Marigia Mangano, Il Sole 24 Ore 22/10/2014 e Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 22/10/2014, 22 ottobre 2014
I CINESI SONO ENTRATI ANCHE IN MEDIOBANCA. LA BANCA CENTRALE DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE, LA PEOPLE’S BANK OF CHINA, DETIENE IL 2,001% DEL CAPITALE DI PIAZZETTA CUCCIA. L’ISTITUTO CENTRALE HA INVESTITO CIRCA 110 MILIONI DI EURO: IL TITOLO BALZA DEL 4,33%
Bank of China entra nel capitale di Mediobanca. La banca centrale della Repubblica Popolare Cinese, la People’s Bank of China, detiene il 2,001% del capitale dell’istituto di Piazzetta Cuccia, come emerge dalle comunicazioni a Consob sulle partecipazioni rilevanti. L’operazione è datata 14 ottobre e non risultano posizioni precedenti.
Il posizionamento in forze della Peoplès Bank of China in Mediobanca è avvenuto proprio nel giorno, il 14 ottobre, della visita di Stato del primo Ministro della Repubblica Popolare della Cina Li Keqiang, accolto dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi. L’incontro a Roma, nei giorni alla vigilia del vertice Asem di Milano, aveva fruttato all’Italia 13 accordi con la Cina per 8 miliardi di euro. Ma complessivamente gli investimenti già effettuati dalla Cina in aziende quotate sul mercato italiano vengono stimati sopra i 7 miliardi. La decisione di puntare una fiches in piazzetta Cuccia, che agli attuali prezzi di Borsa (ieri il titolo ha chiuso in rialzo del 4,33%) vale circa 110 milioni, si va ad aggiungere a un portafoglio che include presenze della banca cinese in altre realtà di spicco di piazza Affari. Dopo le mosse su Eni (2,1%) ed Enel (2,071%) in primavera, gli acquisti erano continuati ad agosto, con una raffica di comunicazioni alla Consob di superamento della soglia del 2% in Telecom Italia, Prysmian, Fiat e Generali. Un pacchetto di azioni che, in Borsa, vale 2,8 miliardi di euro, di cui più della metà attribuibile alle partecipazioni in Eni (1,1 miliardi) ed Enel (689 milioni).
L’ingresso dell’istituto cinese nel capitale di piazzetta Cuccia arriva peraltro in un momento di trasformazione per la banca milanese che negli ultimi anni ha spostato sempre più il baricentro dalle partecipazioni al core business. Non solo. Contemporaneamente lo stesso patto di sindacato è stato rivisto, con l’abolizione della storica suddivisione in gruppi (banche, soci industriali e soci esteri), una percentuale sindacata più leggera rispetto al passato (31,5%) e una governance che rispecchia il peso dei singoli azionisti dove una posizione di forza è ricoperta da Unicredit con l’8,697% e Vincent Bolloré con il 7,5%. I primi riflessi passeranno dalla carta ai fatti tra una settimana, quando il 28 ottobre l’assemblea di piazzetta Cuccia si riunirà per rinnovare il board in scadenza. Un consiglio che sarà più snello, con un numero di componenti che scende da 20 a 18, ma soprattutto in cui si registrerà un peso maggiore per le donne in Mediobanca grazie a una delle vicepresidenze affidata a Maurizia Comneno.
Diverse, così, le novità che emergono. Tra i 18 nomi figurano 5 manager: accanto al presidente Renato Pagliaro, all’amministratore delegato Alberto Nagel e al direttore generale Francesco Saverio Vinci, entrano Alexandra Young (capo delle risorse umane) e Gianluca Sichel (amministratore delegato di Chebanca). Per i due vicepresidenti da un lato c’è la riconferma di Marco Tronchetti Provera, proposto da Vincent Bolloré con l’assenso degli altri pattisti; dall’altro, su indicazione di UniCredit, spicca l’ingresso di Maurizia Comneno. La lista si completa poi con Alessandro Decio ed Elisabetta Magistretti su indicazione di UniCredit, Vanessa Laberenne, la figlia 26enne del finanziere bretone, Marie Bolloré e Tarak Ben Ammar per il gruppo Bolloré, il presidente della Fieg Maurizio Costa ( Fininvest) e Maurizio Carfagna (per Mediolanum), infine confermati Angelò Casò, Gilberto Benetton e Alberto Pecci.
