Corrado Stajano, Corriere della Sera 3/8/2014, 3 agosto 2014
LE CATTIVE RAGAZZE DI SALÒ
Prende una triste meraviglia nel leggere questo libro sulle ausiliarie della Repubblica di Salò che tra il 1943 e il 1945 lavorarono al servizio dei fascisti e dei nazisti. Il saggio, scritto dalla storica Roberta Cairoli, si intitola Dalla parte del nemico (Mimesis) e ha per protagoniste le donne collaborazioniste, le ausiliarie, le delatrici, le spie: un tema, quello femminile, finora non molto approfondito nella pur sterminata bibliografia sulla Seconda guerra mondiale. È un terribile catalogo, il libro della Cairoli, che ha condotto la sua ricerca su 166 sentenze, dalla Cassazione ai tribunali, sui fascicoli dei ministeri, sulle pratiche per la ricerca della grazia, lavorando in archivi dove ha trovato preziosi documenti, tra gli altri quelli dell’ Oss, l’ Office of Strategic Services americano.
L’autrice ha diviso il magma delle collaborazioniste in categorie: le ausiliarie che non si sono macchiate di nequizie, le delatrici, le spie antipartigiane e quelle arruolate dalle Ss tedesche inviate nel Sud per azioni di controspionaggio e di sabotaggio ai danni degli Alleati. «Le donne — scrive Roberta Cairoli — per la gran parte si resero direttamente responsabili dell’arresto e della morte (per fucilazione, impiccagione o deportazione in Germania) delle persone denunciate e/o del saccheggio delle loro case, tuttavia alcune sentenze della Corte di cassazione negheranno, appigliandosi a mirabolanti espedienti giuridici, il nesso di causalità tra la “spiata” e l’omicidio, ribaltando e annullando il giudizio delle Corti d’assise straordinarie».
È sufficiente analizzare qualche caso tra i tanti. Francesca Zamperini, classe 1922, studentessa, nata a San Quirico d’Orcia, «fascista fanatica», figlia di uno squadrista violento, si arruola nel Servizio ausiliario femminile nel 1944, lavora per i servizi segreti nazisti, attraversa le linee, viene arrestata dagli americani, confessa agli agenti del Cic, il Counter Intelligence Corps , di aver svolto attività di spionaggio antipartigiano, si compiace di avere assistito all’esecuzione di quattro partigiani da lei denunciati.
Lidia Golinelli, classe 1925, nata a Bologna, staffetta partigiana, poi gappista, arrestata dai fascisti della Gnr, «si fece indurre — confessa — con la minaccia della fucilazione ad arruolarsi e a denunciare i partigiani conosciuti». Il giorno successivo al tradimento fa arrestare tre compagni, «ottiene brillantissimi risultati», contribuisce alla condanna a morte di un ragazzo di 16 anni che riesce a salvarsi. Nel marzo 1945 guida un rastrellamento «in grande stile», identifica molti del centinaio dei partigiani imprigionati, mostra «passione e accanimento». Condannata a morte mediante fucilazione nella schiena, la pena viene ridotta a trent’anni. Nel luglio 1946, amnistiata, sceglie di restare in carcere, a Modena, nel timore di venir linciata dai parenti di qualcuna delle sue vittime.
Antonietta Di Stefano, classe 1920, nata a Palermo, laureata in Scienze economiche, avvenente, di acuta intelligenza. Lavora per l’ufficio dell’Sd nazista in via Tasso a Roma, provoca l’arresto di più persone, si trasferisce poi a Mantova dove diventa quasi la padrona della città, temuta anche dai fascisti perché è la spia ufficiale dei tedeschi. La violenza in città è indiscriminata: «Partigiani e civili, sospettati di favoreggiamento dei banditi — scrive Roberta Cairoli — vennero arrestati, saccheggiati, torturati e uccisi a opera dei fascisti e dei nazisti guidati dalla Di Stefano.(...) Marinetta, così veniva chiamata, non solo assisteva e presiedeva agli interrogatori e alle torture, impartendo gli ordini, ma incitava, provocava, si compiaceva e sghignazzava». Condannata a morte, la pena fu commutata in vent’anni di reclusione. Scontò sei anni e otto mesi, nel 1951 era in libertà.
Perché tanta ferocia? Le motivazioni di chi allora scelse la Repubblica di Salò sono molteplici in quell’Italia divisa in due: soprattutto la rivolta contro il tradimento di Badoglio e del re, la fedeltà al fascismo rinato e al tedesco alleato-padrone. Ma perché i «ragazzi di Salò» furono spesso più crudeli dei nazisti? Con loro le ausiliarie, fenomeno di massa, non di poco conto. L’amnistia Togliatti, del 1946, motivata dalla necessità «della riconciliazione e della pacificazione di tutti i buoni italiani» fu rovinosa. Non fu fatta giustizia e la Repubblica nacque con molte delle sue fondamenta marce. Se la cavarono con poco, dopo la Liberazione, le autrici di orrendi delitti, anche per la condiscendenza dei giudici della Cassazione figli di vent’anni di regime.
Dalla parte del nemico svela le ragioni di tanti comportamenti, la fede fascista di tante giovani donne ma anche la corruzione, il denaro profuso dai nazifascisti, i rancori, lo spirito di vendetta e quello d’avventura. La ricerca di Roberta Cairoli è un documento importante, nel solco del gran libro di Claudio Pavone, Una guerra civile.