Teodoro Chiarelli, La Stampa 2/8/2014; Francesco Manacorda, La Stampa 2/8/2014, 2 agosto 2014
SI’ ALLE NOZZE FIAT CHRYSLER, NASCE FCA
(due pezzi) - Via libera alla fusione di Fiat con Chrysler e alla nascita di Fca, il settimo gruppo automobilistico mondiale, con 4,7 milioni di auto vendute nel mondo. Gli azionisti Fiat, al termine dell’assemblea straordinaria, l’ultima che si tiene a Torino, approvano l’operazione a maggioranza, con oltre l’84% dei votanti (contrario l’8% del capitale). «E’ solo l’inizio - commenta un John Elkann visibilmente soddisfatto - Voglio dire che chi rimarrà azionista, come rimarrò io, avrà grandi soddisfazioni».
Sergio Marchionne, che dieci anni fa raccolse il timone di un’azienda sull’orlo del fallimento, evoca scenari epici: «Conosciamo la tempesta, l’abbiamo attraversata e ne siamo usciti vivi e temprati». Poi, rivolto agli azionisti: «Non ci accontentiamo di essere mediocri. Questa è un’azienda che può e deve puntare in alto. Il progetto Fca apre un futuro nuovo per la nostra azienda». E spiega: «L’obiettivo è fare di Fca, in cinque anni, un’azienda con ricavi superiori a 130 miliardi di euro, un utile operativo di circa 9 miliardi, tre volte a quello dell’anno scorso, e un utile netto di 5 miliardi, più di cinque volte quello dell’anno scorso». Sostiene, ancora, l’amministratore delegato: «Ci siamo posti il traguardo di 7 milioni di vetture vendute all’anno, aprendoci la possibilità di guadagnare almeno un’altra posizione nella classifica globale dei principali costruttori di automobili».
Per la verità c’è, almeno sulla carta, la possibilità che la fusione possa non andare in porto. Tra le condizioni per il successo dell’operazione c’è il limite di 500 milioni di euro all’esborso di Fiat per pagare il diritto di recesso agli azionisti che lo rivendicassero. «Il rischio che la fusione tra Fiat e Chrysler salti c’è. Non ho mai cercato di negarlo, ma è totalmente gestibile», dice Marchionne. «Non lo vedremmo come un fallimento, siamo fiduciosi - aggiunge Elkann - Il fatto che l’8% degli azionisti abbia votato contro la fusione non implica che tutta questa percentuale si traduca in recesso». Ancora l’ad di Fiat Chrysler: «Il diritto di recesso si potrà esercitare entro 15 giorni dalla pubblicazione del verbale dell’assemblea. L’azienda può riposizionare le azioni oggetto del recesso con un diritto di prelazione offrendole ad altri azionisti. Si saprà tutto tra 60 giorni. Se dovesse andare male ci torneremo in un momento migliore, ma sia io, sia John, siamo convinti che non succederà».
Ora si apre la strada per arrivare entro ottobre alla quotazione a Wall Street di Fca che avrà sede legale in Olanda e domicilio fiscale a Londra. «Non stiamo lasciando l’Italia - insiste Marchionne - siamo sempre qui. Continueremo a essere protagonisti. L’impegno resta immutato, non ridurremo le nostre attività industriali. Rispetteremo l’impegno per il rientro di tutti i dipendenti nelle fabbriche italiane. Fateci lavorare in maniera molto silenziosa, le cose le faremo». Quindi boccia l’ipotesi incentivi alle auto del ministro Maurizio Lupi («Drogano il mercato») e invita il premier Matteo Renzi «ad andare avanti senza guardare in faccia nessuno» sulla strada delle riforme.
Nel consiglio di amministrazione di Fca, in carica quando la fusione sarà operativa, accanto a Elkann, Marchionne, Andrea Agnelli, Tiberto Brandolini d’Adda, Glenn Earle, Valerie A. Mars, Ruth J. Simmons, Ronald L. Thompson, Patience Wheatcroft, Stephen M. Wolf ed Ermenegildo Zegna non ci sarà Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Ferrari. «Il consiglio ha una componente Fiat e una Chrysler e rispetta i vincoli di indipendenza, genere, nazionalità e competenze professionali - dice Elkann - Siamo così arrivati a una composizione ottimale». Nel capitale Fiat spunta People’s Bank of China con il 2%. «La conferma - commenta il presidente - di come Fca sia in grado di attirare investitori da tutto il mondo».
I vertici del Lingotto confermano i programmi annunciati a suo tempo. «Stiamo attrezzando Mirafiori per produrre il suv Maserati Levante - racconta il manager italo canadese - Dovrà uscire a fine 2015. Stiamo facendo gli ultimi calcoli. Quanto a Cassino, procedono i lavori di ristrutturazione, inizieremo una nuova produzione, ma non vi dico di cosa». Tutti però pensano alla nuova Alfa Giulia con la quale dovrebbe partire la riscossa del Biscione sul difficile terreno dei segmenti premium. Tra i capitoli aperti quello delle alleanze. Vendere ai tedeschi? «Mai - taglia corto Marchionne - Abbiamo messo una vita intera per creare questa realtà. Io non comprerei né una Volkswagen né una Peugeot, solo vetture del gruppo».
