Piero Mei, Il Messaggero 3/8/2014, 3 agosto 2014
DA BOTTECCHIA A COPPI, STORIE DI CICLISTI E DI MORTI MISTERIOSE
IL RACCONTO
ROMA Lorenzo s’affacciò alla finestra del casolare, all’incrocio di Cornino, a Peonis, in Friuli, e vide sul ciglio della strada il corpo di un ciclista privo di sensi: era il 3 giugno del 1927. Lorenzo si precipitò per la strada e si ritrovò davanti un uomo di una trentina d’anni che sanguinava dalla testa, dal naso e da un occhio: stava morendo. Lorenzo si caricò il corpo sulle spalle e lo portò al paese, da dove poi il ferito fu trasferito all’ospedale di Gemona. Qui il ciclista morì il 15 giugno. In qualche momento di lucidità Ottavio Bottecchia, questo era il suo nome, diceva di essere caduto e di aver battuto la testa su di un sasso. Nessuno gli ha creduto e cominciò così il più grande giallo di un campione di ciclismo. Perché questo era Bottecchia, che aveva vinto due Tour de France di seguito, quello del 1924 e quello del 1925, il primo stabilendo un record che nessuno potrà battere: indossò la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa. Tutt’al più lo uguaglieranno.
STORIE MALEDETTE
Ancora adesso, altro che i dieci anni dalla scomparsa di Pantani (c’è un destino che accompagna il Pirata, Bottecchia e Coppi, storie differenti ma sempre “maledette” e al centro di quella che Pantani ha chiamato «una torrida tristezza»), il delitto è aperto a ogni soluzione, pur se è stato archiviato come un incidente della strada. Non poteva andarsene così, a trentuno anni, Botescià, come lo avevano ribattezzato i francesi, tipo Fostò per Coppi o Nibalì per Vincenzo, perché quando gli italiani vincono di là dalle Alpi cercano di adottarli.
Le ipotesi che ancora vivono dentro la morte di Bottecchia sono quattro: un contadino infuriato che avrebbe colpito a bastonate il campione che s’era avventurato nella vigna a prendere un grappolo d’uva; un marito che intendeva vendicare il torto che Ottavio gli aveva fatto insidiandogli (pare con successo) la moglie; una vendetta del racket delle scommesse che appena qualche giorno prima aveva provveduto ad eliminare fisicamente, investendolo con una auto pirata, il fratello Giovanni, che era stato anche il mentore di Ottavio: dopo la morte del fratello, Bottecchia aveva confidato alla cognata Giuseppina di conoscere il nome dell’assassino; un delitto politico, dopo l’adesione di Bottecchia ai Fasci di combattimento. Questa ipotesi è stata accreditata da don Negris, il vecchio parroco di Peonis, che in punto di morte, confidò al suo successore di sapere che si era trattato di agguato politico.
MALASANITÀ
Di tutt’altro tenore il giallo legato alla morte di Fausto Coppi: in questo caso non si trattò di delitto ma, probabilmente, di un errore medico. Malasanità, si direbbe oggi. Il Campionissimo agli sgoccioli della carriera, quarantenne, provato dalle vicende che ne avevano sconvolto la vita privata (l’amore per la Dama Bianca, essendo entrambi sposati e con prole, e siamo alla fine degli Anni Cinquanta, quando l’adulterio era un reato da carcere; le forze che cominciavano a venirgli meno quando si trattava di pedalare), era andato per un circuito ad ingaggio e una battuta di caccia grossa nell’Alto Volta. Era tornato febbricitante e malato: passarono giorni in consulti e discussioni e quando il suo compagno d’avventura africana, il ciclista francese Raphael Geminiani riuscì a parlare per telefono con qualcuno dicendo che si era preso la malaria terzana e che adesso ne era fuori, Fausto era già morto. Per salvarlo sarebbe bastato un po’ di chinino.