Gianluca Ranzini, Focus 11/2014, 23 ottobre 2014
PROFESSIONE ASTRONAUTA
Ragazzi e ragazze che si buttano in un lago con uno strano scafandro. Poi si calano in una grotta. E infine iniziano una specie di giro del mondo che li porterà in Giappone, Germania, Stati Uniti, Russia, Canada. Cosa stanno combinando? Si preparano ad andare nello spazio.
UN SOGNO. Prima dell’era dei calciatori e dei tronisti, il sogno della maggior parte dei ragazzini era proprio di fare l’astronauta. E per molti lo è ancora, se pensiamo che all’ultimo bando dell’Agenzia spaziale europea (Esa), nel 2008, si sono presentati 8.500 candidati, 1.200 dei quali donne. Solo 6 sono stati scelti, e due sono italiani: Luca Parmitano, che ha volato nel 2013, e Samantha Cristoforetti, in procinto di partire per la Stazione spaziale internazionale (Iss). Anche lei sognava lo spazio fin da piccola: «Da quando ero bambina sapevo di voler diventare astronauta, e non ho mai cambiato idea», racconta da Houston, dove sta completando la preparazione. Ma il percorso è stato lungo, ed è passato per una laurea in ingegneria a Monaco di Baviera, con studi di perfezionamento a Tolosa e Mosca, e anche per un’ulteriore laurea in scienze aeronautiche all’Accademia di Pozzuoli. Samantha è infatti capitano dell’Aeronautica militare, oltre che astronauta dell’Esa, e andrà in missione per l’Agenzia spaziale italiana (Asi). Benché lei avesse le idee chiare sul proprio futuro, nella catena degli eventi che l’hanno portata allo spazio si è inserito anche uno di quei piccoli fatti casuali che possono fare la differenza. Negli anni in cui era pilota militare, Samantha partecipava a un forum online, forumastronautico.it, in cui confluiscono professionisti e amatori del mondo dello spazio. Alla fine del 2007, i membri del forum organizzarono un evento. Samantha, come molti altri, ci andò. Gli amici del forum appresero quindi che, oltre a essere pilota, sapeva il russo, una lingua fondamentale, soprattutto da quando gli Space shuttle americani sono andati in pensione e per andare in orbita ci si deve affidare alle Soyuz russe. Fecero quindi presente alla superimpegnata Samantha che di lì a poco l’Esa avrebbe arruolato nuovi astronauti. Il relativo bando, infatti, uscì qualche mese dopo.
Le competenze richieste? Elevate, ma non da super uomini: buona conoscenza dell’inglese e una laurea in materie scientifiche (fisica o biologia) oppure in medicina, ingegneria o informatica. Si doveva presentare inoltre un certificato medico di idoneità al volo. I requisiti fisici sono diventati più blandi rispetto ai tempi delle prime missioni. Oggi l’Esa accetta candidati alti tra 153 e 190 cm, più o meno come Russia e Nasa. Sono quindi esclusi solo i “fuori misura”: non si riesce a infilarli nelle Soyuz. L’età per gli astronauti europei è fissata tra 27 e 37 anni, mentre la Nasa non pone limiti, anche se quella media dei prescelti è di 34 anni. E si possono portare gli occhiali.
BRAVI E SANI. Da lì inizia il lungo percorso di selezione. «Come prima cosa si doveva compilare un modulo online molto articolato e complesso», racconta Samantha. «Ricordo che ho dedicato quattro interi fine settimana solo a quello». Dagli 8.500 possibili candidati iniziali, un software ne selezionò 1.500, poi ridotti a 1.000 da una commissione “umana”. «Quindi seguì una giornata ad Amburgo di test psicoattitudinali, che comprendevano varie prove, dalla visualizzazione spaziale alle competenze tecnico-matematiche. Uscimmo tutti pensando di aver fatto malissimo... Ma alla fine fui tra i 200 che superarono i test».
Che cosa si chiede a un candidato astronauta? «Oltre alle competenze di base, come una laurea, è ovviamente importante essere sani», spiega Frank De Winne, capo dell’European Astronaut Centre dell’Esa a Colonia. «Non solo nel momento della visita ma anche per il futuro. La carriera di astronauta è lunga, e l’investimento per formarne uno è molto oneroso. Quindi cerchiamo di valutare se il candidato abbia la prospettiva di una buona salute a lungo termine». Sono poi utili la conoscenza di altre lingue oltre all’inglese e la capacità di adattarsi all’ambiente internazionale e multiculturale in cui ci si troverà. In altre parole, aver fatto esperienze di vita e di lavoro all’estero serve molto. Quanto alle competenze specifiche, la richiesta è diversa da ciò che ci si immagina: «Quando si fanno i test, se ho il massimo dei voti in 9 prove su 10 ma sono molto debole nell’ultima, rischio di essere escluso», sottolinea Cristoforetti. «Un astronauta deve essere bravino a fare un po’ di tutto. Non un genio in una cosa e scarso in un’altra».
