Pierluigi Bonora, Il Giornale 2/8/2014, 2 agosto 2014
FIAT VIA DA TORINO E DA MONTEZEMOLO
Ieri 1 agosto 2014 si sono chiusi 115 anni di storia di Fiat e, allo stesso tempo, si sono scritte le prime pagine della nuova Fiat Chrysler Automobiles. «Sarà un gruppo - ha subito puntualizzato il presidente John Elkann, rispondendo a voci che davano gli Agnelli “stanchi” - che vedrà sempre l’impegno mio personale e della mia famiglia, a maggior ragione ora che si profilano all’orizzonte grandi opportunità». L’assemblea degli azionisti ha approvato, con l’84% del capitale presente e il 44% delle azioni complessive, la storica fusione tra i gruppi di Torino e Auburn Hills. Contrari sono stati invece i rappresentanti di 100 milioni di azioni, con un controvalore di oltre 700 milioni di euro, pari al 15% del capitale azionario presente ieri al Lingotto e al 7,5% del capitale totale. Ad astenersi, invece, lo 0,5% del capitale presente.
Il fatto che l’operazione che proietta Fiat in una realtà globale non abbia avuto il 100% dei consensi lascia però un margine di dubbio sulla riuscita. L’ostacolo alla fusione è rappresentato dal diritto di recesso: se l’esborso di Fiat per i soci che volessero esercitarlo superasse i 500 milioni, la fusione con Chrysler sarebbe inefficace. «Il rischio c’è - ha ribadito l’ad Sergio Marchionne - ma è totalmente gestibile». Ed Elkann: «Il fatto che l’8% degli azionisti abbia votato contro la fusione non implica che tutta questa percentuale si traduca in recesso». Nei prossimi mesi se ne saprà di più. Fca, intanto, una volta avviata la fusione avrà un nuovo cda del quale non farà più parte, insieme a René Carron e Joyce Victoria Bigio, anche il presidente di Ferrari (nonché ex di Fiat) Luca di Montezemolo. Elkann e l’ad Marchionne avranno come consiglieri i riconfermati Andrea Agnelli, Tiberto Ruy Brandolini d’Adda, Glenn Earle (ex capo di Goldman Sachs) e Patience Wheatcroft, insieme ai membri del board di Chrysler, Ruth J. Simmons, Ronald L. Thompson e Stephen M. Wolf; due le new entry, appartenenti alle grandi famiglie del capitalismo: Valerie A. Mars (il cognome è legato ai famosi cioccolatini americani) e l’imprenditore della moda Ermenegildo Zegna, che Elkann ha voluto per le sue doti di alfiere del made in Italy.
E l’uscita di scena di Montezemolo, il cui nome è stato più volte accostato alla futura presidenza di Alitalia-Etihad? «Il cda ha una componente Fiat e una Chrysler - la spiegazione di Elkann - e rispetta i vincoli di indipendenza, genere, nazionalità e competenze. Quella scelta è una composizione ottimale». Allo stato dell’arte, dunque, nessun retroscena (Montezemolo, comunque, ieri era «assente giustificato» insieme a Brandolini d’Adda), anche se è arcinoto che i rapporti tra l’ad di Fca e il capo della Ferrari, al di là dei sorrisi e degli abbracci in pubblico, sono sempre stati tesi. E ieri non è passata inosservata la frecciatina di Marchionne nel momento in cui ha sottolineato come, «nell’ultimo trimestre 2013, Maserati ha fatto meglio di Ferrari».
Marchionne, a questo punto, salvo imprevisti causati dagli azionisti che recedono («andremo comunque avanti, e nel caso ci riproveremo con i tempi che sceglieremo noi», ha chiarito), può guardare ora alla crescita della nuova creatura che si impone rapida: «Per Fca si aprono prospettive solide e concrete. Questa azienda può e deve puntare in alto». E il piano di rilancio che l’ad ha annunciato in maggio è molto ambizioso: per l’Italia, con la produzione dei marchi Maserati (a Mirafiori il Suv Levate sarà pronto a fine 2015), Alfa Romeo e Jeep, è previsto un ritorno al 100% dell’utilizzo degli impianti ed esportazioni stimate al 40% di quanto uscirà dalle linee. Sia Elkann sia Marchionne hanno ribadito il rispetto degli impegni presi in Italia, anche se, ha rimarcato l’ad, «produrre qui è meno attraente che altrove».
Su possibili interventi sul capitale Marchionne è stato chiaro: «Sono tranquillo, visto che in cassa abbiamo 22 miliardi. Aumentare il capitale in queste condizioni? Per il mio carattere non lo farei, ma è una cosa da studiare nei dettagli». Tra gli azionisdti, intanto, è spuntata con il 2% la People’s Bank of China. Nonostante l’ok alla fusione, anche ieri la Borsa ha risposto picche: per Fiat -1,86%.