Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 22/01/2014, 22 gennaio 2014
ANFORE E TRACCE D’ORO. I TESORI RITROVATI
Ci sono voluti dieci anni di indagini per recuperare le ventitré urne funerarie etrusche trafugate nel 2003 dalla tomba dei Cacni di Perugia. Il ritrovamento era già stato annunciato nei mesi scorsi dal Comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. Ma ora tutti possono ammirare queste straordinarie opere, che resteranno esposte fino al 16 marzo nella mostra «La memoria ritrovata», inaugurata ieri dal generale Mariano Mossa e da Louis Godard, consigliere del presidente della Repubblica per la conservazione del patrimonio artistico. Organizzata da Civita nell’ala occidentale del palazzo del Quirinale, l’esposizione presenta, oltre alle urne etrusche, un centinaio di capolavori fatti sparire da scavi clandestini o da furti in chiese e musei e recuperati dagli uomini dell’Arma. Sono rappresentati in questi manufatti più di due millenni della storia d’Italia, dal VI secolo a.C. fino al Settecento. Si comincia con lo spettacolare allestimento dei ventuno vasi a figure rosse risalenti al IV secolo a.C., raggruppati nella sala degli Scrigni. Si prosegue verso la sala di Ercole e quella degli Ambasciatori. Sfilano davanti agli occhi la testa di leone in pietra vulcanica, con la bocca spalancata in uno spaventoso ruggito, considerata uno degli esempi più interessanti della scultura arcaica etrusca; il tesoro di Loreto, donato alla fine del Seicento dalla regina di Spagna Maria Anna al suo confessore, e trafugato nel 1986 dal convento di Chiusa in Alto Adige; la Madonna in trono col Bambino, dipinta a tempera su tavola alla fine del Trecento e trafugata nel 1977 dal museo Stibbert di Firenze; Leda e il cigno, una delle prime opere dipinte su rame nella storia dell’arte, realizzata nel Cinquecento da Lelio Orsi, ospitata negli anni Ottanta nella collezione dello scrittore Franco Lucentini, riapparsa nel 2008 a un’asta di New York; un olio di Giovanni Paolo Panini, che riunisce in una veduta ideale il Pantheon, il tempio di Adriano e l’obelisco di Thutmose III, proveniente dalla collezione del colonnello Fairfax Rhodes, cugino di quel Cecil Rhodes che diede il nome alla Rhodesia. Come si vede, ogni opera custodisce una triplice storia: quella dell’origine del manufatto, quella del furto e infine quella del ritrovamento. Tutte le opere sono state recuperate negli ultimi due anni. E questo, riflette Godard, dimostra da una parte la competenza dei carabinieri, dall’altra l’estrema fragilità del nostro patrimonio culturale. Aggiunge il generale Mossa: «I reati verso il patrimonio sono al quarto posto al mondo dopo quelli riguardanti le armi, la droga e i prodotti finanziari, e coinvolgono organizzazioni criminali internazionali. La banca dati dei beni illecitamente sottratti contiene oltre cinque milioni e mezzo di oggetti rubati». Si arriva così all’ultima sala, detta di Augusto, dove sono esposte su due file le ventitré urne venute alla luce alla periferia di Perugia durante gli scavi effettuati dai proprietari di una villetta, che volevano realizzare una taverna seminterrata. Le ruspe raggiungono e sventrano una tomba risalente al periodo compreso tra il III e il I secolo a. C. Apparteneva ai Cacni, famiglia già nota agli etruscologi che conoscevano ben dieci iscrizioni al riguardo. Famiglia principesca, come si vede anche dalle tracce di foglia d’oro che si alternano sulle sculture delle urne alle tracce di pigmenti rossi, azzurri, ocra. Le figure rappresentano storie della mitologia greca, che gli artisti etruschi conoscevano profondamente, come dimostrano le scene con il mito della follia di Atamante, di Nereide sull’ippocampo, del sacrificio di Ifigenia, di Eteocle e Polinice, di Enomao che per non dare in sposa la figlia Ippodamia ne uccideva i pretendenti dopo averli sconfitti nella corsa dei carri. Finché la ragazza non si innamorò di Pelope e per salvarlo corruppe l’auriga del padre facendogli sostituire il cavicchio metallico delle ruote con uno di cera. Con una plasticità straordinaria l’artista ha ritratto il momento tragico in cui il carro va in pezzi, la testa del cavallo ciondola nell’agonia e Enomao viene colpito a morte da Pelope.