Maurizio Tortorella; Paola Sacchi, Panorama 23/10/2014, 23 ottobre 2014
L’ALTRO MATTEO
È stato bravo, il giovane Matteo: divenuto segretario, in dieci mesi ha rottamato quasi tutta la vecchia guardia del partito e poi ne ha velocemente rinnovato l’armamentario ideologico, lanciando parole d’ordine di netta rottura. Così ha ampliato i suoi consensi a destra. E ora, da mediatico iperattivo, continua a non perdere un colpo: è sempre sotto i riflettori, tra la gente, in piazza o in tv; twitta a mitraglia; gira in Italia e all’estero, come una trottola; e ovunque stringe mani e accordi, fa annunci e promesse...
Renzi? Ma no, macché, non ci siamo capiti: Matteo Salvini. È lui l’uomo politico del momento. Nominato segretario della Lega Nord nel dicembre 2013, a 40 anni, ha avviato un’escalation d’iniziative e ormai pare azzeccarle quasi tutte: esce dalla manifestazione milanese di sabato 18 ottobre contro «l’invasione dei clandestini», una fiumana di 50 mila bandiere leghiste con l’inedita adesione della destra nazionalista di Casa Pound, per volare a Bruxelles dove mercoledì 22 intima addirittura la sospensione del trattato di Schengen con la leader del Front national francese, Marine Le Pen, e chiede il ritorno a severi controlli alle frontiere. Intanto parla direttamente con Vladimir Putin, schierandosi contro le sanzioni economiche alla Russia «che danneggiano soprattutto le nostre aziende», e ottiene da Forza Italia la candidatura congiunta a governatore dell’Emilia-Romagna per il sindaco leghista di Bondeno, Alan Fabbri, alle regionali del 23 novembre. Nel frattempo fa proseliti con i suoi referendum abrogativi: di certo non sono solo i leghisti a firmare ai banchetti contro la riforma delle pensioni dell’ex ministro Elsa Fornero, o contro la legge Merlin che vieta le case chiuse.
Corre e sgobba, Matteo. Come sempre ha fatto, da quando era il ragazzino attivista degli anni Novanta o l’ultimo dei consiglieri comunali nella Milano post Tangentopoli del primo sindaco leghista, Marco Formentini. Oggi i sondaggi lo premiano. Alle europee del 24 maggio la Lega, nel 2013 data frettolosamente per morta dopo la lunga agonia giudiziaria della segreteria di Umberto Bossi, aveva già sorpreso incassando, con la dura campagna «basta euro», 1,7 milioni di voti e il 6,2 per cento, con cinque eletti. Ma nelle ultime propensioni al voto il Carroccio supera di slancio 1’8,5 per cento.
«Conserviamo i nostri vecchi elettori» dice a Panorama Roberto Maroni, segretario prima di Salvini e oggi governatore della Lombardia, «mentre tanti altri, del tutto nuovi, sono interessati alla svolta. Per questo ci candidiamo a essere il partito guida del centrodestra rinnovato. Le posizioni dure di Salvini funzionano, come la discesa al Sud: nel 1995 ci avevamo provato Bossi e io, ma la nostra Lega Italia federale non decollò. Ci fermammo: un po’ perché eravamo troppo identificati con il Nord e un po’ per la paura d’imbarcare vecchi arnesi della Prima repubblica. Se non peggio...».
Già sei mesi fa era stato chiaro che Salvini puntava a trasformare in partito nazionale un movimento che per 20 anni aveva issato sulle sue bandiere l’astrazione geografica della Padania e rincorso la mistica di un’impossibile secessione. Da allora, l’«altro Matteo» ha deciso che tutto era pronto per occupare, a destra, lo spazio dei tre no: no euro, no clandestini, no tasse. Lo dice lui stesso a Panorama: «Se 15 anni fa marciavo orgogliosamente sul Po, oggi devo combattere contro lo sterminio economico dell’Italia. Perché l’emergenza è questa, ed è nazionale».
