Moratti, da semplici impiegati fino a Cordoba, che se n’è andato sua sponte, perché Thohir non ha avuto nemmeno il tempo di incontrarlo e di spiegargli il senso del suo nuovo ruolo (era stato destinato al settore giovanile).
Nel frattempo, il rosso di bilancio è cresciuto, nonostante i tagli, con una squadra che vale molto meno di quella del Triplete; qualche sponsor ha salutato la compagnia; il rinnovo dell’accordo con la Pirelli è in alto mare e sembra destinato a esaurirsi; non tutti i fornitori sono stati pagati.
All’Inter si continua a navigare a vista. L’orologio è stato riportato indietro di vent’anni, quando il colore nerazzurro appariva sbiadito, sovrastato da Milan, Juve e non solo.
Massimo Moratti è arrivato con una società che sette mesi prima aveva vinto la Coppa Uefa, ma si era salvata a fatica; ha rilevato i debiti della pregressa gestione; ha investito in idee, uomini, giocatori; ha puntato su Ronaldo, non come un capriccio, ma per costruire intorno a lui un progetto nuovo; ha dovuto superare difficoltà di ogni genere.
Adesso Thohir gioca senza rete e senza i Moratti sarà un bel cinema.
f. mo.
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BEPPE SEVERGNINI, IL CORRIERE DELLA SERA -
Le vicende del calcio non sono quasi mai tragiche. Magari malinconiche e, spesso, prevedibili. L’abbandono della carica di presidente onorario, da parte di Massimo Moratti, è solo l’epilogo di un distacco a puntate. La famiglia Moratti è un complesso organismo pluricellulare milanese, ed Erick Thohir non conosce ancora l’etologia di Milano. Non
è una colpa. Colpevole sarebbe, invece, la volontà di non imparare. Questa ed altre cose. Per esempio: il calcio è un sogno infantile per adulti, e un sogno adulto per bambini.
L’Inter, come il Milan e la Juventus, è abituata
a sognare in grande.
Negli ultimi anni
i tifosi nerazzurri hanno conosciuto uno spettacolare ottovolante emotivo. Il calcio è sempre la prossima partita. Come tutti i tifosi di tutte le squadre speravamo che, un giorno, saremmo arrivati più in alto di tutti. Nel 2010 ci è andata bene. Vedremo quale altra squadra italiana vincerà il Triplete, e quando. L’Inter era in terapia intensiva finanziaria e Thohir è un uomo d’affari, intervenuto quando ha fiutato l’affare: questo è normale. Dovrebbe sapere, quindi, che per guadagnare bisogna ridurre i costi, d’accordo; ma anche investire. È la mancanza di ambizioni che preoccupa. Non tutti i grandi acquisti sono cattivi acquisti: con Ronaldo, Ibrahimovic ed Eto’o l’Inter ha vinto e ha fatto soldi. E noi tifosi ci siamo divertiti. Come si divertono oggi a Madrid con Cristiano Ronaldo, a Barcellona con Messi e Neymar, a Monaco con Robben. Walter Mazzarri non è l’uomo che ha allontanato Massimo Moratti dall’Inter. Se anche fosse, sarebbe un bizzarro contrappasso (quanti allenatori ha allontanato lui?); ma così non è. La colpa di Mazzarri non è una scortesia, non un modulo e neppure un risultato: è l’atteggiamento. Troppo irritabile, troppo nervoso, troppo enfatico: non si può fare l’allenatore così. I giocatori sono ragazzi (Icardi, un ragazzino) e cercano autorevolezza. Non qualcuno più agitato di loro. L’Inter è una forma
di allenamento alla vita, e nella vita bisogna anche divertirsi. Qualcuno lo spieghi, con tatto, a Mazzarri. Ha un lavoro splendido e ben pagato
in una grande squadra. Si calmi. Certe ansie sono una provocazione verso tanti che, le ansie, le affrontano ogni giorno per davvero.
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ANDREA SORRENTINO, LA REPUBBLICA -
NON vuole più saperne. Dei nuovi proprietari e del loro staff; dei dirigenti che lui aveva assunto e che nel tempo gli hanno voltato le spalle, uno in particolare; dell’allenatore, ingrato pure lui; dell’Inter tutta. Massimo Moratti se ne va, addio, nada màs. Un comunicato annuncia le sue dimissioni da presidente onorario e il ritiro dal Cda dei tre membri da lui indicati: il figlio Angelomario, Rinaldo Ghelfi e Alberto Manzonetto. Nel tardo pomeriggio ribadisce il concetto a Erick Thohir, in un incontro privato e dai toni non certo distesi. Il presidente indonesiano commenta: «Rispetto la decisione di Moratti. Lui vuole continuare a supportarmi ma allo stesso tempo, come presidente, devo rivedere certe operazioni del club». Il supporto sarà assai esterno, anzi obbligato, perché gli accordi firmati lo scorso anno prevedono la presenza di Moratti almeno fino a novembre 2015, però la storia è ai titoli di coda. L’ex proprietario mantiene una quota del 29,5% che non gli consente alcun potere decisionale ma lo costringe a ripianare la sua parte di perdite, quindi da ieri è scattata la ricerca di nuovi finanziatori che però sarà durissimo trovare. Entro un mese Moratti nominerà altri tre membri per il nuovo Cda: dovrebbe rimanere Manzonetto. Nel frattempo, Thohir manterrà il controllo plenipotenziario dell’Inter.
