Laura Cesaretti, Il Giornale 5/11/2014, 5 novembre 2014
I VIZIETTI DELLA BOLDRINI
Quella sua irreprimibile vocazione pedagogica l’ha inguaiata un’altra volta. È bastato che Laura Boldrini postasse su Twitter una foto di sé medesima, intenta a salire a piedi le scale di Palazzo Montecitorio, con dedica salutista («come ogni giorno io Montecitorio senza ascensore e oggi anche per promuovere lo sport e l’attività motoria») per scatenare una nuova fiera di sarcasmi sul web. E dire che l’intento era sicuramente lodevole: spronare a fare più moto, tenersi in forma, usare meno l’ascensore e risparmiare pure corrente elettrica. Tutte cose ottime.
Il piglio da istitutrice sollecita ma severa però non paga, sui social network. E neppure a Montecitorio, nei cui corridoi solitamente ovattati si respira in questi giorni un’inconsueta aria di tensione. L’operazione tagli degli stipendi è stata un mezzo boomerang per chi l’ha voluta e sperava di cavalcarla per recuperare una popolarità non risollevata neppure dal brain storming estivo di comunicatori guidati da Gad Lerner. Invece Laura Boldrini si è ritrovata da un lato con l’intera macchina di Montecitorio inviperita contro di lei, che la accusa di «averci svenduto per farsi bella», come sibila un funzionario; dall’altro con mezzo Ufficio di presidenza e i media che la criticano perché i tagli - secondo loro - sono un semi-bluff.
La presidente e dovuta intervenire di gran carriera per impedire che scoppiasse un’insurrezione in armi dei dipendenti dopo un improvvido e alquanto becero comunicato del deputato di Scelta civica Andrea Vecchio che - per lamentare la pochezza dei tagli - insultava gratuitamente commessi e funzionari («protetti della politica, vestiti come camerieri, grottescamente servizievoli, bovinamente mansueti»). E poi Boldrini, nella stessa giornata di giovedì, ha dovuto fare sparire dall’homepage del sito ufficiale della Camera un video ideato per spiegare, con una sorta di cartone animato pieno di salvadanai sorridenti e forbici taglienti, la portata del risparmi. Un video ben fatto, ma che col suo sapore anti Casta aveva ulteriormente irritato il personale in subbuglio, e che è stato prudentemente trasferito sul meno frequentato canale YouTube della Camera.
Sta di fatto che ora Montecitorio ribolle di cattivi umori, e nei suoi meandri, in questi giorni, capita di sentirne di ogni colore sulla Signora Presidente. Dagli aneddoti sui commessi mandati a ritirare eleganti tailleur di Armani (ma infilati in buste rigidamente no-logo, come si conviene a una dirigente politica contrarissima al frivolo consumismo) alle siepi artificiali installate a spese del Viminale attorno alla casa nella campagna marchigiana del fratello, per impedire sguardi indiscreti durante le visite della Terza carica dello Stato. Poi c’è il turn over di collaboratori, dal personale di segreteria ai capi della sicurezza di Montecitorio: il primo saltò pochi mesi dopo la nomina di Boldrini per non aver previsto e impedito che sul web circolasse un suo fotomontaggio un po’ osé, il secondo è stato trasferito a Palazzo Chigi su richiesta boldriniana a fine 2013, siamo già al terzo, che per ora è ancora lì.
Ma, a sentire le gole profonde del Palazzo, anche sul personale di scorta (dodici uomini distribuiti in tre turni sulle 24 ore) la presidente ha avuto da ridire: «Gli uomini dell’ispettorato generale di polizia del Palazzo, che sono andati bene a Ingrao e alla Iotti, a Napolitano e a Casini, a Violante e a Fini, per lei non erano sufficientemente affidabili», raccontano, «e così ha dato il tormento al Viminale finché all’inizio dell’anno non le hanno assegnato altre due loro squadre». La ragione? Pare che la Boldrini fosse rimasta scossa dagli eventi dell’agosto scorso in Campidoglio, quando insieme a Marino doveva inaugurare l’apertura dei Fori imperiali e un gruppo di manifestanti anti discarica un po’ teppisti li ha contestati. Urla, fischi e qualche parolaccia: quanto basta perché lei abbandonasse la cerimonia e lamentasse una cattiva gestione della sicurezza della sua persona.
C’è da dire che, se il personale è critico, i colleghi politici non sono più affettuosi con la loro Presidente. Su tutte una critica, ripetuta da chiunque si interpelli: la signora non dialoga, non si consiglia e non tratta con nessuno, non si fida di nessuno, non dà retta a nessuno. Con un’unica eccezione, il potente segretario generale Ugo Zampetti, suo Virgilio nell’Ade parlamentare da cui - secondo le malelingue - sperava di traghettare se stesso e lei verso il Quirinale. Le conferenze dei capigruppo, raccontano i testimoni, sono diventate «delle interminabili sedute di autocoscienza», punteggiate di ramanzine della Presidente (contro il «brusio» in aula, contro lo scarso spazio alle leggi di iniziativa popolare, a favore della parità di genere nelle audizioni delle commissioni: sulla legge elettorale chiese di interpellare tanti costituzionalisti maschi quanti femmine) e di battibecchi.
Particolarmente gustosi quelli con l’irascibile capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta, che quando lei osa chiamarlo per cognome le intima: «Mi chiami Professore o Presidente, se no io la chiamo signorina Boldrini». Per non parlare di quelli con Simone Baldelli, vicepresidente della Camera e autore di un video in cui - con tanto di parrucca tailleur e collanona - fa una perfida imitazione della sua superiore. Che non ha apprezzato l’omaggio. Se con il Pd i rapporti sono tesi, con Sel - che pure la mise in lista - sono quasi nulli. Del resto non è a Nichi Vendola che deve il suo balzo da neo-eletta ai vertici di Montecitorio. Bensì a Dario Franceschini, che quando capì che - in nome del rinnovamento - non sarebbe stato lui il nuovo presidente della Camera volle evitare che a sostituirlo fosse un esponente del suo stesso partito (in pole position c’era Marianna Madia). E così convinse Bersani a candidare una donna della «società civile», nonché sua amica. E la Boldrini si ritrovò sul prestigioso scranno che fu di Nilde Iotti.