Sicuramente nella svolta hanno giocato un ruolo cruciale i successi elettorali ottenuti in Francia dal Front national lepeniano, con il quale Salvini vorrebbe fare gruppo comune a Bruxelles e di cui sarà ospite d’onore nel congresso di Lione, il 29-30 novembre. Convinto sull’esempio della destra francese di sfondare ovunque, anche in quel Sud dove già alle europee di maggio ha avuto qualche soddisfazione, Salvini elenca i nemici da battere: «Bruxelles ci massacra con l’euro e con la sua gabbia di regole assurde; l’immigrazione è ormai un’invasione pianificata, non casuale, di disperati da 3 euro l’ora; e il fisco uccide tutti noi, dal made in Italy alle partite Iva, dai dipendenti ai pensionati, a Brescia come a Lecce».
Proprio al Sud, Salvini da mesi tesse una ragnatela di alleanze per le elezioni amministrative della primavera 2015. È una rete di partitini locali, di movimenti populisti e nemici dell’Europa, che s’ispirano alle teorie «sovraniste», contrarie alla compressione della sovranità nazionale a favore di Bruxelles. Non ne fanno parte solo emeriti sconosciuti: Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale, è tra i fondatori della meridionale Riscossa italiana (la sigla si spiega meglio legando tra loro una serie di maiuscole: RIStabilire COstituzione Sovrana SAlvandoci). A Napoli ha un certo seguito Angelo Delle Cave, consigliere provinciale eletto nel Nuovo Psi. A Roma ha annunciato la sua adesione Silvano Moffa, già presidente (An) della provincia. In Sicilia si gioca sull’esasperazione per gli sbarchi dalla Libia: e a Lampedusa, per le europee, l’ex vicesindaco Angela Maraventano ha già regalato alla Lega il 17 per cento.
Alessandra Ghisleri, sondaggista di Euromedia Research, è certa che sia stata proprio la diversificazione della proposta politica del segretario ad averlo premiato: «Le sue tre battaglie creano ondate di consensi» dice «e grazie a loro la felpa di Salvini ormai muove più di un manifesto 6 metri per 3». Sarà per questo se i sondaggi della società demoscopica milanese, tradizionalmente affidabile e specializzata soprattutto nei «carotaggi» elettorali del centrodestra, registra impennate di fiducia: il 5 settembre il segretario leghista piaceva al 18,8 per cento degli italiani; la quota è aumentata al 20,2 a metà ottobre ed è salita ancora al 20,8 lunedì 20, due giorni dopo la manifestazione milanese.
Per intenderci, quanto a fiducia Salvini ormai batte Beppe Grillo, il quale però ha un numero di elettori quasi tre volte superiore del leader leghista e tra Camera e Senato muove 162 parlamentari contro i 37 del Carroccio: nell’ultima settimana, dopo l’ingloriosa ritirata dal fango genovese, l’ex comico è sceso dal 21,6 al 20,5 nella stima degli italiani. Così è parso chiaro che la sua sparata di lunedì 20 ottobre («I clandestini vanno rispediti a casa» ha scritto Grillo sul suo blog, tra mille proteste della sua base «e ci vuole la visita medica obbligatoria per chi entra in Italia») sia stata solo un rilancio propagandistico concorrenziale, alla rincorsa dei leghisti. Rispetto a Grillo, però, il consenso di Salvini è molto più trasversale: arriva al 97 per cento tra i leghisti, al 30 fra gli elettori di Forza Italia, al 28,4 tra i simpatizzanti dei 5 stelle. Soprattutto, la nuova Lega piace al 22 per cento di quanti oggi non votano. E conquista perfino 1’11,3 per cento di quella destra nazionalista che fino a un anno fa inorridiva davanti agli sberleffi al tricolore e schifava la sola idea di una secessione. «Certo» conclude Ghisleri «bisogna vedere poi se questa fiducia si trasformerà in voti. Salvini è un uomo-panino, la fattività resta il suo punto debole».
Lo stesso Renzi, comunque, è allarmato dall’ultima mutazione leghista se 48 ore dopo il corteo milanese ha dovuto proclamare che «un tempo c’erano due destre: quella populista del Carroccio e quella nazionalista di An. Ma oggi ce n’è una nuova, a caccia di nuove radici culturali. È una destra che c’è in Europa e prova a esserci in Italia, in modo ideologico». Salvini lo ascolta e fa spallucce: «L’ideologia la lascio tutta a Renzi» dice. «Basta con i vecchi steccati di destra e sinistra. Io lavoro bene con chi ha voglia di fare: anche con la Fiom, quando si tratta di risolvere problemi aziendali».
