Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 15 Domenica calendario

PAOLO E FRANCESCA TRAFITTI IN VOLO, LE VISIONI (CENSURATE) DEI NAZARENI

Dei due più importanti cicli decorativi realizzati nella prima metà dell’Ottocento da quel gruppo di artisti romantici tedeschi che furono chiamati Nazareni, uno soltanto sopravvive a Roma: quello del Casino Giustiniani Massimo al Laterano. L’altro, eseguito a Palazzo Zuccari con le storie di Giuseppe, fu trasferito nel 1887 alla Galleria nazionale di Berlino. Al Casino Massimo, sono invece ancora visibili gli affreschi dedicati a Dante, Ariosto, Tasso e alle vicende raccontate nei loro poemi (su appuntamento con i frati minori della Custodia di Terra Santa che dal 1948 ne sono i proprietari; ingresso da via Matteo Boiardo 16). Ora, per la prima volta, i visitatori potranno accompagnare il percorso con una guida, intitolata «Il casino Massimo al Laterano», scritta da Monica Minati, pubblicata dalle edizioni Terra Santa. L’autrice ripercorre le vicende della palazzina, costruita tra il 1605 e il 1618 come ritiro di campagna dal marchese Vincenzo Giustiniani, che vi ospitò la ricca collezione di antichità della famiglia e vi cercava svago e riposo dalle incombenze del commercio e della finanza. Il marchese trascurò infatti gli abbellimenti interni e si occupò soprattutto del vasto appezzamento rurale, che si estendeva tra le attuali via Merulana, via Tasso, viale Manzoni e piazza San Giovanni in Laterano, prima di essere divorato dagli imponenti interventi urbanistici della Roma umbertina. Allestì il giardino con le statue antiche, alcune delle quali resistono ancora oggi. Riservò il resto a orti, vigne e frutteti, divisi in ordinati parterre, come mostrano le mappe dell’epoca. La costruzione restò praticamente inabitata fino al 1802, quando i Giustiniani vendettero al marchese Carlo Massimo. Fu lui a commissionare ai Nazareni gli affreschi delle tre stanze al pianterreno con scene tratte dalla Divina Commedia, dall’Orlando Furioso e dalla Gerusalemme Liberata. I Nazareni erano un gruppo di allievi dell’Accademia di Vienna e dell’Accademia di belle arti di Copenaghen che sotto la guida di Johann Friedrich Overbeck e di Franz Pforr si erano raccolti nella lega di San Luca, un sodalizio fondato sul modello delle confraternite religiose il cui scopo era quello di ricondurre l’arte a un profondo fervore spirituale ispirandosi ai cosiddetti «primitivi», da Giotto a Masaccio, da Beato Angelico a Signorelli. Andarono ad abitare nel convento di Sant’Isidoro a Capolecase, giravano con chiome prolisse e abiti monacali, frequentavano gli aristocratici romani. Massimiliano Massimo, fratello di Carlo, aveva sposato una tedesca, Cristina di Sassonia. Forse anche grazie a lei i Nazareni ottennero la commissione. Ad iniziare i lavori, nella stanza dedicata a Dante, fu Peter von Cornelius. Richiamato poco dopo da Ludwig di Baviera a dirigere l’Accademia di Monaco, riuscì progettare solo i cartoni preparatori. Gli subentrarono Joseph Anton Koch e Philipp Veit. Le scene dell’Inferno, dipinte da Koch, furono però ritoccate dal pittore dilettante Giuseppe Candido. Accadde che, alla morte di Carlo Massimo, Cristina di Sassonia chiese di ridipingere alcune figure considerate indecenti, come il gruppo di Paolo e Francesca che nella versione di Koch volavano abbracciati e trafitti da una spada, mentre Candido cancellò Paolo e fece precipitare l’amante verso il fondo degli inferi, sospinta dal soffio di tre vegliardi. La stanza di Ariosto fu affidata a Julius Schnorr von Carolsfeld. Quella del Tasso fu portata a termine da Overbeck e da Joseph von Führich. Quest’ultimo, nella scena dei crociati al Santo Sepolcro, inserì la famiglia committente: si intravedono la faccia cavallina del principe Massimiliano, quella rubiconda e un po’ plebea della moglie Cristina di Sassonia, quelle dei figli adolescenti Barbara e Vittorio.