Mario Baldassarri, Panorama 23/10/2014, 23 ottobre 2014
UN BLUFF I CONTI DEL GOVERNO
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Il governo ha detto che la manovra per il 2015 «pesa» 36 miliardi di euro, con 18 miliardi di tagli di tasse e 15 miliardi di tagli di spesa. Questi numeri sono poi stati diffusi e amplificati pedissequamente da tutti i media.
C’è un problema, però. Quei tagli di tasse e di spese sono riferiti ai valori «virtuali» delle previsioni tendenziali per l’anno prossimo, numeri che non sono ancora «entrati» nell’economia reale e finanziaria italiana. Ciò che invece conta per l’economia sono i dati «veri» del prossimo anno, che si avranno «dopo» aver tagliato o aumentato i valori virtuali delle previsioni tendenziali. Se quest’anno ho speso 1.000 euro e prevedo di spenderne 1.200 l’anno prossimo, un «taglio» di 100 euro sui 1.200 «previsti» significa un aumento di 100 euro rispetto a quest’anno e non una diminuzione. Ecco perché ho riprodotto nella tabella (identica alla tavola «Entrate-spesa» usata dal governo) i numeri riferiti ai dati tendenziali virtuali del 2015 (che esprimono la manovra da 36 miliardi) e i numeri che si ottengono dopo i tagli di tasse e di spese proposti che vanno confrontati con i dati veri dell’anno in corso, cioè il 2014. Sul fronte delle entrate si vede allora che:
1) Gli 11 miliardi di deficit in più, in realtà determinano un deficit pubblico del 2015 esattamente uguale a quello di quest’anno. Quindi... nessuna risorsa in più o in meno.
2) I 15 miliardi di spending review sono in realtà 10,3, poiché 2,7 miliardi sono già stati fatti quest’anno e i tagli alle regioni determinano rispetto a quest’anno una riduzione di soli 2 miliardi.
3) Dei 3,6 miliardi di aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, 2,2 miliardi sono già stati realizzati nel 2014: il vero effetto sul 2015 è di 1,4 miliardi in più.
4) I 3,8 miliardi da lotta all’evasione si possono contabilizzare dopo averli realizzati e non ex ante (su questo la Commissione europea potrebbe avere da ridire).
5) Il miliardo di riprogrammazione significa solo spostare nel tempo futuro quelle spese e non ha niente a che vedere con il confronto con le spese del 2014. Sul fronte delle spese si verifica che:
1) Dei 9,5 miliardi di bonus fiscale, 6 miliardi sono già stati dati quest’anno, quindi nel 2015 avremo soltanto 3,5 miliardi in più.
2) Dei 5 miliardi di riduzione Irap, 1,5 miliardi erano già stati dati nel 2014, quindi le imprese avranno un ulteriore sgravio pari a 3,5 miliardi. Va detto inoltre che il gettito totale Irap è pari a circa 24 miliardi di euro. Il costo del lavoro rappresenta il 50-60 per cento della base imponibile. Se si eliminasse totalmente il costo del lavoro dall’Irap il mancato gettito sarebbe di 12-13 miliardi di euro. Pertanto, con 5 miliardi si riuscirà a ridurre solo il 35 per cento del costo del lavoro dall’Irap.
3) 1,9 miliardi assegnati alla decontribuzione dei nuovi assunti a tempo indeterminato non possono essere considerati come maggiori spese o minori entrate. Infatti, se si attiverà più occupazione che altrimenti non si sarebbe ottenuta, l’Inps non riscuoterà i relativi contributi, ma lo Stato riscuoterà una maggiore Irpef che controbilancia quasi esattamente il mancato gettito contributivo. Se invece il provvedimento non attivasse nuove assunzioni non ci sarebbe allora alcun onere da parte del bilancio pubblico.
4) L’eliminazione delle maggiori imposte per 3 miliardi che sarebbero scattate l’anno prossimo è cosa «buona e giusta». Ma questo non significa alcuna riduzione di imposte rispetto al 2014 visto che ancora per nostra fortuna non c’erano.
5) La somma messa sugli ammortizzatori sociali per 1,5 miliardi sembra essere aggiuntiva. Ma rispetto a cosa? Se, come tutti speriamo, i cassaintegrati si riducono, forse dovremo spendere anche meno di quanto speso quest’anno. E se aumentassero?
6) I 3,4 miliardi di «riserva» potrebbero svanire se qualcuno non accettasse di contabilizzare i 3,8 miliardi di lotta all’evasione.
7) I 6,9 miliardi di conferma di provvedimenti della legislazione vigente erano già compresi nei numeri virtuali delle previsioni tendenziali e corrispondono, più o meno, a spese effettuate anche quest’anno.
Nel complesso, nell’economia italiana nel 2015 rispetto al 2014 ci saranno 13,3 miliardi veri in più di entrate (e non 36) e 11,8 miliardi in più di spese «vere» (e non 36). Dei 13,3 miliardi di maggiori entrate ne avremo 10,3 da tagli di spesa e 3 da maggiori tasse. E questi tagli di spesa sugli enti locali sono pressoché lineari. Infatti, non sono mirati alle tre voci di spesa che, in tutti gli enti pubblici, contengono sprechi, malversazioni e ruberie: acquisti di beni e servizi, fondi perduti ed ex municipalizzate. In più c’è il rischio che regioni ed enti locali aumentino le tasse anziché tagliare le spese.
Degli 11,8 miliardi di maggiori spese avremo 4,8 miliardi di sgravi fiscali alle famiglie. Tra questi appaiono 500 milioni di euro che andranno come buono-bebè agli oltre 500 mila bambini che nasceranno nel 2015. Ma se il bonus va dato per 3 anni, allora il costo nel 2016 è pari a 1 miliardo e dal 2017 in poi a 1,5 miliardi. Da dove si prendono? Ci sono poi 3,8 miliardi di sgravi fiscali alle imprese e 3,2 miliardi di maggiori spese per le assunzioni nelle scuole, per l’allentamento del Patto di stabilità interno, per il cofinanziamento e per le briciole a Giustizia, Roma Capitale e Milano Expo.
Alla luce del peso vero della manovra, appare quindi condivisibile e coerente la previsione del governo che stima, con la legge di stabilità e le riforme strutturali, una maggiore spinta alla crescita pari al più 0,1 per cento nel 2015 e al più 0,2 dal 2016 in poi. Purtroppo però con questi impulsi la disoccupazione aumenta almeno fino al 2016. Da dove verranno allora gli annunciati 800 mila occupati in più?
Mario Baldassarri, presidente Centro studi economia reale