Marigia Mangano, Il Sole 24 Ore 22/10/2014
PIAZZETTA CUCCIA ESCE DAL «PICCOLO MONDO ANTICO» –
C’era una volta un piccolo mondo antico che ruotava intorno a via Filodrammatici. Quello che per oltre mezzo secolo ha permesso di blindare, con i patti di sindacato e le partecipazioni incrociate, la creme del capitalismo privato nostrano. Un piccolo mondo antico, che non resiste più all’avanzata del capitalismo con i capitali, dal quale ormai anche Mediobanca, che era il centro di quel mondo, sta progressivamente uscendo.
I patti di sindacato incentrati su Piazzetta Cuccia si sono tutti dissolti come neve al sole e Mediobanca da qui a giugno ha annunciato che uscirà anche dal capitale di Telecom e Rcs. Di partecipazione strategica resterà solo Generali, dove comunque non c’è mai stato un espresso accordo parasociale. Resiste – ma fino a quando? – solo il suo di patto, pur ridimensionato a un 30%, rimasto insieme con fatica. L’ingresso dell’investitore cinese nel capitale di Mediobanca è un segno dei tempi. People’s Bank of China l’ha fatto sapere – con una lettera formale recapitata nella nottata di lunedì all’indirizzo della banca d’affari milanese – poco prima che la notizia diventasse di pubblico dominio. Una quota che si aggiunge a un portafoglio di partecipazioni selezionate – verrebbe da dire nei gangli vitali dell’Italia corporate – in Eni, Enel, Fiat, Generali, Telecom, Prysmian. Un portafoglio di numeri 1 che, nella filosofia che dovrebbe ispirare un investitore istituzionale, mira a preservare il valore nel tempo. Mediobanca ha già una solidità patrimoniale a prova di ratio e stress test proiettata fino al 2018, una redditività che è al top del suo settore e un modello di business che, dismessi i panni del Centauro – metà banca d’affari e metà holding di partecipazioni –, andrà messo alla prova dei fatti. L’istituto guidato da Alberto Nagel ha fatto molto negli ultimi tempi per farsi conoscere sui mercati internazionali. Non solo riequilibrando a favore dell’hub londinese la sua attività, ma anche con un ultimo anno di intensi road-show in Europa e negli Usa sul doppio binario dell’equity story e della governance. Una politica che qualche risultato concreto l’ha prodotto, non solo con l’ingresso della banca centrale di Pechino, ma anche con un ampliamento complessivo della base di investitori istituzionali che oggi detengono circa un terzo del capitale. Di questo 32-35%, il 15% è rappresentato da istituzionali anglosassoni, Usa (tra cui Blackrock) e Uk in parti uguali, e il resto da fondi sovrani, in particolare asiatici. Con la contemporanea ritirata delle Fondazioni dal settore bancario – e nella stessa Mediobanca – People’s Bank of China col suo 2% è il maggior azionista fuori dalla cerchia del patto. La governance è ancora in evoluzione. Il consiglio che si rinnova il prossimo 28 ottobre sarà l’ultimo col vecchio statuto. Dopo, dal 2017, troveranno piena attuazione le direttive Bankitalia, che porteranno a un’ulteriore riduzione dei consiglieri e del numero dei manager in cda, con un presidente non esecutivo e una forte rappresentanza internazionale. E, presumibilmente, al prossimo rinnovo, tra tre anni, troverà più spazio nel board anche il mercato. Che oggi è in grado di esprimere un solo consigliere, in quota Assogestioni, a sostituire l’amministratore di minoranza uscente che invece arrivava dal mondo delle Fondazioni. Un piccolo cambiamento, ma anche questo segno dei tempi.
Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 22/10/2014