Alessandra Sacchi, Corriere della Sera 24/6/2014, 24 giugno 2014
Per scelta, per convinzione o per necessità? Di certo la crisi tiene insieme anche i coniugi più rissosi, ma è altrettanto vero che in tempi di unioni civili, convivenze e «prove di avvicinamento», chi sceglie il matrimonio ci crede sul serio e prova a farlo funzionare
Per scelta, per convinzione o per necessità? Di certo la crisi tiene insieme anche i coniugi più rissosi, ma è altrettanto vero che in tempi di unioni civili, convivenze e «prove di avvicinamento», chi sceglie il matrimonio ci crede sul serio e prova a farlo funzionare. In questo quadro, c?è anche chi fugge all?estero «per chiudere in fretta e non pensarci più». E chi, in una società fragile e frammentata, devastata dall?incertezza lavorativa e affettiva, fa molta fatica a sciogliere certi legami. Tanti motivi per non lasciarsi. Che si trasformano in numeri. E in tendenze: nel 2012 le separazioni sono state 88.288, i divorzi 51.319, entrambi in diminuzione rispetto all?anno precedente. Non succedeva dal 1995.Report Istat sulla durata dei matrimoni italiani. Tassi di separazione e di divorzio in calo (dunque non solo in termini assoluti), raddoppiati in vent?anni gli addii «veloci» (tra il 1985 e il 2005 le unioni interrotte dopo i fatidici sette anni sono passate dal 4,5% al 9,3%); nozze religiose più stabili rispetto a quelle civili; età media di separazione di 47 anni per i mariti e di 44 per le mogli; procedimento consensuale nell?85,4 per cento dei casi; durata del matrimonio di circa sedici anni; tendenza al divorzio più alta per chi ha titoli di studio elevati. Ma al di là delle medie, delle differenze tra Nord e Sud, dei casi «nuovi» (la crescita delle separazioni con almeno uno sposo ultrasessantenne), a colpire sono le 509 separazioni e i quasi 2.500 divorzi in meno in un anno. I ricercatori dell?Istat fanno notare: «Si sta intensificando il ricorso allo scioglimento delle nozze in altri Paesi dell?Unione europea per ridurre tempi e costi». Guarda caso, nel 2012 in Spagna le separazioni di italiani sono state proprio cinquecento. Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell?Istat, avverte: «La tendenza c?è, ma stiamo attenti. Bisogna considerare la contrazione dei matrimoni in termini assoluti, il turismo divorzile e il periodo particolare che stiamo vivendo». La crisi, il collante delle famiglie. Secondo la Coldiretti, i 7,1 milioni di italiani che vivono da soli affrontano un costo della vita superiore del 66 per cento rispetto a quello di un componente di una famiglia tipo, con «divorziati e separati in grave difficoltà». Secondo un?indagine affidata da Immobiliare.it a Demoskopea, tra chi ha chiuso la sua unione da meno di un anno, quasi 6 su 10 dichiarano di abitare ancora sotto il tetto coniugale, anche con l?ex partner, e oltre uno su 10 è tornato a vivere con i genitori (circa 167 mila persone). Disastri economici. E psicologici: «La convivenza forzata di una coppia che non è più tale ? continua Anna Galizia Danovi, presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia ? rischia di essere un rimedio peggiore della separazione stessa, soprattutto a scapito dei figli». E mette in guardia: «Mi è capitato di separare coniugi che si erano conosciuti su Internet. Ma l?unione tra due persone ha necessità assoluta di una conoscenza quanto più completa, di rispetto e di fiducia». Poi un?osservazione: «Molte coppie si separano ma non divorziano e molte aspettano più di tre anni per porre fine al vincolo matrimoniale. È un dato significativo, soprattutto se messo in relazione con la riforma del ?divorzio breve?, in discussione al Senato, che per certi versi appare non congruente con la realtà». Matrimonio consapevole: le coppie che si sposano (sempre meno) hanno un progetto preciso cui difficilmente vogliono rinunciare. Anche per questo le separazioni sono in calo. Aggiunge Vittorio Cigoli, direttore dell?Alta Scuola di Psicologia dell?Università Cattolica: «C?è un elemento nuovo, oltre la crisi, che spinge a non lasciarsi. E io lo individuo in una maggiore diffidenza degli italiani nei confronti dell?addio. Non è un atteggiamento necessariamente legato al nostro essere cattolici, in Spagna per esempio non è così. Ma in un mondo fragile e privo di legami come il nostro, facciamo più fatica di altri a troncare, siamo meno impulsivi. Si tratta di una forma difensiva leggera che permette di affrontare la realtà senza fratture totali»