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 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

UN SENATORE ROMANO GUADAGNAVA 500 VOLTE PIÙ DI UN CITTADINO


Nel 1837 Alexis de Tocqueville pubblicò un saggio sul pauperismo nel quale rifletteva sull’andamento della disuguaglianza in relazione al progredire della civiltà. «Se si presta attenzione a ciò che avviene nel mondo fin dall’origine della vita sociale, si scoprirà facilmente che l’uguaglianza si incontra soltanto ai due limiti estremi della civiltà. I selvaggi sono tra loro eguali per il fatto che sono tutti deboli e ignoranti. Gli uomini di avanzata civilizzazione possono divenire eguali perché hanno tutti a loro disposizione strumenti analoghi per pervenire all’agiatezza e alla felicità. Tra questi due estremi si trovano l’ineguaglianza delle condizioni, la ricchezza, la cultura e il potere di alcuni; la povertà, l’ignoranza e la debolezza di tutti gli altri».
Simon Kuznets, uno degli economisti più prestigiosi del secolo scorso, ha impresso una decisa accelerazione agli studi sulla disuguaglianza formulando in modo rigoroso l’intuizione di Tocqueville. Secondo l’economista americano il percorso storico della disuguaglianza può essere rappresentato da una U rovesciata. In una società molto povera le disuguaglianze sono pressoché inesistenti perché il reddito dell’intera popolazione, tranne che per un numero esiguo di individui, non si discosta dalla sussistenza. Quando l’economia incomincia a svilupparsi la marea trascina con sé tutte le imbarcazioni.
Solo che si tratta di una marea che si innalza più in una parte che in un’altra provocando una cresente disuguaglianza. C’è chi si arricchisce molto e chi vede aumentare il proprio benessere in misura molto limitata. Quando si raggiunge l’apice della disuguaglianza – il culmine della U rovesciata – le disparità incominciano a diminuire fino a raggiungere una virtuale uguaglianza.
La curva di Kuznets era molto rassicurante, ma col passar del tempo si è rivelata inesatta. A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la crescita del reddito e della disuguaglianza marciavano nella stessa direzione. Ma, a una più attenta osservazione, le cose non andavano esattamente come Kuznets immaginava. A cominciare, per esempio, dall’Impero romano. Branko Milanovic, uno dei massimi esperti della disuguaglianza mondiale, si è posto una curiosa domanda: «Chi è l’uomo più ricco di tutti i tempi?». Un quesito al quale ci piacerebbe rispondere con precisione ma, sfortunatamente, la cosa non è possibile. Non abbiamo i tassi di cambio per trasformare i dollari in sesterzi romani, o le lire sterline nei soldi di Carlo Magno. Ed è altrettanto problematico confrontare i consumi di oggi con quelli di due millenni fa: eccettuati pochi casi, consumiamo beni così diversi e con prezzi tanto mutati da rendere impossibile un’operazione in apparenza così semplice.

Oggi Carlos Slim batte tutti. Per superare tutti questi ostacoli Milanovic ha escogitato un metodo che offre risultati convincenti. Se non è possibile confrontare i redditi di un possidente romano con un petroliere del Novecento, perché non paragonare i guadagni dei più ricchi con quelli dell’uomo medio di ciascuna epoca? Secondo Aldo Schiavone, intorno al 50 a.C. Marco Crasso, uno degli individui più ricchi dell’antica Roma, aveva un reddito stimato in 12 milioni di sesterzi; un cittadino romano del suo tempo ne guadagnava press’a poco 380. A conti fatti il reddito di Crasso era uguale a quello di 32 mila persone. Facciamo un salto quasi di 2000 anni e scopriamo che Andrew Canergie, uno degli americani più ricchi, aveva, nel 1901, un reddito equivalente a quello di 48 mila cittadini statunitensi. Ancora più agiato era John D. Rockefeller che nel 1937, quando il suo patrimonio aveva raggiunto l’apice, guadagnava quanto 116 mila americani. Oggi il suo primato è stato polverizzato dal magnate messicano Carlos Slim che con il reddito di un solo anno potrebbe assumere 440 mila dei suoi concittadini.

Gli esborsi di Nerone. Naturalmente, calcoli di questo genere non possono che essere approssimativi e qualcuno potrebbe pensare che si tratta di fantasie costruite in un’epoca, la nostra, nella quale i numeri hanno il primato assoluto, e di essi non si può fare a meno. Hanno però il merito di attirare l’attenzione su un fatto certo: nell’Impero romano, e ancora per molti secoli dopo, convivevano una ricchezza smodata e una povertà che confinava negli abissi più profondi la stragrande maggioranza della popolazione. Raymond W. Goldsmith, uno studioso che ha dedicato molte energie all’economia antica, ha calcolato che il reddito della famiglia di Ottaviano Augusto, il primo imperatore, equivaleva allo 0,08 per cento del prodotto annuo di tutto l’impero che contava allora 50 milioni di abitanti. Nella stessa epoca un senatore, esponente di una élite che non contava più di 600 individui, metteva insieme ogni anno circa 180 mila sesterzi, 500 volte il reddito di un cittadino medio.
A essere concentrati in poche mani non erano solo i redditi, erano anche i patrimoni. Tacito ricorda che la donazione postuma di Augusto al popolo romano superò i 43 milioni di sesterzi, qualcosa come lo 0,2 per cento del pil (e Branko Milanovic ci propone un confronto suggestivo: «Per fare qualcosa di comparabile, George W. Bush, al momento di lasciare la Casa Bianca, avrebbe dovuto distribuire agli americani circa 30 miliardi di dollari»). Lo storico romano ci informa anche che nei suoi 14 anni di governo Nerone sborsò una somma equivalente al 10 per cento del pil imperiale, anche se è dubbio che si sia trattato esclusivamente di fondi privati.
Passati in rassegna tutti i ceti ricchi della Roma imperiale, si può concludere che essi non contavano più di 400 mila individui o, secondo alcuni, addirittura la metà. Nel migliore dei casi si trattava dell’1 per cento della popolazione, una percentuale alla quale ci si riferisce anche oggi per stigmatizzare la concentrazione dei redditi in pochissime mani. Su questa base più di uno studioso ha concluso che il livello di disuguaglianza nell’Unione europea e negli Stati Uniti è molto simile a quello di 2000 anni fa. Che la storia non ci abbia insegnato proprio nulla?

2- continua