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LA DOPPIA SCOMMESSA TRA RADICI E MONDO -
All’Italia e ai torinesi dice «che è un grandissimo giorno, perché oggi abbiamo la possibilità di seguire un nuovo percorso che rafforzerà moltissimo la componente italiana di Fca». Al mercato assicura «l’impegno mio personale e della mia famiglia per continuare a sostenere Fca e il suo management, a maggior ragione ora che si profilano grandi opportunità».
Il voto favorevole dell’assemblea straordinaria è passato, Fiat si avvia alla fusione con Chrysler - a meno di improbabili sorprese - nella holding di diritto olandese Fca. E adesso il presidente del gruppo John Elkann non solo tranquillizza chi teme di vedere la nuova Fiat in formato globale meno italiana e meno legata a quella città dove è nata nel 1899 e di cui ora lascia la T nella sigla, ma rilancia: «Sono contento come torinese, le prospettive non sono mai state così positive. Da torinesi sorridiamo».
E proprio le prospettive positive del gruppo Fca, ribadite anche ieri da Elkann e dall’amministratore delegato Sergio Marchionne sono alla base della doppia garanzia che Elkann offre ieri. Quella di un ruolo forte per l’Italia e i suoi stabilimenti, grazie alla dimensione globale che consentirà di puntare molto sulle esportazioni dal nostro Paese verso l’Europa e il mondo, specie per quel che riguarda le vetture più pregiate come Maserati e Alfa Romeo; e poi la garanzia di un ruolo forte e continuo dell’azionista di maggioranza relativa. «Ho letto che la mia famiglia sarebbe “stanca” e che vedrebbe di buon occhio un disimpegno, per dedicarsi ad altre attività meno faticose o meno rischiose», dice Elkann davanti all’assemblea dei soci. E invece il messaggio è esattamente il contrario: «Il nostro impegno lo dimostrano i fatti. Abbiamo accompagnato in un momento così difficile il passaggio della fusione tra Fiat e Chrysler. Le prospettive sono buone e quindi non c’è motivo di cambiare atteggiamento».
Non è difficile seguire il ragionamento del presidente della Fiat. Mentre ieri prende la parola all’ultima assemblea che si tiene al Lingotto il calendario segna dieci anni e due mesi esatti da quel 1° giugno 2004 in cui Marchionne esordiva come amministratore delegato e lo stesso Elkann diventava sul campo vicepresidente del gruppo.
Più volte, anche in questi ultimi mesi, il presidente della Fiat ha ricordato come all’epoca prevalessero le difficoltà e i timori sulla sopravvivenza stessa del gruppo. Poi la cura dura e difficile e la scommessa americana - a metà percorso, siamo nel 2009 - che adesso diventa una fusione a tutti gli effetti, con la trasformazione di Fiat e Chrysler unite sotto la holding Fca nel settimo produttore mondiale con una dimensione davvero globale.
Non avrebbe senso lasciare adesso il controllo del gruppo, visto che è da ora in poi che si prevede di raccogliere i frutti di una stagione passata così difficile. Anche quelle «loyalty shares», le «azioni fedeltà» che verranno date a tutti gli azionisti di lungo corso come prevede il diritto societario olandese e che in prospettiva rafforzeranno al presa di Exor su Fca, «non saranno il driver per operazioni», spiega Elkann rispondendo a una domanda su possibili nuove mosse del gruppo per alleanze internazionali. Un controllo saldo non significa però che nuovi azionisti istituzionali non siano i benvenuti. Anzi. Elkann commenta in modo molto favorevole l’ingresso tra i soci della «People’s Bank of China», che compare ieri in assemblea con il 2% del capitale. È una mossa «molto positiva. Una manifestazione concreta di come Fca sia in grado di attirare investimenti da tutto il mondo».
Ancora l’Italia, ancora le preoccupazioni di chi pensa che diventando ufficialmente - nei fatti lo è già da tempo - parte di un gruppo globale, Fiat possa tagliare le sue radici. A un azionista che gli chiede perché la «sua» Fiat abbia deciso di andare all’estero, la risposta è che «non andiamo all’estero. Continuiamo a fare quello che stiamo facendo. Semplicemente si è ampliato molto il nostro perimetro di attività». Insomma, dalle fabbriche italiane si continuerà a produrre - secondo il piano industriale tornando alla piena occupazione su due turni - anche per il resto del mondo. Accadrà negli stabilimenti del Sud come quello di Melfi da cui sta uscendo la nuova Jeep Renegade, così come dal nuovo polo del lusso torinese: la Maserati a Grugliasco e il rilancio di Mirafiori con il Suv Levante e l’attesa per i nuovi modelli Alfa Romeo.
«Essere nel mondo - rassicura il presidente Fiat - non significa diventare indifferenti ai contesti locali, cioè ai diversi luoghi dove Fca opera. In Italia, dove la nostra storia è iniziata e dove vogliamo continuare ad essere protagonisti attivi», e ovviamente «anche nel mondo» dove si proietta la nuova Fca.