Gian Maria De Francesco, Il Giornale 3/8/2014, 3 agosto 2014
MALUMORI, TENSIONI E ACCUSE: DA FRATELLI A FRATELLASTRI D’ITALIA
Roma Quei maledetti 60mila voti bruciano ancora e la ferita per ora non si rimargina. È la situazione attuale di Fratelli d’Italia (Fdi), il partito - nato da una costola del Pdl - che raccoglie (anche nel simbolo) l’eredità di Alleanza Nazionale.
Sarebbero bastati quei maledetti 60mila voti in più per raggiungere il target del 4% alle elezioni Europee e raccontare una storia diversa. Invece, la formazione s’è fermata a un onorevole 3,7% (che è quasi il doppio dell’1,9% delle Politiche): tanti complimenti, ma nessun eletto. E così è iniziato un periodo di riflessione non privo di qualche strascico polemico.
Bisogna, innanzitutto, precisare che Fdi non nasce come formazione omogenea, ma è la sommatoria di varie componenti tra le quali, ovviamente, predomina quella costituita dagli ex An (i leader Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, oltre a Gianni Alemanno) cui si affiancano i liberali (come l’ex Fi Guido Crosetto). Quei maledetti 60mila voti, come dicevamo, hanno fatto emergere qualche vecchia «antipatia» mai sopita.
Ad esempio, Giorgia Meloni è politicamente molto vicina al capogruppo di Fdi, Fabio Rampelli, suo «sponsor» ai tempi del movimento giovanile di An. Rampelli è uno degli ultimi esponenti della destra identitaria, «tradizionalista», meno propensa ai compromessi e distante da Ignazio La Russa, artefice della Svolta di Fiuggi del ’95. La sua componente, pur sostenendo la necessità di richiamarsi a un comune nucleo di valori, ha messo in evidenza come quei maledetti 60mila voti in meno siano stati frutto anche di scelte politiche sbagliate. Come non candidare tutti i big in modo da garantirsi un cuscinetto di voti. Insomma, Fdi sarebbe stata troppo «rampelliana» senza nemmeno sfruttare l’effetto-nostalgia della vecchia fiamma nel simbolo. Risultato che, secondo voci di corridoio, sarebbe imputabile anche ad alcune divisioni a livello locale nel Centro-Sud dove Fdi è più forte.
Ma proprio quei maledetti 60mila voti in meno raccontano che è stato commesso un altro errore di marketing politico. Fdi, infatti, è stato uno dei primi partiti a scagliarsi contro l’austerity e contro l’euro. Ma, per un motivo o per un altro, su questi due temi la formazione ha perso visibilità, sorpassata a destra dalla Lega di Matteo Salvini, che addirittura ha costruito un rapporto privilegiato con Marine Le Pen che viene dallo stesso fronte politico degli ex missini. Quanto alla protesta, contro un tribuno come Beppe Grillo e i suoi 5 Stelle forse si poteva fare di più.
Nonostante l’originaria vicinanza ultimamente, secondo fonti bene informate, Rampelli avrebbe in qualche modo preso le distanze da Meloni ritenuta troppo disponibile alle mediazioni politiche. Perché adesso il vero tema è «Che fare?». Non che Fdi sia senza prospettive, tutt’altro: il gazebo per le primarie di coalizione a luglio ha riunito tutti i principali esponenti di centrodestra. E proprio qui è il problema: Crosetto vorrebbe un partito più «liberale» e, anche per questo, assieme ad Alemanno dialoga con la componente «eterodossa» di Fi guidata da Raffaele Fitto. C’è, però, chi come Massimo Corsaro vorrebbe tagliare i ponti col berlusconismo. E chi, come Ignazio La Russa, vorrebbe che fossero fissati preventivamente paletti programmatici e valoriali prima di sedersi a parlare di centrodestra perché è inutile fare le coalizioni se poi della Lega non ci si può fidare. Si capisce, perciò, che Giorgia Meloni dovrà lavorare molto per recuperare quei maledetti 60mila voti.