Giacomo Gambassi, Avvenire 4/4/2014, 4 aprile 2014
SIENA, DOPO I CRAC RIPRESA IN PALIO
Luigi Bruschelli accarezza il muso di Quasimodo, uno dei suoi cavalli che si preparano a correre il Palio. E, da buon senese con la battuta sempre pronta, racconta: «Alla maturità è uscito Quasimodo. Mio figlio non l’aveva studiato. Ma l’aveva montato parecchio». Ride il fantino dalla vittoria facile che tutti conoscono come Trecciolino. Poi il “re della piazza” si fa serio: «Ho vinto tredici Palii: me ne manca uno per raggiungere il primato di Aceto. Ecco, se con una bacchetta magica potessi decidere di vincere il Palio oppure far diventare Siena Capitale europea della cultura, beh non avrei dubbi: sceglierei la seconda. Davvero la città ha bisogno di uno scossone ». Dalla tenuta di Bruschelli la Torre del Mangia non si vede ancora. Eppure Trecciolino è ben consapevole di quanto la città rischi di spegnersi dopo la sua ultima stagione d’oro: quella targata “babbo Monte dei Paschi”. Qui c’è un adagio che dice: Senza lilleri ’un si làllera. Senza soldi non si fa niente. E Siena ne ha avuti anche troppi. Finché non sono iniziati gli scandali. Prima il crac dell’Università che aveva moltiplicato sedi e corsi in mezza Toscana; poi il dissesto della banca di Rocca Salimbeni; in mezzo il commissariamento del Comune; e questa estate i fallimenti del Siena Calcio e della Mens Sana, la squadra di basket con otto scudetti all’attivo.
«Può sembrare paradossale, ma la corsa di Siena a Capitale della cultura non poteva arrivare in un momento più adatto. Perché il progetto ha come finalità quella di aiutare la città in crisi a ribaltare la sua situazione utilizzando la cultura come leva del cambiamento», spiega il direttore della candidatura, Pier Luigi Sacco. In città lo chiamano il “professore”: è abruzzese e insegna economia della cultura all’Iulm di Milano. Certo è curioso che la città dall’identità forte per eccellenza – dove i suoi 52mila abitanti si dividono fra chi “è nato sulle lastre” e chi è “importato” – si affidi a intelligenze forestiere per risollevarsi: il Monte al genovese Alessandro Profumo e al romano Fabrizio Viola, la Fondazione Mps al piemontese Marcello Clarich o l’impresa di “Siena 2019” a un docente di Pescara.
«La città non ha ancora fatto i conti col suo recente passato, segnato da un groviglio armonioso di interessi politici ed economici», sostiene Tommaso Strambi, responsabile dell’edizione senese di La Nazione e autore del libro I compagni del Monte. La redazione è accanto a piazza Salimbeni. «Eccolo il bancomat senza “pin” che attraverso la Fondazione ha distribuito milioni di euro ogni anno con un unico obiettivo: mantenere il consenso». L’inchiesta di Strambi è una carrellata sui protagonisti del declino. «E se le menti più brillanti sono fuggite è perché si chiedeva loro soltanto cieca fedeltà, non competenza». Lo lascia intuire anche Sacco. «I soldi facili hanno messo in secondo piano le eccellenze».
Sarà anche per questo che nel programma di candidatura la città si è appropriata del fiorentino Leonardo. Nel 2019 cadrà il quinto centenario della morte. «C’è chi ci ha letto una riconciliazione fra Siena e Firenze dopo Montaperti – afferma l’ex assessore Anna Carli, coordinatrice dell’unità operativa –. Meglio dire che adottiamo lo spirito leonardesco: imparare dagli errori per andare avanti».
La città guarda a “Siena 2019” con occhi un po’ distaccati nonostante abbia la più alta concentrazione di associazioni di volontariato. Gli incontri che hanno preparato il progetto sono stati «a piccoli gruppi», riferisce Sacco.
Per scuotere i senesi si è puntato persino su bus e taxi decorati col logo bianconero della sfida. E poi concorsi per le scuole. Matite e spillette regalate nei musei. O le t-shirt indossate dai giocatori della Mens Sana. «Da Siena è passato il mondo, ma la città non se n’è accorta – avverte lo storico Attilio Brilli che ha curato decine di pubblicazioni sul capoluogo –.
Annotava la scrittrice inglese Vernon Lee che Siena è, sì, consapevole della
EVENTI. Nel centro di Siena un’iniziativa sulla candidatura sua unicità, ma non riesce a vedere oltre le colline del Chianti». Allora aveva ragione Federigo Tozzi che nei suoi romanzi la descrive come una gabbia, chiusa fra le minuscole vie medievali e le case addossate l’una all’altra, che trasmette un’enigmatica estraneità a quanto accade intorno. «Di sicuro non è una città facilmente comprensibile anche se è assolutamente provinciale», sottolinea lo storico.