Era finita da tempo. Almeno dallo scorso giugno, quando Thohir, rilevato il debito di Moratti con le banche e accollandosene uno da 230 milioni, ha iniziato la fase 2 del suo ingresso nel club: portare suoi uomini nella stanza dei bottoni ed estromettere tutti quelli legati a Moratti. La fine del rapporto tra i due inizia in quei giorni, perché il petroliere non si aspetta una rivoluzione simile, chiaramente orientata a fargli perdere ogni residuo controllo del club e della gestione tecnica. Il dt Branca era stato licenziato già in febbraio, ma in estate cadono le teste del medico sociale Combi, intimo dell’ex presidente, e dei giocatori a lui legati: a nessuno viene rinnovato il contratto in scadenza. Zanetti, che con Moratti regnante un pensieruccio a un altro anno da giocatore l’aveva fatto, è indotto a lasciare e intanto gli si ritaglia un ruolo da vicepresidente senza poteri, per giunta con un contratto biennale. Mazzarri avalla ogni scelta e Moratti non glielo perdonerà. Vengono licenziati impiegati, funzionari e collaboratori a vario titolo (circa 40 persone), tutti in qualche modo vicini a Moratti, ed entrano manager inglesi e americani. Una vera epurazione. Poi si arriva a lunedì scorso, assemblea dei soci. L’ex proprietario partecipa in silenzio, seduto in platea, assiste a discorsi e applausi, se ne va scurissimo e appena uscito butta lì quelle frasi su Mazzarri, che secondo lui sarebbe nei guai. Ma nel frattempo accade di peggio, dal suo punto di vista. Il Ceo Bolingbroke (candidato a entrare nel prossimo Cda) fa notare che i conti dell’Inter sono allo stremo per colpa della precedente gestione e, cosa che fa infuriare Moratti, aggiunge che ora sono stati assunti dirigenti capaci, facendo intendere che prima non ce n’erano. Poi arrivano le dichiarazioni di Mazzarri: «Non spendo energie per rispondere a Moratti». E dire che lui aveva assunto Mazzarri, ci aveva creduto, al punto da scrivergli la prefazione della biografia «Il meglio deve ancora venire», uscita mesi fa. Mercoledì Moratti attende una dichiarazione del club in sua difesa, ufficiale o privata, ma ascolta solo il silenzio: si aspetta che si faccia vivo il ds Piero Ausilio, che lavora nell’Inter da 15 anni e che lui ha assunto poco più che adolescente, ma Ausilio tace: la misura è colma. Dimissioni. Ieri sera diserta San Siro: «Poi capirete perché sono andato via», mormora recandosi al ristorante. E intanto si vocifera che pure Zanetti, in omaggio al suo presidente, possa dimettersi. Niente più Thohir e Moratti in tribuna assieme, insomma. L’uomo di Jakarta si mostra sorpreso e un po’ preoccupato, ma si sa che gli asiatici sanno nascondere bene le loro emozioni: in fondo la strada alle dimissioni di Moratti l’ha consapevolmente spianata lui. Del resto non si era detto che con Thohir iniziava una nuova epoca? Eccola qui.
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A.S., LA REPUBBLICA -
È sui conti che lo scontro tra Moratti e Thohir si è inasprito: l’ex proprietario non tollera che si parli di un’Inter «da risanare». Eppure pare che la situazione sia davvero critica, finanziariamente parlando.
Nessuno al mondo perde quanto l’Inter: sommando i passivi degli ultimi cinque anni, dal Triplete in poi, si arriva alla cifra monstre di quattrocento milioni. Tutti ripianati da Moratti tranne che nell’ultimo esercizio, ma attingendo ai prestiti bancari, col risultato che l’esposizione debitoria era arrivata a circa trecento milioni.
E questo è accaduto perché, pur decrescendo le spese di gestione (rispetto al 2012 il costo degli ingaggi è passato da centoquaranta milioni a settanta), negli ultimi quattro anni i ricavi, con gli introiti da stadio e dai diritti tv, sono crollati del 36%: dai duecentocinquanta milioni del 2010 ai centosessanta del 2014 (la Juve è a quota duecentottanta, per dire), segno che il club non ha più avuto spinta propulsiva da settori cruciali come quello commerciale. E se non crescono i ricavi un club come l’Inter è destinato a spegnersi: anche se per assurdo un Abramovich o uno dei tanti sceicchi rilevassero la società e volessero acquistare Ronaldo e Messi in un colpo solo, le norme del fair play finanziario imporrebbero loro di alzare prima i ricavi a livelli eccezionali per potersi permettere certe operazioni.
Per questo l’Uefa vuole vederci chiaro e il 7 novembre terrà un audit per capire il piano di rientro dei dirigenti interisti, che comunque si attendono sanzioni economiche quali il congelamento di una parte degli introiti dell’attuale Europa League. La situazione insomma è delicatissima, e il rilancio costerà lacrime e sangue. ( a. s.)
