Silvio Piersanti, il Venerdì 1/8/2014, 1 agosto 2014
BANZAI! RITORNO ALLE ARMI
Il falco Abe ce l’ha fatta. Il primo ministro giapponese ha vinto la sua lunga battaglia per una «rilettura» dell’art. 9 della Costituzione che vietava in modo assoluto al Giappone il ricorso alla guerra in qualsiasi evenienza, tranne in caso di diretto attacco contro il suolo patrio. La nuova interpretazione, approvata dal Consiglio dei ministri nonostante l’iniziale opposizione del potente partito buddhista, New Komeito, permette al Giappone di intervenire con uomini e armi in territori stranieri in difesa di un Paese alleato attaccato.
Il Giappone, pur avendo, almeno per il momento, un esercito destinato alla sola autodifesa (Self Defense Forces, Sdf) è la quinta potenza militare al mondo. Gli analisti lo inseriscono da anni tra gli Stati che dispongono di ordigni nucleari, anche se non vi è mai stata alcuna conferma ufficiale da parte del governo. Documenti comproverebbero che il Giappone testò con successo un proprio ordigno atomico in Corea nei giorni stessi in cui venivano sganciate le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Mentre il premier Shinzo Abe otteneva il consenso di suoi ministri, un giovane uomo si cospargeva di benzina e si dava fuoco davanti alla sempre brulicante stazione della metropolitana di Shinjuku, nel cuore di Tokyo , gridando con un megafono il suo disperato «no alla modifica dell’art. 9». Un atto di protesta senza precedenti in Giappone, che ha scosso l’opinione pubblica, nonostante la televisione di Stato Nhk , governata da devoti alleati di Abe, lo abbia quasi ignorato. Il giorno seguente migliaia di cittadini hanno inscenato una manifestazione davanti alla residenza privata di Abe, gridando: «Non mandiamo i nostri figli a morire sui campi di battaglia», «No alla guerra» e «Proponiamo il premio Nobel per la pace all’art. 9». Tuttavia, secondo i più recenti sondaggi, una buona metà dei 126 milioni di giapponesi approva l’operato di Abe.
Cambiare sostanzialmente un articolo della Costituzione richiede una votazione delle due camere e un referendum nazionale. Per questo Abe ha fatto una relativa marcia indietro, chiedendo quella semplice rilettura dell’articolo controverso. Ora la sua politica estera aggressiva nei confronti dei Paesi considerati ostili al Giappone e ai suoi alleati non avrà più ostacoli. La self-defense si è trasformata collective self-defense.
«Con questa riforma si rischia di destabilizzare l’intera area del pacifico orientale», commentano fonti diplomatiche cinesi. Che si domandano allarmate se il Giappone non abbia messo la Cina nella sua agenda militare. I maggiori mezzi di informazione cinesi ricordano i micidiali attacchi a sorpresa portati negli ultimi cento anni dal Giappone contro Russia, Cina e Stati Uniti. Pechino invita Tokyo a porre la massima attenzione a non infrangere in alcun modo la sovranità territoriale cinese, a cominciare dalle contese isole Senkaku.
Cina e Giappone sono stati diverse volte ai limiti dello scontro armato a causa di questo minuscolo ma strategico arcipelago disabitato nel Mar cinese orientale, la cui sovranità è rivendicata dal Giappone (Senkaku è il nome giapponese) , dalla Cina che lo identifica come Diaoyu, e da Taiwan nelle cui carte geografiche appare come Tiaoyutai.
Quali saranno le possibilità di intervento permesse alla Sdf giapponese dalla nuova interpretazione dell’Art. 9? Alcune sono enumerate in un comunicato governativo prontamente divulgato:
- intervenire in difesa di navi da guerra Usa.
- intercettare navi per controllare il loro carico quando si sospetti che trasportino armi verso Paese ostili al Giappone.
- abbattere un missile diretto verso gli Usa.
- partecipare a operazioni di peacekeeping dell’Onu.
- partecipare alle operazioni di sminamento in acque mediorientali e in altri mari.