In trenta formano lo staff che affianca Sacco. Un record rispetto alle città avversarie che polemizzano: Siena è l’unica a non aver reso noto il dossier di candidatura. «Non è un obbligo», ribatte il professore. E indica una delle ideechiave. «Siena vuole dimostrare che anche le città d’arte possono diventare catalizzatori per l’innovazione: una questione cruciale non solo qui ma anche in tutte le realtà dell’Europa ricche di tesori storici».
Oggi però questa “Pompei gotica”, rimasta intatta nei suoi lineamenti, è il simbolo del turismo mordi-e-fuggi e degli stereotipi da cartolina. Raccontano le guide che le comitive giapponesi riservano alla città del Palio appena due ore: il tempo di una sosta in piazza del Campo, di una visita al Duomo e di una foto davanti alla salumeria che espone il cinghiale con gli occhialini. «La bellezza non può cristallizzarci», si preoccupa il sindaco Pd, Bruno Valentini. Nella sedia accanto alla scrivania ha una maglietta di “Siena 2019”. «Dopo la terribile stagione che abbiamo vissuto è stata una sorpresa arrivare fra le sei città finaliste». E azzarda un paragone. «Lo scorso anno Marsiglia ha avuto otto milioni di ospiti grazie al titolo di Capitale della cultura. Siena li ha già adesso. Ma vogliamo passare dalla rendita alla crescita dinamica ». Nel Palazzo pubblico doveValentini riceve, gli affreschi del
Buon governosembrano quasi uno scherzo del destino se si considera il groviglio d’affari che ha piegato la città. «E anche la nostra santa Caterina, copatrona d’Italia e d’Europa, ricordava che il potere è un “bene prestato”», spiega l’arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa- Montalcino, Antonio Buoncristiani. Originario dell’Umbria, è qui dal 2001. «I senesi sono generosi ma anche caratterizzati da una forte litigiosità. Basta citare il proverbio “O gioco o ti do noia”. Non è facile guidarli». Dalle finestre dell’episcopio si vede la facciata del Duomo in marmo bianco. «Guardi – indica Buoncristiani –: da un lato, ecco la Cattedrale. Dall’altro, c’è l’ex ospedale di Santa Maria della Scala voluto nel Mille dai nostri canonici e fra i più antichi del continente. In questa piazza la fede e la carità si abbracciano».
Oggi l’ex nosocomio è un incubatore di mostre e musei. E anche l’emblema scelto per rappresentare “Siena 2019” che qui ha il suo quartier generale. Fino agli anni ’80 le ambulanze entravano nell’androne. E i pazienti erano curati sotto gli affreschi. «Adesso sarà un pronto soccorso culturale capace di unire bellezza e salute», sogna Sacco. Aggiunge il rettore dell’Università, Angelo Riccaboni: «Spesso i nostri gioielli non sono un volano di sviluppo: vale per Siena ma anche per il resto d’Italia». L’ateneo ha 14mila studenti e in un anno ne ha persi 2mila. «Stiamo superando i problemi finanziari senza intaccare la didattica», tiene a precisare il rettore. Siena ha anche altri motori creativi: uno è l’Accademia Chigiana che porta qui giovani talenti della musica da tutto il mondo e dove Claudio Abbado ha frequentato i corsi per direttore d’orchestra con Zubin Mehta e Daniel Barenboim. «Però in città è quasi sconosciuta», rivela Strambi.
Allora meglio guardare alle contrade che sono il perno della vita senese. Anche culturale. «Pensiamo agli architetti che hanno ingaggiato », osserva il rettore del Magistrato delle contrade (e del Bruco), Fabio Pacciani. Il Montone ha una sala espositiva firmata da Giovanni Michelucci. La Tartuca ha inaugurato il suo nuovo Museo del Palio disegnato dal “giovane” Andrea Milani che ha creato un ingresso in acciaio Corten nell’angolo più antico del centro. «Vorremmo esportare il “modello contrade” in Europa», annuncia Anna Carli. Possibile? «Di sicuro le contrade – prosegue Pacciani – sono come piccoli Stati: hanno territorio, popolazione, regole e governo. Rappresentano un presidio sociale e hanno un welfare che ti prende per mano dalla culla alla tomba. Propongono dopo-scuola per i bambini, favoriscono l’incontro fra generazioni. E soprattutto sono diciassette realtà che hanno proprie specificità ma si riconoscono nell’appartenenza alla città. Il continente dovrebbe andare a lezione dalle contrade per imparare a essere unito nelle differenze ». Magari lasciando da parte il Palio. «Macché – sorride Trecciolino –. Dicono che c’è corruzione. Facciamo soltanto accordi, come avviene in politica. Però qui i patti si rispettano. Per questo forse siamo migliori di chi entra nei Parlamenti o di chi ci governa».