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LAURA BANDINELLI, LA STAMPA -
Un pezzo di gloriosa storia interista se ne va, un sentimento tramandato di padre in figlio che ha regalato vent’anni di emozioni al popolo nerazzurro ieri ha detto addio. Il 23 ottobre 2014 nella memoria interista non sarà più un giorno qualunque: la famiglia Moratti ha deciso di lasciare l’Inter e lo ha fatto nel modo peggiore, sbattendo la porta. Con un breve comunicato Massimo Moratti ha reso nota la decisione di abbandonare la carica di presidente onorario, lo seguiranno i due figli, Angelo Mario e Giovanni, entrambi consiglieri d’amministrazione. La goccia che ha fatto traboccare il vaso non riguarda tanto la replica di Walter Mazzarri alle critiche sulla sua gestione («Non disperdo energie per quello o quell’altro»), bensì alcune osservazioni sui conti fatte dal l’ad Michael Bolingbroke durante l’ultima assemblea dei soci.
Non è stato un fulmine a ciel sereno: da prima dell’estate Moratti dava segnali di grande insofferenza per il nuovo corso e neppure l’ingresso in società di capitan Zanetti (probabili anche le sue dimissioni da vice presidente) era servito a soffocare le divergenze. Una sola concessione in un mare di scelte non condivise.
Le frasi di Mazzarri rilasciate durante la conferenza stampa di vigilia di Inter-Saint Etienne hanno soltanto certificato il distacco tra chi è operativo e chi ormai non lo è più. Perché nonostante le azioni societarie tenute nell’International Holding (29,5%, più di cento milioni) alla fine chi decide è sempre l’azionista di maggioranza. Con l’appoggio incondizionato della moglie Milli - che fin da subito si è schierata contro la nuova gestione - Moratti ha quasi somatizzato il divorzio dalla sua «creatura» raccogliendo gli sfoghi di chi come lui si è dovuto allontanare dalla società nonostante certe rassicurazioni. Anche il giorno del suo addio da presidente esecutivo aveva assicurato ai fedelissimi che nulla sarebbe cambiato. Lo aveva detto ai giocatori e l’aveva ripetuto ai dipendenti. Ma poi i fatti sono andati in un’altra direzione e non è servito a nulla andare alla ricerca dei colpevoli. Moratti allo stadio, alla Pinetina e anche lunedì in assemblea si è spesso sentito un ospite e non sempre gradito. L’appuntamento di lunedì scorso che è terminato con un lungo applauso a Erick Thohir ha chiuso il cerchio. Perché durante la mattinata più volte sono stati fatti dei riferimenti ai debiti ereditati e all’utilizzo della parola “progetto” per rimediare agli sbagli di chi c’era prima. In particolare ha dato molto fastidio una frase di Michael Bolingbroke (scelta caldeggiata peraltro da lui per rendere meno operativo l’attuale direttore generale Fassone) che parlando di fair play finanziario ha dichiarato che «bisogna raddrizzare le perdite accumulate nel passato».
Massimo Moratti si è sentito a disagio in quella sala, e allora ha reagito d’istinto, facendo da megafono a quella parte della tifoseria che si è schierata contro Mazzarri. Senza tenere conto della linea di Thohir e senza preoccuparsi di destabilizzare l’ambiente in un momento già delicato. «Cosa è successo? Traete voi le conclusioni. I tifosi capiranno nei prossimi giorni», sono le sue prime parole da ex presidente. È stato il figlio Angelo Mario ad anticipare ai nuovi dirigenti ciò che stava per succedere. Thohir ne ha preso atto nella riunione che si è tenuta nel pomeriggio di ieri in una delle abitazioni del petroliere. Poi, prima di vedere Inter-Saint Etienne, il patron indonesiano ha detto: «Rispetto la decisione di Moratti. Il rapporto tra le due famiglie non cambierà. Lui vuole supportarmi, ma allo stesso tempo, come presidente, devo rivedere certe operazioni del club e pensare a ciò che è meglio per l’Inter». Le quote sono in vendita, per i consiglieri non c’è fretta. Moratti ha in mente profili italiani e interisti, Thohir pare sia d’accordo. Ma niente è più così scontato.
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SALVATORE RIGGIO, IL MESSAGGERO -
Il vento del Nord Europa che sta sconquassando Milano non è stato nulla in confronto a quello che è successo ieri in casa Inter. Dopo 19 anni Massimo Moratti dice addio al club di corso Vittorio Emanuele e con lui lasciano anche il figlio Angelomario, Rinaldo Ghelfi e Andrea Manzonetto, che escono dal Cda. Un evento che ha lasciato tutti senza parole: in primis Erick Thohir diventato azionista di maggioranza (con il 70% delle azioni) il 15 novembre 2013.
DICHIARAZIONI OFFENSIVE
A ferire Moratti non sono state soltanto le frasi di Walter Mazzarri pronunciate alla vigilia della gara di Europa League contro il Saint Etienne, ma anche il fatto che nessuno del club lo abbia chiamato dopo quell’incredibile episodio. Inoltre, da troppo tempo i rapporti tra Thohir e Moratti erano claudicanti: forte del 70%, il tycoon indonesiano ha sempre fatto di testa sua e agito da solo. Un esempio su tutti, l’addio di Ivan Cordoba dopo oltre 14 anni di Inter. Thohir non aveva nemmeno ritenuto di dovergli spiegare il suo nuovo ruolo. Episodio avvenuto dopo una serie di epurazioni tra i quadri nerazzurri allontanati con la sola colpa di aver lavorato per anni con Moratti. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le parole pronunciate lunedì dal Ceo Michael Bolingbroke, che aveva rivelato in pubblico una situazione economico-finanziaria della società pre-fallimentare: «Vogliamo raddrizzare ciò che è andato storto in passato. Quello che è stato è stato, ora pensiamo al futuro».
