Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 06/05/2014, 6 maggio 2014
GRANDE GUERRA. LE TESTIMONIANZE
Gli orologi: sono sessantadue, tutti da taschino, appesi con fili da pescatore dentro un teca di vetro al centro della sala delle Colonne di Castel Sant’Angelo. Furono raccolti sui campi di battaglia della Grande Guerra, nel fango delle trincee, nascosti nelle divise logore dei soldati morti. Rappresentano, tra i cimeli esposti nella mostra «Castel Sant’Angelo e la Grande Guerra», gli oggetti più toccanti. Più degli elmetti e delle mazze ferrate. Più del Bollettino della Vittoria redatto alla fine del conflitto dal maresciallo Armando Diaz e diventato modello iconografico replicato in bronzo in tutta Italia. Più dei racconti di guerra e dei diari dal fronte. Più dei giornali di trincea che in una pagina di copertina riportano, in versi, un «Elogio della bomba a mano». E sappiamo che vi scrissero, in forma anonima, anche autori poi diventati celeberrimi come Giuseppe Ungaretti e Carlo Emilio Gadda. Sono alcune delle testimonianze offerte da una mostra che apre le celebrazioni per il centenario del primo conflitto mondiale. Una mostra piccola, allestita in un’ala del Castello normalmente chiusa al pubblico. Si snoda tra le sale Rotonda, delle Colonne, dei Reparti d’assalto e della cavalleria, appositamente decorate nel 1926 con affreschi e stucchi da Duilio Cambellotti per accogliere le bandiere, i labari e i cimeli delle unità disciolte alla fine della guerra. Cimeli che furono in seguito trasferiti al Vittoriano. Restarono al Castello, e sono mostrati per la prima volta, i diciannove contenitori con la documentazione raccolta tra il 1927 e il 1929 in tutta Italia: l’elenco dei nomi di tutti i caduti, nelle guerre di indipendenza 1848-1870, nelle guerre coloniali e nella guerra del 1915-1918. In quest’ultima furono contati 650 mila morti. Notevole, accanto a qualche olio di artisti come Tommaso Cascella e Aldo Carpi, anche la serie di disegni di Gabriella Fabbricotti, che alla fine della guerra volle percorrere a piedi i luoghi dove si combatterono le dodici battaglie dell’Isonzo e li ritrasse in 129 fogli colorati con carboncino e gessetti. Nell’agosto del 1916 aveva perso il marito, sposato due anni prima: il capitano di vascello Galeazzo Sommi Picenardi, morto per le ferite riportate nell’affondamento della corazzata Leonardo da Vinci. Notevole anche il piano di coda di un aereo austriaco abbattuto da Francesco Baracca: costruito con pezze di lino intelaiate in una struttura di leggerissimi tondini in ferro. La mostra è curata da Emanuele Martinez con la collaborazione di Emilia Ludovici e resterà aperta fino all’11 gennaio 2015.