NE RIMARRANNO SOLO 6. Le selezioni proseguirono con prove a gruppi, sul lavoro di squadra, e con gli esami medici. I 22 “sopravvissuti” furono sottoposti a un colloquio con una commissione dell’Esa, e i 10 rimasti a un incontro con il direttore generale e con il direttore del volo abitabile. «A quel punto le probabilità di farcela erano alte, 6 su 10», racconta Samantha. «Ma passò parecchio tempo, di stress altissimo, in attesa della decisione. Fino a un lunedì sera in cui mi arrivò la telefonata dell’Esa che mi convocava per il mercoledì a Parigi, alla conferenza stampa in cui si annunciavano i 6 prescelti. Ce l’avevo fatta. La tensione si è sciolta, è stato un grande sollievo».
Dal punto di vista economico, un astronauta dell’Esa percepisce uno stipendio dell’ordine dei 6.000 euro netti al mese, equivalente a quello di un altro dipendente di pari livello. In altre parole, un ingegnere dell’Esa guadagna quanto un astronauta. In Russia lo stipendio è molto inferiore; forse anche per questo all’ultimo bando si sono presentati in poche decine. In ogni caso, fa presente De Winne, ci sono altre possibilità: «Gli astronauti sono pochi. Ma se non si superano le selezioni e si vuole lavorare nel mondo del volo spaziale, si può diventare tecnici, ingegneri, operatori nel centro di controllo, analisti di dati e così via».
TRAINING. Dopo un anno di selezioni si è, però, solo all’inizio, perché da quel momento comincia il lavoro vero. «La prima parte, l’addestramento di base, dura 18 mesi e si svolge in buona parte a Colonia, al Centro astronauti dell’Agenzia spaziale europea», spiega Rüdiger Seine, capo della Training Division dell’Esa. «Lo scopo è di portare tutti allo stesso livello. Insegniamo fondamenti del volo spaziale, aeronautica, ingegneria e robotica, ma anche come si vive nello spazio. E tutti devono prendere il brevetto da sub». È in questa fase che i novelli astronauti svolgono corsi di sopravvivenza, in acqua, in grotta, a volte in un territorio desertico. «Servono nel caso di rientro in un luogo non previsto, o se le squadre di recupero non ci trovano in fretta. Ma pure per corroborare lo spirito di squadra», spiega Cristoforetti. L’addestramento inserisce i nuovi astronauti in una seconda famiglia, con un team di istruttori che, solo sul fronte Esa, comprende circa 35 persone. «E un periodo molto bello», sottolinea Seine. «Oltre a lavorare, viviamo insieme, cuciniamo insieme. Stiamo così a contatto da sviluppare una vera empatia reciproca: arriviamo a capirci senza bisogno di parole».
IN GIRO PER IL MONDO. Finito il training di base, quando un nuovo astronauta viene assegnato a una missione (e quindi si sa quando volerà), inizia quello specifico. «Questa fase ha una durata indicativa di 2 anni e mezzo, ma dipende da cosa farà l’astronauta», continua Seine. L’addestramento avanzato comprende la padronanza dei sistemi della Iss e della Soyuz, di aggancio e sgancio dei vari moduli che possono essere connessi alla Stazione, del braccio robotico per manipolare i carichi e molto altro. Gli astronauti devono spostarsi per il mondo: oltre a Colonia, trascorrono periodi negli Usa (per studiare la parte “occidentale” della Iss e per familiarizzarsi con le tute spaziali americane), in Canada (per il braccio robotico), in Russia (per Soyuz, tute russe e, per chi non lo sa, per imparare la lingua), in Giappone (per il modulo giapponese). Infine, nel periodo prima del lancio, si aggiunge il training sui tanti esperimenti da svolgere in orbita.
Un insegnamento curioso? «Forse quello all’interno di un planetario, che si svolge in Russia», racconta Rüdiger Seine. «Serve a mettere gli astronauti in grado di orientarsi con le stelle, se ci dovessero essere anomalie molto gravi agli strumenti. Un po’ come nel film Apollo 13, quando si vedono gli astronauti pilotare “a vista” la navicella orientandosi con la Terra nell’oblò. Di fatto, dai tempi del vero Apollo 13 questa competenza non è servita, ma non si sa mai...».
AVAMPOSTO 42. Si avvicina il lancio. Quella di Samantha, chiamata “Futura”, sarà la 42esima missione verso la Iss:
partenza prevista il 23 novembre. Chi ha letto Guida galattica per gli autostoppisti, romanzo cult di Douglas Adams, sa che nel libro il 42 ha un significato particolare: è la surreale risposta fornita da un megacomputer alla “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”. Per questo, il sito dove Samantha racconta la sue giornate è stato scherzosamente chiamato “Avamposto 42” (avamposto42.esa.int). Un po’ di umorismo serve pure a stemperare la tensione pre-volo, anche se il capitano Cristoforetti non sembra nervoso: «Siamo così impegnati che non c’è il tempo di preoccuparsi. Le giornate trascorrono nei preparativi e nei ripassi finali. Ma forse, subito prima del lancio, ci sarà il picco di adrenalina».
Gianluca Ranzini