LE CONSEGUENZE
Se l’addio diventerà operativo, sarà un vero terremoto. Sul piano amministrativo il gesto di Moratti fa saltare il Cda nerazzurro. Improbabile che nomini lui stesso nuovi membri: bisognerà convocare un’assemblea per eleggere un nuovo Cda. Questo è un punto di svolta clamoroso all’interno dell’Inter. Adesso Thohir camminerà da solo con il fardello di un passivo di bilancio pesantissimo. Vista la delicata situazione, la necessità del magnate indonesiano potrebbe essere quella di cercare un nuovo azionista di minoranza, anche se ci sarebbero accordi precisi secondo i quali Moratti non potrebbe uscire dall’Inter prima del novembre 2015. Ma al di là di tutti i retroscena e gli episodi che hanno spinto l’ex presidente onorario al doloroso passo, resta il fatto che sulla sponda nerazzurra del Naviglio è finita un’era. Il Triplete del 2010 sembra ormai un ricordo lontano. «Rispetto la sua decisione, ho parlato con Massimo e l’ho incontrato. Il rapporto tra le due famiglie non cambierà, lui vuole supportarmi. Ma allo stesso tempo, come presidente, devo rivedere certe operazioni del club». A Thohir il difficile compito di ritrovare la rotta. E attenzione a Javier Zanetti, un altro pezzo di storia che potrebbe dire addio.
Salvatore Riggio
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LUCA PISAPIA, IL FATTO QUOTIDIANO -
Dopo la bollente polemica con Walter Mazzarri, il gelido comunicato. Dopo 19 anni al vertice, Massimo Moratti affida a una fredda nota della Internazionale Holding Srl la clamorosa decisione di dimettersi dalla carica di presidente onorario dell’Inter. Una carica “gentilmente” concessagli da Erick Thohir lo scorso anno, dopo che il tycoon indonesiano aveva acquistato il 70% delle azioni nerazzurre per 250 milioni. Il 30% resta ancora nelle mani del petroliere milanese, e pare ci sia una clausola all’atto della vendita che gli impedisce di cedere le sue quote prima del 2015. Staremo a vedere.
PER ADESSO è certo che con Moratti rassegnano le dimissioni dal cda anche il figlio Angelomario, Rinaldo Ghelfi e Alberto Manzonetto. Dato l’addio a febbraio di Marco Branca, della vecchia struttura societaria rimane solo il ds Piero Ausilio, l’unico che si è integrato nel nuovo corso. La figura del dg Marco Fassone, all’Inter dal 2012, preludeva già all’imminente cambio di proprietà, e il nuovo indirizzo strategico affidato al ceo Michael Bolingbroke puntava a liberarsi della zavorra in eccesso. La figura rappresentativa, priva di alcun potere e relegata ai margini, dell’altro vicepresidente Javier Zanetti, la più morattiana delle icone, ne è l’esempio migliore.
Nel suo ventennio di presidenza Moratti ha speso oltre 1,2 miliardi provenienti dalla cassaforte di famiglia della Saras – la raffineria costruita cinquant’anni fa dal padre Angelo Moratti a Sarroch, in Sardegna – per regalare ai tifosi, e a se stesso, gioie e dolori. Dalle battaglie con la Juventus cominciate sul campo e finite in Calciopoli alle prime gioie con Roberto Mancini in panchina, da campioni come Djorkaeff, Ronaldo, Vieri e Ibrahimovic a clamorosi bidoni come Sorondo, Gresko, Vampeta e Quaresma, dalla “tragedia” sportiva del 5 maggio 2002 alla gioia del triplete con Mourinho nel 2010. È lì, raggiunta la scomoda ombra del padre e della Grande Inter, che si rompe qualcosa e comincia il lungo addio.
L’azienda di famiglia Saras, dopo la quotazione in Borsa del 2006 che frutta ai Moratti 1,7 miliardi colpendo però migliaia di piccoli azionisti, non può più ripianare le perdite, lo sponsor Pirelli non naviga neppure lui in buone acque. Moratti torna ad assumere e licenziare allenatori (Benitez, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni) come il più arrogante dei padroni, e presenta bilanci sempre in rosso. I tifosi nostalgici lo vorrebbero in sella a vita, altri per la prima volta cominciano a mostrare insofferenza. La società in crisi di liquidità è affidata al mercato in attesa di acquirenti, che si materializzeranno poi in Erik Thohir, la squadra in crisi di gioco è affidata a Mazzarri. Con il tecnico livornese i rapporti sono tesi da subito, e si sfaldano completamente lunedì scorso , dopo la partita con il Napoli: l’Inter dopo otto giornate è al nono posto in classifica, a meno dieci dalla Juventus. Un crescendo di numeri negativi che fa esplodere la bollente polemica. “Il calcio dipende dai risultati, se non arrivano per Mazzarri saranno guai” dice l’oramai ex presidente onorario. “Non ho tempo di pensare a ciò che ha detto Moratti, quindi neppure a disperdere energie per rispondergli”, replica stizzito il tecnico toscano, dopo che già un paio di volte in passato aveva dichiarato massima sintonia con Thohir, quasi a volersi distanziare sempre di più dall’ingombrante passato.
