Alessandro Russo, Pagina99 2/8/2014, 2 agosto 2014
PATOLOGIA DELLE TRANSENNE ROMANE
«Pronto, salve, ufficio transennamenti?». Qualche secondo di silenzio, poi la risposta, «Sì, dica...».
«Sotto casa mia c’è una transenna da mesi...».
«Ma per che cosa è il posizionamento?», chiede interessato lo sconosciuto dipendente del Comune di Roma.
«Funzione non ne ha ma è davanti a una fontana...», risponde l’utente.
«Eh, mi spiace, allora non siamo noi...».
«Guardi, abito in centro storico...», insiste il cittadino.
L’impiegato tergiversa. «Provi a chiamare più tardi, potrà parlare con il geometra».
È impossibile contare il numero di transenne presenti nella Capitale, probabilmente neanche i tecnici del comune lo conoscono. C’è chi ci ha provato, avviando un progetto nel 2010, Transenna Maps, un censimento delle transenne dislocate nel cuore di Roma.
Ma è difficile correre dietro a uno stormo che si muove in formazione, cresce, poi sparisce lasciandosi dietro qualche esemplare a ricordo del passaggio, e infine riappare. E si manifesta in tutta la sua ferrea bruttezza agli occhi dei romani, degli italiani e degli stranieri che attraversano il centro della città.
Per fotografare la facciata dell’imponente palazzo Farnese, progettata dal Sangallo e da Michelangelo, sarà impossibile evitare di inquadrare una transenna. I sedili lungo tutto il prospetto sono transennati. Come le splendide vasche di granito egizio provenienti dalle Terme di Caracalla poste nella stessa piazza.
Santa Maria dell’Anima, dietro Piazza Navona. Una transenna abbandonata impedisce l’accesso alla facciata del Sangallo e del Sansovino.
Ci sono quelle con vista, come sul Lungotevere davanti a Castel Sant’Angelo, o al Campidoglio, con affaccio sui Fori, e a piazzale Caffarelli, altra terrazza su Roma. Queste ultime saranno lì da almeno un paio di consiliature comunali.
Alcune transenne labirinto appaiono di tanto in tanto in Piazza del Gesù. Occupano lo spazio ispirandosi alla forma del noto soffitto a cassettoni del Palazzo Ducale di Mantova. Il “forse che sì, forse che no”, che tanto piacque a D’Annunzio.
Non mancano le transenne preventive. Si possono incontrare passeggiando, una addossata all’altra. Sono lì in caso di emergenza, ma da sempre. Come quelle in Piazza Santi Apostoli, circa venti, abbandonate in gruppi sparsi e senza un criterio apparente. Come quelle della Corsia Agonale, nei pressi di Piazza Navona. Queste sono transenne sicuramente senatorie, vista Palazzo Madama e Fontana dei Quattro Fiumi.
Tra le più numerose quelle in Piazza Colonna. Sfregiano la vista del trionfo coclide di Marco Aurelio e la bella fontana tardo cinquecentesca di Giacomo della Porta. A giustificare lo scempio, la sede del Governo, Palazzo Chigi. Poco lontano, il gruppo delle transenne parlamentari. Circondano piazza Montecitorio. Qui la scelta è stata di casta: addossate alle fioriere, nascoste alla vista degli onorevoli, ma ben in evidenza per cittadini e i turisti.
Nel breve elenco, ovviamente non esaustivo, non poteva mancare il Colle per eccellenza. Il Quirinale. Discrete transenne zincate anche qui, all’ingresso del Palazzo sede della Presidenza della Repubblica.
Si dirà, le transenne sono tutte della politica. No, ce ne sono tante, sole e abbandonate da tempo, sparse per le vie del centro della Capitale d’Italia. Nella città le transenne sono ormai da tempo parte integrante del pessimo arredo urbano. Il sistema della transenna sembra molto complesso, si direbbe bizantino più che romano.
