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 2014  agosto 03 Domenica calendario

PERDERSI IN UNA TAZZA DI TÈ

Potrà sembrare strano, ma a voler fare un elenco dei veicoli principali che testimonino l’influsso asiatico in Occidente una delle posizioni più cospicue spetterebbe senz’altro al tè; e a quello di origine giapponese più ancora che cinese o coreano e persino indiano. Certo Cina e India sono dei grandissimi esportatori rispetto all’arcipelago, ma qui, anche se l’elemento materiale è determinante trattandosi di un nutrimento, ci si riferisce soprattutto al fattore culturale. Il tè, nato come medicina e divenuto bevanda, si trasformò in un fenomeno sociale ricco e complesso che ha modificò profondamente, e continua a farlo, sistemi di pensiero, emozioni estetiche, linguaggi culturali, e modalità di comportamento dall’Asia all’Occidente e nel mondo.
Intorno al "culto del tè" o, come vien chiamata in Asia, la "via del tè" si è discusso molto in Giappone proprio grazie alle sue ramificazioni in aspetti molteplici della società soprattutto a partire dal Quattro-Cinquecento. Basti pensare al rapporto tra zen e cultura del tè che fu strettissimo al punto tale che l’uno divenne una modalità di espressione dell’altro. Fu a quell’epoca che il tè prese a diventare veicolo di ricerca interiore proprio nei monasteri zen e da lì si diffuse tra l’aristocrazia di spada. Passò poi nell’alta borghesia mercantile della regione intorno all’attuale Osaka quando con Sen no Rikyu-(1521-1571), considerato il fondatore e il più grande esponente della via moderna del tè, ne vennero fissati i rituali e le procedure. E fu a Rikyu-stesso che il regista Kei Kumai dedicò il film Morte di un maestro del tè che gli valse il Leone d’argento al festival di Venezia del 1989. Sulla sintonia tra zen e pratica del tè il nipote ed erede Sen no So-tan (1578-1658) scrisse un importante saggio Il tè e lo zen hanno lo stesso sapore dove fin dalle prime battute dichiara: «ogni azione che si svolge nella seduta del Tè venne a non differire dalla Via dello Zen, e i vari tipi di Tè (…) non differiscono dallo spirito dello Zen».
Questo interessante documento è tradotto nella sezione antologica del volume La cultura del tè in Giappone e la ricerca della perfezione. L’autore, Aldo Tollini, attraverso il tè mira a condurre il lettore verso la comprensione di una delle tendenze più radicate e diffuse nella cultura giapponese. Senza qualche familiarità con questo mondo, assai presente anche oggi ancorché di difficile percezione immediata, è vano illudersi di riuscire a sintonizzarsi con uno degli aspetti più profondi e misteriosi dell’animo nipponico. E perciò fa bene l’autore a trattare non solo di teorie, tecniche e procedure della via del tè, la cosiddetta "cerimonia del tè", ma anche a riportare ampi brani tolti dai grandi classici giapponesi del tè. La via del tè è particolarmente apprezzata e associata allo zen proprio per il suo privilegiare i risvolti applicativi più che quelli teorici e lo fa attingendo da tutte le arti fra cui primeggia quella della rappresentazione o, si potrebbe dire più felicemente, del rito.
Il Novecento è stato testimone di un grande interesse universale sia per lo zen sia per l’arte del tè. Anzi si può sostenere che quest’ultima abbia in un certo modo anticipato lo sviluppo dell’altro fuori dell’Asia di quasi mezzo secolo. Il veicolo è senz’altro un’opera appassionata e coinvolgente: Il libro del tè scritto direttamente in inglese da Okakura Kakuzo-nel 1906 per il pubblico americano e caposaldo indiscusso dell’estetica del tè oltre l’Asia.
Non tutti sono consapevoli del fatto che la cerimonia del tè fu pratica lungamente riservata agli uomini e che verso la fine dell’Ottocento, nell’epoca dell’occidentalizzazione del Paese e del rifiuto dei valori tradizionali rischiò l’atrofia come tante discipline e linguaggi culturali della tradizione. Fu la genialità del discendente di uno dei tre rami in cui la famiglia di Rikyu-si era divisa dopo la sua morte, il maestro So-shitsu XII degli Urasenke, a far introdurre nelle scuole femminili la cerimonia del tè come formazione delle fanciulle da marito, in modo non molto dissimile dalle finishing schools svizzere della nostra tradizione europea. In tal modo la cerimonia del tè e con lei la sua arte rifiorirono anche se in modo più semplificato ed estetizzante rispetto a quello di Rikyu-. E il volume di Tollini, di taglio prevalentemente storicistico è ricco di informazioni e storie relative alla cultura del tè soprattutto fra il Cinque e l’Ottocento.
Una cosa però è fondamentale nell’arte del tè al di là di tutti gli studi e di tutte le discettazioni: non si deve dimenticare che il tè, come il vino del resto (e forse ogni cosa), prima ancora che discusso va bevuto e gustato.
Gian Carlo Calza, Il Sole 24 Ore 3/8/2014