La polemica è il sale del calcio, ci mancherebbe, ma come diceva il personaggio di Gola Profonda nel film Tutti gli uomini del presidente, titolo quanto mai azzeccato con l’argomento in questione, per capirci qualcosa è meglio seguire i soldi. Follow the money. E allora ecco che lunedì non diventa più il giorno in cui Moratti attacca Mazzarri, ma quello in cui il cda nerazzurro deve approvare nel bilancio consolidato per l’esercizio 2013-14 una perdita di 103 milioni.
AL DI LÀ degli Zanetti e dei triplete, è questa la vera eredità che Moratti lascia all’Inter: l’ennesimo profondo rosso. Il 7 novembre, Erik Thohir sarà costretto a discuterne davanti alla Commissione per il fair play finanziario della Uefa, ed è già partita una legittima operazione di maquillage finanziario attraverso la creazione di una società sana, la Inter Media and Communication, che ha assorbito vecchi contratti in essere e ottenuto 230 milioni di credito dalle banche. Ma se il fair play è salvo, i 103 milioni di passivo restano tutti lì. Ed Erick Thohir ha dovuto chiedere a Moratti di liberarlo della sua presenza, concedendogli il gesto teatrale di un’ultima polemica. Quasi a voler caratterizzare un’epoca.
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CLAUDIO DE CARLI, IL GIORNALE -
Perché stupirsi, non era nella logica delle cose dalla notte di Madrid fino a ieri mattina?
Appena usciti dal Bernabeu dopo il 2-0 al Bayern, le strade erano tutte una bandiera nerazzurra, grida, felicità, vittoria, ma se avvicinavi un tifoso e gli chiedevi cosa provava, lui ti rispondeva: sì, ma l’anno prossimo...
Era nella testa di tutti cosa stava accadendo, e ancora non si era sparsa la notizia della fuga di Josè Mourinho atteso dall’auto presidenziale di Florentino Perez parcheggiata sotto le mura del Bernabeu. Quella squadra era arrivata a fine corsa, un meraviglioso concentrato di trentenni spremuti all’osso con un futuro già in stato avanzato. Un collega spagnolo fa: ma allora è proprio vero che gli interisti non se la godono mai!
Errore, sanno cosa li attende, una notte è una notte, Milito va da Moratti e gli dice che c’è gente che lo cerca. Vai Principe, vai, immenso, ma poi solo uno di passaggio, come Maicon, Julio Cesar, Thiago Motta, Snejder, Eto’o, Lucio. Massimo Moratti ha agito da tifoso, coerente per 18 anni, alla maggior parte ha ritoccato l’ingaggio, una sorta di riconoscenza per aver raggiunto un traguardo immenso che il padre aveva già conosciuto cinquant’anni prima. Qualcuno è stato ceduto, ma a poco, il presidente avvertiva fastidio nella trattativa, Balotelli lo ha scaricato lo spogliatoio, il resto sono spariti per cedimento strutturale, a costo zero, qualcuno in scadenza, li avrebbe adottati, quella gente lo commuoveva, lo avevano portato in cima. Fine dei malumori, di Calciopoli, del presidente scemo che spende e non vince, fine del tutti contro uno, fine del mondo. Moratti si sentiva in pace, stava facendo quello che gli dettava il cuore. Magari aveva capito anche lui, stava andando trionfalmente verso la sua fine. Via Josè è rientrato lentamente nel gregge, Benitez, Leonardo, Gasperini, Ranieri. Lo spagnolo rispose a chi gli chiedeva come mai l’Inter non sapeva più vincere: «C’è qualche trentenne di troppo...». Esonerato, li voleva cambiare, girava la voce che gli allenamenti fossero tarati su di loro, ormai fragili e pieni di medaglie. Avanti un altro, con Leonardo ci aveva creduto, il brasiliano un po’ meno, un’altra delusione, dopo una settimana che aveva messo sotto contratto Gasperini se ne era già pentito, Ranieri una soluzione tampone, sempre alla ricerca della fontana della gioventù, sempre alla ricerca di un altro Mourinho che non c’era.
Nel frattempo i libri societari piangevano, rosso ovunque, campagna acquisti sottotono, l’Inter non ha più acquistato nessuno con il talento di chi lo aveva preceduto, neppure la Saras, azienda di famiglia, se la stava passando benissimo, recessione sì, ma adesso erano gli altri a vincere. La scelta di Stramaccioni è stata un colpo anche per chi lo frequentava ma era il segnale di un club che si stava impoverendo, mai il presidente sarebbe andato su un allenatore della Primavera a 100mila euro a stagione. Quasi se ne vergognava, un giorno disse a Strama: lei guadagna troppo poco, qui minimo 1mln a stagione. Stra-amato, decine di giornalisti sotto la sede ogni mattina ad attenderlo, e poi ancora prima che rientrasse a casa per pranzare. Volevi vedere il preside? Ore 11,30 del mattino, più o meno, sotto la Saras, poi alle 13,30, poi il ritorno verso le 16, alla sera mai prima delle 19. Moratti passava con una sensibile eleganza, colpi bassi anche dal destino con la scomparsa di Giacinto Facchetti, l’Inter in Europa league, poi fuori anche da quella, aveva in mente qualcosa ma ormai c’era poco tempo e pochi soldi. Non stupisce il suo commento su Mazzarri, aveva esonerato Gigi Simoni il giorno in cui il tecnico prese la Panchina d’oro e dopo aver battuto in Champions 3-1 il Madrid. Aveva esonerato Mancini dopo uno scudetto. Si era esonerato quando scelse un altro Moratti per continuare a sognare. Ma la storia dell’amministrazione scellerata no, così, davanti a tutti, unica colpevole.
