Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 11/01/2014, 11 gennaio 2014
LE SCULTURE A ROMA
«Se un uomo si tingesse di bianco i capelli, la barba, le sopracciglia e, se fosse possibile, le pupille e le labbra, e si presentasse in questo stato, anche quelli abituati a vederlo ogni giorno, a stento saprebbero riconoscerlo». Gian Lorenzo Bernini portava questo esempio per spiegare quanto fosse difficile realizzare un ritratto in marmo. Il dialogo è riferito dal collezionista Paul Fréart de Chantelou che incontrò Bernini in Francia. Lo scultore raccontò a Chantelou anche come lavorava. Non voleva che il personaggio da ritrarre fosse seduto immobile di fronte a lui, ma che si muovesse, che parlasse, perché solo così, nella naturalezza dei movimenti e delle espressioni poteva coglierne lo spirito e il carattere. Ci riuscì talmente bene che il cardinale Maffeo Barberini, alla vista del ritratto di monsignor Pedro Foix de Montoya, sulla tomba a Santa Maria di Monserrato, colpito dalla rassomiglianza esclamò: «Monsignor Montoya assomiglia al suo ritratto». Correva l’anno 1622. Gian Lorenzo aveva ventidue anni. Ma secondo i biografi avrebbe cominciato a scolpire ritratti già a dieci anni, nella bottega del padre Pietro, scultore anche lui, che però non si era mai avventurato in questo tipo di lavori. Chi volesse vedere da vicino le opere di un Bernini adolescente può entrare nella chiesa di Santa Prassede dove è conservato il ritratto di Giovan Battista Santoni e in quella di san Giovanni dei Fiorentini che ospita il busto di Antonio Coppola, entrambi realizzati tra il 1610 e il 1615. Potrebbe essere la prima tappa di un viaggio tra le opere dello scultore nella Roma barocca. Un viaggio lungo, perché i lavori del Bernini si incontrano quasi ad ogni angolo della città. Per scoprirli ora si può girare accompagnati da un libro smilzo ma prezioso, «Bernini. Le sculture», scritto da Maria Grazia Bernardini studiosa di pittura rinascimentale e di arte barocca, e pubblicato in quattro lingue da Gebart. In una sessantina di pagine Bernardini ripercorre le tappe della carriera di Gian Lorenzo nella città dei papi, che agli inizi del Seicento aveva cominciato a trasformarsi proprio grazie alle opere di scultura, così come la Roma del Cinquecento era stata caratterizzata dai cicli pittorici della Cappella Sistina, dalle Stanze di Raffaello e dai grandi cantieri di Sisto V. Bernini, con il suo talento di enfant prodige, la felicità inventiva, la personalità esuberante, la capacità di organizzare imprese colossali, monopolizzò i più importanti progetti dell’epoca, diventando il regista del barocco. Per capire di quale immenso potere e prestigio godesse, basta rileggere la lettera che il cardinal Rinaldo inviò al fratello Francesco I, duca di Modena, il quale voleva un busto e si informava dei prezzi dei grandi scultori romani: «Al cavaliere Bernino non si può prescrivere né tempo, né prezzo». Con l’originalità delle sue invenzioni, Gian Lorenzo inaugurò una nuova stagione della storia dell’arte. Tentò di «unire l’architettura colla scoltura e pittura in tal modo, che di tutte si facesse un bel composto», sintetizzò il figlio Domenico per spiegare la concezione estetica originalissima, basata sul rapporto tra l’opera, lo spazio circostante e il visitatore. Ne è rimasta testimonianza nelle statue e nelle fontane, nelle logge e nei baldacchini, nelle cappelle e nelle facciate. Il libro è completato da una cinquantina di splendide fotografie con le opere citate. E da una cronologia che ripercorre la vita dello scultore, dalla nascita a Napoli nel 1598 al trasferimento a Roma nel 1606, fino alla morte, il 28 novembre nel 1680. Fu sepolto con tutti gli onori nella basilica di Santa Maria Maggiore.