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 2014  ottobre 22 Mercoledì calendario

LA RICETTA DEL MAESTRO ANTONIO PAPPANO PER I TEATRI ITALIANI: «I MUSICISTI DEVONO AVERE PIÙ FLESSIBILITÀ, SONO DETERMINANTI TANTO I PRIVATI QUANTO LE ISTITUZIONI. PERÒ BASTA POLEMICHE: SE UN’ORCHESTRA COME LA MIA VIENE PAGATA TANTO È PERCHÉ LAVORA TANTO E BENE»

[Intervista] –
Antonio Pappano è sospeso tra i suoi due mondi: l’Opera a Londra, con I due Foscari di Verdi, la musica sinfonica a Roma: sabato, davanti al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, inaugura la stagione sinfonica dell’Accademia di Santa Cecilia, il Made in Italy che funziona.
Quale sarà il programma del concerto?
«Una notte sul Monte Calvo nella versione originale di Musorgskij, anziché in quella postuma di Rimskij-Korsakov che si esegue di solito, che diventa un pezzo corale, con un basso solista, ed esalta l’aspetto demoniaco usando parole inventate. Poi Richard Strauss per i 150 anni dalla nascita e il Secondo Concerto di Rachmaninoff: il mio primo incontro col pianista Evgeny Kissin».
È il suo nono anno come direttore musicale a Roma: dove trova nuovi stimoli?
«Dalle continue tournée, ora stiamo partendo per Cina e Giappone dove troveremo un pubblico amante della musica drammatica e anche del chiasso teatrale. Ma rispetto all’Oriente detesto quando si parla di nuovi mercati; c’è invece il fatto di condividere qualcosa che amano dell’Italia. Nuovi stimoli vengono anche dai cd, in cui abbiamo l’opportunità di suonare repertorio italiano: stanno per uscire le Sinfonie di Rossini, e Puccini con Kaufmann, che tornerà per registrare con noi Aida ».
Opera che, a dispetto della marcia trionfale...
«È l’opera del silenzio, intimista, che però ha bisogno di grandi spazi, con personaggi che portano dentro di sé il mistero di civiltà lontane. Le note di Aida sono facili, bisogna vedere come vengono eseguite. Insomma, crescono le aspettative del pubblico, dobbiamo essere all’altezza».
È un momento delicato per Santa Cecilia, sono in corso le elezioni per il nuovo presidente.
«Una delle priorità è la capacità di trovare denaro privato. Ma bisogna vendere un prodotto di qualità. Il governo deve tenere conto che la qualità non dev’essere punita ma sostenuta. È vero, dobbiamo cercare fondi alternativi, senza però perdere l’appoggio istituzionale che abbiamo sempre avuto. Ogni anno si è sul filo del rasoio per il pareggio di bilancio. Non dobbiamo tentare il destino per vedere se un marchio come Santa Cecilia ce la fa anche il prossimo anno».
Come vede la drammatica crisi dei «cugini» dell’Opera di Roma?
«Non entro nel merito dei licenziamenti collettivi, anche perché quando sono a Roma mi dedico al 150 per cento a Santa Cecilia. Prima del concerto con Diana Damrau, mi sono rivolto agli spettatori dicendo che va trovata una soluzione dignitosa per i musicisti, che garantisca il futuro di quel grande teatro».
L’Opera ha il 14 per cento di autofinanziamento (contro il 52 per cento di Santa Cecilia), 912 permessi artistici l’anno, e 125 giornate lavorative...
«Il mondo sta cambiando, da anni dico che i teatri italiani devono trovare un’altra struttura. Da una parte sono stati gestiti male e ora c’è un debito enorme, la situazione è disastrosa, serve competenza, dirigere un teatro non è facile; dall’altra i musicisti devono capire che per far andare bene le cose ci vuole più flessibilità. Il muro contro muro non funziona».
Che cosa augura all’Opera di Roma?
«Di tornare alla normalità, anche se nel mondo non esiste un teatro normale. Ogni teatro ha bisogno di trovare la soluzione migliore. Il direttore d’orchestra è la figura centrale, che dovrebbe essere presente nella buona e nella cattiva sorte. È il principio del bene comune».
Principio su cui lei si batte da sempre.
«Sì, e che si dovrebbe adottare dal mondo anglosassone. Giochiamo nella stessa squadra, e ci battiamo per conquistare il pubblico. All’Accademia, e non è retorica, ci consideriamo una famiglia. Io dico: se la mia orchestra di Santa Cecilia ha un buon contratto integrativo, lo merita, per il tanto lavoro che si fa insieme. Alla fine vengono i riconoscimenti».
L’ultimo c’è stato nei giorni scorsi a Berlino.
«Alla rassegna cinematografica musicale dei Berliner Philharmoniker, siamo apparsi in copertina col nostro documentario, Carattere italiano : nei concerti si presentano tutti in frac, qui invece si raccontano gli uomini, chi produce miele, chi vive nel bosco. Storie individuali, uniche; storie di artisti che in palcoscenico raggiungono un comune traguardo artistico».
Valerio Cappelli, Corriere della Sera 22/10/2014