Gli è sempre piaciuto stupirsi anche quando conosceva la verità, verso la una di notte del 22 maggio si guardava in giro e chiedeva: ma Josè dov’è?
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MATTEO BREGA, MATTEO DALLA VITE E LUCA TAIDELLI, LA GAZZETTA DELLO SPORT -
La bomba esplode nel primo pomeriggio con un freddo comunicato. Ma la decisione di «rinunciare alla carica di presidente onorario di F.C Internazionale Milano Spa gentilmente offertagli da Mr Erick Thohir nel novembre dello scorso anno», Massimo Moratti l’aveva presa lunedì. Dopo una telefonata col figlio Angelomario, vicepresidente anche lui dimissionario, quello della famiglia che in questi mesi era stato più vicino ad ET, ma che alla fine è stato costretto a spingere il padre verso il grande passo. Il focolaio maggiore di un incendio comunque vasto era scoppiato infatti con la gestione mediatica del post assemblea dei soci del nuovo Ceo nerazzurro Michael Bolingbroke - proprio quello con cui Moratti aveva cenato e simpatizzato in estate, prima della nomina - e dello stesso Thohir. «Siamo pronti a raddrizzare ciò che è andato storto - aveva detto l’ex United a proposito del warning Uefa sul fair play finanziario -, ora ci sono norme che eviteranno che il club venga gestito come in passato». «Con il fair play Uefa le società non sono più un giocattolo in mano ad alcuni», aveva rincarato la dose ET.
Latina e le banche Esternazioni che hanno fatto infuriare Moratti, anche se ieri il petroliere era sollevato per la decisione presa. Da mesi infatti era infastidito per come la nuova proprietà faceva riferimento ad una precedente gestione-economico finanziaria pre fallimentare. Però senza manifestare apertamente il suo pensiero che proviamo a riportare qui di seguito: «Ma come, presenti un bilancio ancora peggiore di quello che avevo lasciato io e appena me ne vado scarichi ogni responsabilità su di me, dando quasi dell’incompetente al tuo socio cui hai chiesto in ogni modo di restare?». Solo una volta - a Latina, nel maggio scorso - l’ex patron aveva lanciato un messaggio pubblico: «Consiglio anche a Thohir di non continuare a parlare di club da risanare». Pur avendo fatto mea culpa su alcune scelte sbagliate e sul mancato sfruttamento commerciale di un evento irripetibile come il Triplete 2010, a Moratti non sono mai andate giù due cose su questi benedetti conti in rosso. In primis il fatto che gli uomini di Thohir prima del closing abbiano spulciato in sede i libri contabili per 7-8 mesi. Se la situazione era così disastrosa, ET avrebbe potuto rinunciare. Invece - questo è il secondo punto - ha definito l’acquisto della maggioranza nerazzurra un grande affare ma - a parte i 75 milioni iniziali e i 22 di finanziamento- non ha messo soldi di tasca sua, ottenendo un mega prestito di 230 milioni da istituti di credito cui di fatto finirà la società se il nuovo management non rientrerà nel debito entro 5 anni. «Mi hanno chiesto in ogni modo di restare con il 30% e ho accettato anche perché pensavo che così avrebbero tirato fuori meno soldi, che potevano investire sulla squadra. Invece...».
Gli altri focolai In questi 12 mesi scarsi dalla svolta epocale del 15 novembre scorso, le frizioni sono state anche altre. A cominciare dal trattamento riservato a diversi dipendenti legati a doppio filo alla famiglia Moratti. Precisato che lo stesso petroliere era consapevole che per risistemare i conti bisognava tagliare i costi e quindi anche l’organico a tutti i livelli, non gli è poi piaciuta la forma con cui sono progressivamente state accantonate cinque icone come Cambiasso, Cordoba, Milito, Samuel e Zanetti (fatto sì vicepresidente, ma con deleghe poco chiare e un’anomala durata biennale) e una quarantina di dipendenti.
Ciao Cda ed ET basito Una fredda lettera, senza neanche una telefonata. Al punto che viene da pensare che davvero Moratti abbia voluto servire fredda anche la vendetta. Perché ieri non ha avvisato Thohir prima di rinunciare a una carica onoraria che non gli era mai piaciuta. E prima di portare con sé - al termine di una riunione con gli interessati tenuta ieri mattina - anche «il dott. Angelomario Moratti, il dott. Rinaldo Ghelfi e il dott. Alberto Manzonetto, che hanno rassegnato ciascuno a titolo individuale le proprie dimissioni dalla carica di consigliere di amministrazione della società». ET infatti ha ricevuto la notizia appena terminata un’intervista con Espn ed è rimasto a bocca aperta. Tanto che i due si sono subito sentiti al telefono e incontrati poco dopo in una delle case dei Moratti, nel pieno centro di Milano. All’uscita, il tycoon non ha parlato. Quando invece è stato il turno di Moratti di fendere in auto la folla dei cronisti è arrivato un «Non parlo. C’è la partita, è tardi», anche se a Inter-Saint Etienne mancavano più di due ore e soprattutto MM non aveva alcuna intenzione di andare allo stadio. Tanto che alle 21 è uscito per vedere il match a casa del fratello.