Quel satanasso di Mario Borghezio, invece, gongola: «Ora abbiamo di fronte una prateria elettorale». Deputato leghista a Strasburgo dal 2006, Borghezio in quel Parlamento ha seduto per anni proprio accanto a Salvini. E quando alle ultime elezioni europee il segretario l’ha inviato nell’inospitale circoscrizione del Centro Italia, il candidato ha rispolverato tutti i suoi antichi collegamenti di destra, dai neofascisti di Casa Pound a quelli di Italia sociale. In febbraio Borghezio ha perfino fondato un movimento che colora le insegne del solito verde leghista, ma che di nome fa «Patriae», cioè patrie in latino, e nel sottotitolo suona come «Fronte dei popoli europei». Risultati? Quasi 5.900 preferenze per lui e il primo, storico seggio conquistato a sud della linea gotica. E il 18 ottobre, nel corteo «stop invasione» di Milano, erano 2 mila soltanto gli attivisti dei centri sociali di estrema destra, con striscioni dove campeggiava il motto che era stato di Maroni: «Prima gli italiani».
Al Sud, va detto, Borghezio ha fatto una vittima di peso: Claudio Borghi Aquilini, candidato con lui in Lazio, Toscana, Umbria e Marche, destinatario di 2.851 preferenze e primo dei non eletti. Ma Borghi non se ne adombra: 50 anni, docente di economia alla Cattolica di Milano, ha un solido rapporto con Salvini, che ha conosciuto una notte del luglio 2013. «Mi telefonò all’una e mi chiese di spiegargli le mie “strane idee” sull’euro, quelle che allora scrivevo sul Giornale e ora sul mio blog». È stato proprio a Borghi che Salvini ha affidato la strategia «no euro», rivelatasi così utile per il voto europeo. Ed è a lui che ora ha chiesto di elaborare nei dettagli la proposta leghista di una «flat tax»: un sistema fiscale ad aliquota unica, mutuato dalla teoria ultraliberista statunitense e dalla positiva esperienza di molti paesi dell’ex blocco sovietico. «Ne abbiamo già parlato al nostro ultimo congresso, in luglio, ma in dicembre la lanceremo alla grande, proponendola direttamente a Renzi» annuncia Salvini. Che pensa a un’aliquota «piatta» per cittadini e imprese, al 15-20 per cento: l’idea, con la rivoluzionaria sferzata all’economia che comporta, da tempo ha conquistato Silvio Berlusconi, che vuole fame strumento di riaggregazione antisinistra. Forza Italia, del resto, guarda alle novità di casa leghista con favorevole attenzione. «Oggi Salvini parla a un elettorato dal dente avvelenato con l’Unione europea, mentre il nostro è più ragionevole e moderato» dice a Panorama Giovanni Toti, consigliere politico del partito berlusconiano «anche perché sa bene che un’uscita dal sistema avrebbe conseguenze inimmaginabili».
Insomma, tra leghisti e forzisti si conferma la tranquilla competizione tra alleati: «Sull’Europa, sul fisco e sul fallimento dell’operazione Mare nostrum abbiamo idee coerenti e contiamo di aggregare Fratelli d’Italia» osserva Toti. «Ora però Salvini deve mostrare di saper mettere a frutto i suoi voti, come a suo tempo fece Bossi. Perché se non arrivano risposte concrete, lo sa bene, la protesta non va da nessuna parte». Così i due partiti hanno già concordato un’alleanza per le regionali emiliane, e più in là per quelle in Veneto (con la riproposizione del governatore leghista Luca Zaia), Toscana, Liguria, Marche e Campania, dove il nome da votare per il centrodestra sarà quello dell’azzurro Stefano Caldoro.
La ciliegina sulla torta, per Salvini, potrebbe essere un suo antico sogno: candidarsi a sindaco di Milano nel 2016. «Il sogno è legittimo, ne ragioneremo senza preclusioni» conclude Toti. Anche se a Milano, alle europee, la Lega ha preso il 7,4 per cento contro il 16,7 di Forza Italia. Si dovrà vedere, è ovvio, che cosa ne pensa Berlusconi. Tra i due c’è simpatia: «È così» conferma Salvini «anche se da quando sono diventato segretario ci siamo visti tre volte in tutto, e di sindaci a Milano non abbiamo mai parlato. Io comunque non voglio impenni: chiedo solo che per quella candidatura del centrodestra si passi attraverso primarie di coalizione».
E sembra quasi di sentire l’«altro» Matteo.