Ivo Caizzi, Corriere della Sera 23/10/2014, 23 ottobre 2014
BARROSO, 10 ANNI DELUDENTI
La presidenza del portoghese José Manuel Barroso alla Commissione europea, che termina a fine mese, può essere rappresentata con il disinteresse e le critiche di tanti eurodeputati, nell’aula dell’Europarlamento semi-vuota, durante l’addio a Strasburgo. I liberali lo hanno considerato l’esempio da non ripetere quando c’è bisogno di «leadership in tempi di crisi». Socialisti e verdi hanno definito la sua presidenza «disastrosa». Tra gli euroscettici circolano giudizi irripetibili. Barroso ha dimostrato grande abilità nello schierarsi tempestivamente dove tirava il vento soffiato dall’asse Berlino-Parigi. Terrorizzato dalla trasparenza e dai giornali indipendenti, ha varato un apparato di portavoce orientato a respingere e a svicolare le domande imbarazzanti. Ha vietato l’accesso dei giornalisti accreditati negli uffici della sua Commissione, che era libero, eliminando l’unico controllo esterno. Ha addirittura secretato la sua posta istituzionale su Internet, che era pubblica per tutti i cittadini dell’Ue. Barroso ha mantenuto l’impegno a non fare ombra ai leader di Germania e Francia, che a Bruxelles vogliono politici di basso profilo. La crisi finanziaria, però, ha messo sotto accusa le politiche iperliberiste dei suoi euroburocrati, tutte a favore delle banche e delle grandi imprese. Le sue misure di austerità hanno affossato la Grecia e altri Paesi, facendo crollare il gradimento dei cittadini verso l’Europa. Non ha reagito con nuove idee e visioni.
Ma a Bruxelles si tende a non fare di Barroso l’unico capro espiatorio per il declino dell’Ue. Le maggiori responsabilità toccano ai capi di governo, che l’hanno nominato due volte, nonostante da premier avesse portato il suo Portogallo in una profonda recessione: applicando proprio le misure di austerità imposte – tramite la Commissione europea – da Germania e Francia.
Ivo Caizzi