Quei silenzi post Mazzarri Dallo stadio, Thohir invece ha spiegato che «le dimissioni non cambiano il rapporto tra le famiglie, Moratti mi ha detto che continuerà a supportarmi. Certo che ora dovrò rivedere alcune operazioni fatte dalla società». I due hanno parlato anche di Walter Mazzarri, la cui risposta a Moratti («Ho altro a cui pensare») era stata inizialmente vista come il motivo della rottura. Salvo essere solo il detonatore della bomba: «Traete le conseguenze...» ha detto in serata. Mentre prima aveva minimizzato: «Avevo solo detto un’ovvietà, cioè che un allenatore dipende dai risultati». Più dell’atteggiamento del tecnico - che grazie a Moratti è all’Inter da più pagato della Serie A -, all’ex patron ha dato molto fastidio che nessuno della società poi lo abbia chiamato per stigmatizzare l’episodio. Legittimando di fatto la non comunicazione a Thohir delle dimissioni.
Grande saggio? Ma sull’allenatore rimangono dei dubbi legati anche al rapporto con Thohir, verso il quale comunque Moratti continua a provare affetto. Per MM, la colpa del tycoon al limite è quella di essersi circondato di gente poco interista, che non ha capito che dando continue picconate alla gestione precedente - quella che avrà anche lasciato dei conti fuori posto ma ha portato l’Inter in cima al mondo - fa del male solo a se stessa. E anche la tesi di averlo tenuto come grande saggio, ha scricchiolato a più riprese. Oltre a quella di due settimane fa sulla posizione di Mazzarri, Moratti ricorda che c’era stata una telefonata anche la scorsa estate in cui Thohir aveva manifestato dubbi sul rinnovo. Il petroliere gli disse di prendere tempo, ma due giorni dopo sarebbe arrivata la notizia del prolungamento del contratto di WM sino al 2016... Una giornata storica, che MM alle 23.30 commenta così: «C’è stato un certo cambiamento, ma nulla di drammatico. Thohir dice che continuerò a sostenere l’Inter? Certamente». Sipario.
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MARCO IARIA, LA GAZZETTA DELLO SPORT -
Non è proprio un addio, non può esserlo, non ora. Massimo Moratti sbatte la porta ma resta con un piede dentro l’Inter. Ci resta con quel 29,5% che fa di Internazionale Holding - veicolo familiare detenuto assieme ai figli Angelomario e Giovanni - l’azionista di minoranza della società guidata da Thohir. I patti statutari lo lasciano libero di disfarsi della sua quota, a differenza degli indonesiani che fino al 15 novembre 2016 non possono scendere sotto il 70% senza il consenso di Moratti. Nell’eventualità ET potrebbe far valere il diritto di prelazione ma la realtà è diversa: l’uno non vuol cedere e l’altro non vuol comprare. Ecco perché, nonostante il terremoto di ieri, si assisterà a una convivenza forzata per un bel po’. In teoria ci sarebbe una terza via: diluire la quota attraverso le mancate adesioni ai futuri aumenti di capitale. Ma nei piani di Thohir non sono previsti.
Calcoli Quando, un anno fa, l’Inter passò di mano, fu Thohir a posizionare l’asticella al 70%: perché abituato a fare business a braccetto con altri partner, ma anche e soprattutto per una convenienza economica. Valutando la società complessivamente 350 milioni, si è così fatto carico di “soli” 250, versando 75 milioni cash e accollandosene 170-180 di debiti. Il restante 29,5% di Moratti valeva, secondo quei calcoli, un centinaio di milioni. E l’essere rimasto tra i soci ha permesso al vecchio patron di aspirare ai benefici di un ipotetico rilancio del club: nel giro di qualche anno, con un’Inter ripulita dai buchi di bilancio, Moratti potrebbe dismettere la sua partecipazione e racimolare qualche soldo, dopo che in 19 anni di militanza ne ha versati ben 1285 milioni. Non è questo il momento per l’addio definitivo. La società ha appena licenziato un esercizio con un deficit reale di 103 milioni. Chi mai si accollerebbe la fetta minoritaria di un club decotto e fuori dalla Champions?