Quelle per i lavori privati sono autorizzate da un ufficio specifico, che si occupa anche del transenna mento in caso di buche e problemi stradali. Poi ci sono le transenne della società per i servizi e le utenze della città. Queste, una volta finiti i lavori, dovrebbero autonomamente provvedere alla rimozione. In ultimo le transenne poste dalle forze dell’ordine. Ed è così anche le forze dell’ordine si trasformano in forze del disordine.
Roma ha un bisogno continuo di transenne. Gli anglosassoni la definirebbero una addiction. Non bastano mai, tanto che in occasione della famosa canonizzazione dei due Papi sembra ne siano state acquistate altre 800 per una cifra di circa 150 mila euro.
Questo dimostra che le transenne a Roma hanno a che fare con la religione. Alcuni cittadini hanno anche dato vita a un blog che invoca un intervento divino: “e liberaci dalla transenna”. Amen. E in effetti un legame con la religione sicuramente c’è. L’elemento architettonico denominato transenna, molto diverso da quello attuale, era indispensabile per la rigorosa liturgia cristiana medievale. Transenne, iconostasi, balaustre o plutei, a seconda della foggia, delimitavano lo spazio del presbiterio, lo spazio sacro riservato al clero. Gli artigiani davano prova della loro abilità intagliando marmi, a volte cercando la trasparenza dei vuoti nella pietra, impreziosendo l’intaglio con motivi ornamentali, veri e propri erbari e bestiari scolpiti.
La transenna era protagonista dell’arte da Nord a Sud, da Venezia a Palermo. Nel primo Rinascimento la transenna si ingentilì, ma era il canto del cigno. Si fece notare nell’esplosione di rami di quercia dalle anfore scolpite della Sagrestia vecchia di San Lorenzo a Firenze. Resistette e trionfò, fino a entrare nella Cappella Sistina, con l’elegante opera di Mino da Fiesole, Andrea Bregno e Giovanni Dalmata negli anni ’80 del Quattrocento. Poi la morte.
Gli storici dell’arte sembrano concordi nel dire che la transenna si sia estinta nel Rinascimento. La pietra tombale fu posta dal Concilio di Trento con la rivoluzione liturgica della Controriforma. Oggi di queste belle transenne non si ha quasi memoria. Di certo, il turista della Sistina sarà lì per vedere Michelangelo, lo sguardo sorvolerà su Mino da Fiesole. E l’unica transenna che avrà davvero notato sarà quella zincata, incontrata mentre era in fila per entrare ai Musei Vaticani.
Inutile cercare un confronto con le altre capitali europee perché, parafrasando Quintiliano, si potrebbe dire: transenna quidem tota nostra est.
La transenna è precaria a vita. Impedisce il raggiungimento di un luogo, ma non necessariamente preclude il desiderio di raggiungerlo. Alimenta false speranze per il un futuro di libertà. È messa lì per la sicurezza del cittadino, ma di fatto blocca ogni movimento. È utilizzata per difendere la tanto citata casta.
È la miglior rappresentazione della trascuratezza del Paese. Rabberciata, con teli in plastica forata o nastri bianchi e rossi, ferrea, alta, bassa, sola o in fila. Sempre zincata, perché possa durare in eterno. Rappresenta la povertà economica, culturale e politica dei comuni italiani. Le transenne mobili e grigie sono gli antipatici e antiestetici presidi ortopedici di un paziente ferito che stenta a riprendere il passo. Anzi lo perde sempre più, appesantito da una cura sbagliata. Le transenne hanno la pretesa di difendere i sacri monumenti dalla barbarie, ma contemporaneamente li offendono.
La transenna è l’ultima versione del muro contro il quale, malgrado ogni riforma e controriforma del Paese, gli italiani e i turisti inciampano. Da sempre.
«Sì, io sono finalmente nella capitale del mondo», diceva nel 1786 Wolfgang Goethe arrivando a Roma nel suo Grand Tour. Poco più avanti proseguiva: «Si incontrano da per tutto tracce di una magnificenza e di uno sfacelo che sorpassano ogni nostra immaginazione».