Lo sminamento delle rotte marine strategiche anche nel corso di conflitti è particolarmente delicato e rischioso, ma – come nel caso dello stretto di Hormuz dove transita l’80 per cento del petrolio importato dal Giappone – vi sono in gioco rifornimenti essenziali per il Paese. L’intervento della marina militare giapponese in zone lontane migliaia di chilometri dal proprio territorio è quindi giustificato come un dovuto atto di difesa del diritto costituzionale alla libertà ed alla felicità dei giapponesi . «Se la mancanza di rifornimenti di petrolio ponesse minacce vitali ai nostri concittadini» ha chiarito Abe in parlamento «io credo che ci troveremmo davanti ad una situazione in cui l’esistenza stessa della nostra nazione sarebbe in pericolo». L’attuale rilettura dell’art. 9 non contempla che l’esercito di auto-difesa giapponese possa partecipare ad azioni di guerra collettive decise dall’Onu come nei casi della guerra nel Golfo persico e quella contro l’Iraq. Perché questo avvenga non basta l’attuale rilettura della costituzione, ma si renderà necessaria una sua «revisione». Che è messa in calendario per l’inizio del prossimo anno, come annunciato dal primo ministro. Le forze armate giapponesi potranno comunque essere dislocate nelle cosiddette gray-zones (aree grigie), quelle dove si sviluppa una forte tensione che normalmente precede lo scoppio di un vero conflitto.
Mentre il Consiglio dei ministri approvava la rilettura dell’art. 9, il ministro degli esteri Itsunori Onodera assicurava al collega statunitense Chuck Hagel a Washington (nel loro sesto incontro negli ultimi 18 mesi) che il suo governo avrebbe lavorato alacremente alla proposta di nuove leggi che permettano alla Sdf di collaborare senza alcun intralcio con le forze armate americane. A sua volta, Hagel esprimeva il pieno consenso alla storica svolta costituzionale giapponese. In questo nuovo quadro, sono annunciate grandi manovre militari congiunte tra Usa e Giappone nell’assunzione che Sdf e forze armate americane saranno fianco a fianco nelle operazioni belliche necessarie in casi di emergenza. «Questa svolta audace e storica permetterà al Giappone di aumentare in modo significativo il proprio contributo alla sicurezza regionale e globale, allargando il suo ruolo sul palcoscenico mondiale», ha dichiarato Hagel.
I due ministri si sono accordati per mettere a punto nuove direttive dell’accordo di alleanza militare per la difesa reciproca entro la fine dell’anno. «La rilettura dell’art. 9 e le nuove direttive che saranno presto concordate » ha anche precisato Hagen «permetteranno al Giappone di partecipare con un ruolo più attivo in aree come la difesa da attacchi missilistici, la contro-proliferazione (atomica), la contro-pirateria, il mantenimento della pace e manovre militari a largo raggio, per rinforzare la sicurezza marittima».
Ma la Cina non è seconda a nessuno quanto a dispiego di artigli. Sono ormai lontani i tempi i cui Deng Xiaoping chiedeva ai suoi ambasciatori di «dare un basso profilo del Paese senza mai far trasparire alcuna volontà di supremazia». La nuova politica estera cinese disegnata dal presidente Xi Jinping è altrettanto, se non più, aggressiva di quella di Abe ed ha spinto gli altri popoli asiatici, Giappone in testa, a cercare rassicuranti alleanze con gli Stati Uniti.
Un primo effetto non molto gradito a Tokyo e a Washington del cambiamento costituzionale giapponese è stato il volo del presidente cinese Hi a Seoul per colloqui con la presidentessa sudcoreana Park Geung Hye e la sottoscrizione di documenti in cui i due Paesi esprimono comune preoccupazione per il revisionismo storico e le nuove iniziative di politica estera di Tokyo. Abe ha annunciato la decisione di proporre al parlamento all’inizio del prossimo anno una legge che permetta all’esercito giapponese di intervenire militarmente anche in aree lontane dal proprio territorio, senza dover ottenere ogni volta il consenso del parlamento e senza leggi speciali.
Grazie alla sua Costituzione pacifista, imposta dagli Usa dopo il disastroso epilogo della seconda guerra mondiale, il popolo giapponese ha potuto vivere e prosperare per circa 70 anni senza avere ragione di pianificare invasioni, bombardamenti, partecipazioni ad esportazioni di democrazia. È questa lunga parentesi di pace che il risorgente militarismo di Abe rischia di interrompere.
Potrà la democrazia del Giappone sopravvivere alla politica di Abe? titola un commento del quotidiano The Japan Times. E non è una domanda del tutto retorica. Per la terza volta dalla sua vittoria elettorale nel 2012, Abe ha preso decisioni contrarie alla volontà di grandi masse dei suoi concittadini: la contestata legge sul segreto di Stato che può mandare in carcere un giornalista che riporti un fatto ritenuto, a sua insaputa, un segreto; la decisione di riattivare prima possibile tutti i reattori nucleari del Paese dopo il disastro di Fukushima; e infine la rilettura dell’art. 9 della costituzione. «Con la collective self-defense non proteggiamo la nostra patria, ma rischiamo un collective disastro. Abe ha acceso un fiammifero per farsi luce in una polveriera» commenta un anziano dimostrante pacifista in marcia per le strade di Tokyo.
Silvio Piersanti, il Venerdì 1/8/2014