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 2014  agosto 02 Sabato calendario

CONTRO GALAN LE ACCUSE DI 3 SUPERTESTIMONI «COMPRÒ LA VILLA CON UN MILIONE IN NERO»


DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — Nel giorno in cui Giancarlo Galan chiede la libertà, l’accusa cala tre carte pesanti. La prima è la testimonianza di Salvatore Romano, il medico condotto di Lozzo Atestino che probabilmente sarebbe rimasto sconosciuto ai più se un giorno non avesse venduto la sua villa di Cinto Euganeo all’allora governatore del Veneto. Romano, che nel piccolo centro del Padovano ha anche uno studio dentistico, dice: «Per quella villa ho ricevuto un milione e centomila euro in nero». E aggiunge di averli avuti da Sandra Persegato, moglie di Galan e originaria proprio del suo paese, oltre a settecentomila euro in bianco, cioè registrati dal notaio che ha firmato l’atto di compravendita della villa a favore del governatore. Nel suo memoriale Galan ha invece scritto: «Corrisposi al precedente proprietario poco meno di un milione di euro».
L’operazione risale a dieci anni fa e dunque è prescritta ma per gli inquirenti ha un doppio significato: Galan aveva disponibilità cash per almeno un milione e centomila euro e questo dimostrerebbe che il suo grande accusatore, Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, non s’inventa le cose. Mazzacurati ha infatti dichiarato di avergli versato in nero un milione di euro all’anno per aver le autorizzazioni del Mose. Il secondo significato per i pm è nelle cose: Galan dice il falso.
La mazzetta di Sacaim
Molto più importante sotto il profilo penale è invece la seconda carta calata ieri dai pm Stefano Ancilotto e Paola Tonini. Un vero colpo di scena: si tratta della confessione di un grosso imprenditore edile veneziano, Pierluigi Alessandri, amministratore delegato e socio di Sacaim, oggi in amministrazione controllata, un’impresa con oltre un centinaio di dipendenti e grossi lavori di restauro ed edili alle spalle, dal Palazzo del cinema alla terza corsia dell’A4 al passante di Mestre. Le parole di Alessandri sono un macigno. Sostiene di aver dato a Galan 100 mila euro in contanti in due o tre tranche e di aver ristrutturato in parte e gratuitamente la villa di Cinto per un valore di 115 mila euro. La ragione di tanta generosità? La spiega lui stesso: la mia impresa aveva raggiunto una dimensione tale che i lavori con il Comune ci stavano stretti e per avere commesse più importanti era necessario l’intervento della Regione. Fu così che chiese a Galan un aiutino. E il governatore gli avrebbe spiegato che per entrare in un certo giro bisognava non essere tirchi. I benefici si sarebbero visti ma solo in parte: qualche lavoro sul quale sta ora indagando la Procura. Ebbene, per questa vicenda, nata da una verifica fiscale della Guardia di Finanza che ha messo alle corde Alessandri, l’imprenditore è indagato per corruzione. Gli inquirenti stanno valutando se iscrivere anche Galan perché le operazioni illecite contestate sono sul filo della prescrizione, considerato che risalgono al periodo compreso fra il 2007 e il 2009.
Mevorach e Chisso
La terza testimonianza forte è invece sottoscritta da Andrea Mevorach, il facoltoso imprenditore veneziano tirato in ballo da Galan nella sua memoria difensiva: «Dopo le elezioni del 2005 Mevorach mi disse di aver consegnato a Claudia Minutillo (l’ex segretaria, oggi testimone d’accusa) 300 mila euro in nero, che io non ho mai visto». Sentito dalla Procura, Mevorach ha seccamente smentito: «Diverse volte Galan mi ha chiesto di dargli dei soldi». E quando avrebbe voluto fare un lavoro per la Regione «me li chiese nuovamente e disse di mettermi d’accordo con Chisso (l’ex assessore regionale arrestato, ndr) ma io non li ho dati né a lui né alla Minutillo, e così non ho mai fatto lavori per la Regione». Fin qui l’accusa. Per la difesa di Galan si tratta di argomenti deboli: per il pagamento in nero della casa non ci sarebbe alcuna prova, cioè è la parola del medico contro la sua; lo stesso vale per Alessandri. Mevorach viene invece liquidato così: e qual è l’imprenditore che confessa un pagamento in nero? L’avvocato Antonio Franchini, difensore di Galan, insiste: «Chiediamo la libertà o, come minimo, gli arresti domiciliari». Oggi la decisione del tribunale del Riesame.