Francesco Petretti, Io Donna 2/8/2014, 2 agosto 2014
NON FATE COME I PANDA
Seppure travolte da un afflato di tenerezza, non dite mai a un maschio: “Mi sembri un panda!”. Se è ben informato sulle caratteristiche etologiche dell’orsacchiotto bianco e nero potrebbe aversela a male: il panda dal punto di vista delle prestazioni sessuali, infatti, è pressoché una nullità. Se non ci credete basta una prova empirica: mettete un panda ben pasciuto, e quindi non affamato, di fronte alla scelta tra un ciuffo di bambù e un’affascinante compagna, morbida e attraente. Non c’è storia: lui preferisce il bambù che sgranocchierà con sensuale soddisfazione, tenendolo tra le zampotte che l’evoluzione della specie ha munito di sei dita, proprio per meglio piluccare foglie e germogli.
Adesso potreste dire: «Ma a noi, della libido dei panda, che c’importa?» Comprensibile. Ma il problema è che di panda ne sono rimasti talmente pochi, che se non si riproducono, e alla svelta, rischiano di estinguersi nel giro di pochi anni. Il mondo perderebbe, così, nell’ordine: un campione dell’evoluzione, un meraviglioso modello di pupazzi di peluche, il simbolo del Wwf. E la Cina dovrebbe fare a meno di una grande risorsa economica. Qui, infatti, il panda rappresenta un “affare di Stato”: dopo la Grande Muraglia, i cinesi lo considerano come il secondo “monumento” più importante. Non a caso per chi gli torce un pelo sono state varate pene severissime. Inoltre, tutti i panda che si trovano negli zoo del mondo sono di proprietà del governo cinese che li “affida” temporaneamente, ma ne resta assoluto proprietario, prole compresa. E così se uno zoo vuole avere un panda, deve pagare ogni anno un milione di dollari a Pechino.
Ma, nonostante il costo proibitivo, la lista d’attesa è impressionante. si comprendono riconoscenza e affetto da parte del continente asiatico nei confronti dell’orsacchiotto, il primo e il più importante strumento per la sua apertura al mondo occidentale. Era il 1972 quando Ling Ling e Hsing Hsing, due magnifici esemplari, vennero regalati dal premier cinese al presidente Richard Nixon e furono accolti in America con gli onori solitamente tributati a un capo di Stato. Un gesto formale per segnare una svolta nei rapporti diplomatici non proprio sereni tra i due Paesi. Oggi i due panda sono morti di vecchiaia, ma il loro posto è stato preso da molti altri, sempre provenienti dalla Cina, che hanno occupato il grande recinto nello zoo di Washington per mantenere vivo il ricordo di un evento storico. E per far capire che il panda - scelto come simbolo del Wwf dal suo fondatore, il naturalista inglese Sir Peter Scott, a metà degli anni Sessanta - non è solo un simbolo, ma è soprattutto un animale in carne e ossa.
I panda sono orsi di media taglia, possono superare il quintale di peso e vivere più di 30 anni, fanno una vita prevalentemente solitaria e le femmine d’inverno si ritirano in profonde tane per partorire, durante il letargo, un cucciolo, a volte due. In libertà sopravvivono poche centinaia di esemplari, sparsi sulle montagne della Cina Sud orientale, regione ancora ricca di foreste, ma purtroppo sempre meno estesa: l’habitat è ormai ridotto a un fazzoletto di natura intatta, circondato da un mare di coltivazioni e villaggi, insidiato dal pericoloso fenomeno della ciclica morìa delle piante di bambù che dopo essere fiorite, ogni 10 - 12 anni, muoiono tutte insieme, lasciando i panda a stomaco vuoto. per questo sono periodicamente costretti a emigrare. Il problema è che, se non possono farlo, non hanno altro destino che l’estinzione. E proprio per scampare questo pericolo, i cinesi hanno allestito a Chengdu, capitale della provincia dello Sichuan, un centro unico al mondo per l’allevamento e la riproduzione dei panda che è quanto di meglio sia mai stato fatto nel campo della biologia della conservazione. Vi lavorano biologi, genetisti, psicoterapeuti che operano tutti mascherati da panda, in modo che questi ultimi non facciano confusione fra uomini e orsi, e continuino a condurre una vita normale, senza sviluppare troppa confidenza con gli esseri umani.
Ma non sono tutte rose e fiori. Ci si aspettava un boom di nascite, eppure nei soli due giorni l’anno durante i quali la femmina è fertile, il maschio pensa ai bambù. Del resto, per consumarne quasi 40 chili al giorno ci vuole tempo. I cinesi sono arrivati persino a ricorrere al Viagra e a fargli vedere “come si fa”, proiettando film hard e mimando l’atto. I risultati però non sono stati soddifacenti. Solo negli ultimi anni, grazie alle tecniche di fecondazione artificiale, il mondo sta assistendo a una sorta di baby boom di orsacchiotti: il seme dei maschi, prelevato con modalità sulle quali vige il più stretto riserbo, feconda le femmine. Il cucciolo nasce dopo una gestazione di circa cinque mesi ed è rosa, poco più grande di un topolino. In breve tempo, però, grazie al latte materno, diventa - miracolosamente - quella morbida “palla” di pelo bianco e nero che continua ad affascinare grandi e piccoli di tutto il mondo. Sarebbe bello poterne avere uno in casa, ma, anche se fossimo disposti a spendere un milione di dollari all’anno, dovremmo metterci in fila. E aspettare qualche decennio.