Filosofia opposta Lo stesso Thohir non ha la intenzione di mettere ancora mano al portafogli. È vero che tra maggio e giugno ha prestato all’Inter 22 milioni, ma con un interesse annuo dell’8%. E i debiti pregressi non se li è caricati sulle sue spalle. Con una complessa manovra di rifinanziamento ha convinto un pool di banche a scucire 230 milioni mettendo in pegno i beni dell’Inter: contratti di sponsorizzazione, crediti dei diritti tv, marchio. È così che ha liberato i residui 127 milioni garantiti da Moratti. Se davvero l’Inter si trasformasse in un Vietnam, operazioni di questo tipo potrebbero essere contestate dall’“opposizione”. Moratti, infatti, medita di sostituire nel cda il figlio Mao, Ghelfi e Manzonetto con tre uomini di fiducia nelle vesti di controllori. Secondo lo statuto, un certo ostruzionismo i morattiani potrebbero esercitarlo: non tanto sugli acquisti di mercato superiori a 20 milioni (non rientrano nel budget della nuova Inter), quanto sulle operazioni che coinvolgano i soci di maggioranza, sulla costruzione di un nuovo stadio, sull’utilizzo di linee di credito o stipule di mutuo, su partecipazioni o cessioni del marchio. Ma Thohir tira dritto. Ha deciso di rivoltare l’Inter come un calzino perché era l’unico modo per condurla nella nuova era, quella dell’autofinanziamento e della globalizzazione. Alternative non ce ne sono: o il progetto indonesiano riesce o la Beneamata finisce nelle mani delle banche.
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NICOLA CECERE, LA GAZZETTA DELLO SPORT -
L’era di Massimo Moratti comincia ufficialmente il 18 febbraio 1995. Acquistare il club gli costa 55 miliardi di lire, Massimo non ha ancora compiuto i 50 anni, è pieno di entusiasmo, trasmette fervore e voglia di fare. Il neo presidente vorrebbe presentarsi con Eric Cantona, fantasista francese del Manchester United, ma quello fa il matto e incappa in una lunga squalifica. Così da oltre Manica arriva il grintoso centrocampista Paul Ince e dal Brasile il terzino d’attacco Roberto Carlos mentre Antonio Valentin Angelillo, cannoniere e gloria del passato, presenta i colpi argentini, Sebastian «Avioncito» Rambert (una meteora) e un certo Javier Zanetti. A sorpresa Moratti conferma in panchina Ottavio Bianchi, ma vira ben presto su Roy Hodgson. In estate arrivano Djorkaeff, Zamorano, Winter, Sforza, Angloma. Ci sarebbe la possibilità di cogliere il primo trofeo nella finale Uefa a San Siro. Ma finisce male ai rigori e Zanetti litiga con l’allenatore. Hodgson perde la sfida, le staffe e se ne va.
Ecco il Fenomeno Un Moratti scatenato punta tutto su Ronaldo, giovane fenomeno brasiliano. Con 48 miliardi di lire il presidente si porta a casa il più micidiale attaccante in circolazione. L’Inter è finalmente competitiva ai massimi livelli, difatti contende lo scudetto alla Juve sino allo scontro diretto di Torino, dove l’arbitro «pensionando» Ceccarini non assegna un rigore a Ronaldo parso solare. Poi va a Parigi a fare festa nella finale tutta italiana della coppa Uefa: 3-0 alla Lazio. Il secondo posto in campionato permette di tornare in Champions dopo nove anni.
Ronaldo crac Ma il destino gioca un brutto tiro a Moratti azzoppandogli la sua stella numero uno: Ronaldo rientra dal Mondiale francese del 1998 con una tendinopatia rotulea. Ne viene fuori una stagione travagliata con Simoni traumaticamente esonerato a fine novembre. Moratti si affida prima a Lucescu, poi chiama Lippi e infine Cuper, un argentino che si è ben comportato col Valencia. Investe novanta miliardi su Bobo Vieri, compra decine di giocatori famosi. Alla gestione Cuper è legata la più grande delusione patita da Moratti in questa sua lunga avventura, lo scudetto perso all’Olimpico contro la Lazio (2-4) all’ultima giornata in quel disgraziato pomeriggio del 5 maggio 2002.
Mancini, Ibra e Mou A gennaio 2004 affida la presidenza al fidato Giacinto Facchetti. E dopo Zaccheroni punta deciso su Roberto Mancini, che comincia a portare la Coppa Italia. Nella seconda stagione c’è subito il successo in Supercoppa contro la Juve e arriva un’altra Coppa Italia. Ma in estate, al termine del processo Calciopoli, la giustizia sportiva assegna a Moratti lo scudetto tolto alla Juve: il presidente lo considererà il più significativo della sua collezione proprio perché accerta il marcio da lui sospettato da tempo. Con Zlatan Ibrahimovic strappato alla proprio alla Juve (22 milioni) e Roberto Mancini alla guida si può partire verso la gloria. Arrivano due scudetti sul campo e arriva pure… José Mourinho, l’uomo del destino.
Il triplete Moratti lo blocca quando Mancini, eliminato a febbraio dal Liverpool in Champions, manifesta l’intenzione di chiudere il suo ciclo nonostante abbia rinnovato il contratto sino al 2011. Una decisione di pancia sulla quale il tecnico italiano tornerà, pentito, ma troppo tardi per evitare l’avvento del Profeta di Setubal, che in effetti si rivela l’uomo della provvidenza, il nuovo Mago Herrera. Con Mourinho direttore d’orchestra, la cessione di Ibrahimovic al Barcellona in cambio di circa 50 milioni e del duttile Eto’o, l’Inter vive un 2010 storico: scudetto, coppa Italia e, soprattutto, Champions superando Barcellona e Bayern Monaco. In inverno, con Rafa Benitez in panchina, vince pure il Mondiale per club: non ci sono più traguardi da tagliare, Massimo Moratti può ritirarsi dalla scena. Ha saldato quel debito morale contratto con i tifosi all’inizio dell’avventura.