Marco Mensurati e Matteo Pinci, la Repubblica 3/8/2014, 3 agosto 2014
PANTANI, IL GIALLO DEI PUSHER CONTATTI FRENETICI AL TELEFONO MENTRE MARCO ERA GIÀ MORTO
RIMINI.
La nuova indagine sulla morte del Pirata ripartirà da una serie di tabulati telefonici. Numeri che si incrociano in maniera convulsa nelle ore immediatamente successive all’omicidio di Marco Pantani, in quel tragico pomeriggio del 14 febbraio 2004, e che disegnano una strana, fittissima triangolazione tra Fabio Miradossa, Ciro Veneruso — vale a dire il fornitore e lo spacciatore del ciclista (successivamente per questo condannati) — e altri numeri per il momento non meglio identificati. Cosa c’era all’origine di quel febbrile giro di chiamate rimbalzato nell’etere tra le 13 e le 20 di quel giorno? Chi sapeva cosa? Per quale motivo, di punto in bianco, due “pesci piccoli” dello spaccio in Riviera cominciano ad agitarsi in maniera scomposta?
Ci vorranno mesi per saperlo. Le indagini penali, si sa, hanno tempi lunghi, specialmente quando diventano tecniche. Ma ormai la macchina si è messa in moto, e comunque vada, alla fine, una risposta definitiva sulla morte di uno dei campioni più amati di sempre dovrà pur venire fuori. Almeno questo è l’intento del procuratore di Rimini Paolo Giovagnoli. «Abbiamo appena ricevuto le carte presentate dai familiari e aperto un’indagine. È un atto dovuto quando arriva un esposto-denuncia per omicidio volontario. Leggeremo le carte, se ci sarà l’esigenza di indagini chiederemo al giudice». Le carte, in realtà, Giovagnoli le aveva già lette la scorsa settimana facendo in tempo ad aprire il fascicolo “contro ignoti” e ad affidare l’inchiesta a una giovane fidata collega, il pm Elisa Milocco.
In procura — dove tutti si nascondono dietro il più assoluto segreto istruttorio — nessuno sottovaluta la difficoltà di un cold case del genere, con una vittima tanto famosa e amata, uno scenario alternativo così suggestivo, e con dieci anni di distanza a rendere tutto, se possibile, ancor più complicato. Basti pensare che il luogo del delitto, semplicemente, non c’è più: il residence Le Rose, nella cui stanza D5 venne ritrovato, il 14 febbraio 2004, il cadavere di Marco Pantani, è stato demolito. E non è un dettaglio da poco. Molto, nella ricostruzione originaria, quella fatta a pezzi dalle indagini difensive condotte dall’avvocato Antonio De Rensis, ruotava attorno al fatto che nessuno fosse entrato o uscito in quei giorni dalla stanza di Pantani, visto che nessuno era passato per la portineria chiedendo di lui.
In realtà, si è scoperto, quella stanza, così come tutte le altre in quel residence, poteva essere raggiunta comodamente e con la massima discrezione dal garage (non c’era nemmeno una telecamera di controllo). Insomma, in quei giorni chiunque potrebbe essere entrato e uscito dalla stanza di Pantani, spacciatori, vecchi amici del posto, gente venuta da Milano. Chiunque, insomma, oltre allo stesso Pantani e ai suoi eventuali assassini. Purtroppo però non sarà possibile effettuare alcun sopralluogo.
Ciononostante la voglia di fare luce su un caso che da anni avvelena le acque di questa piccola procura è tanta. Ancora ieri Paolo Gengarelli, il pm della prima inchiesta, quella oggi sotto tiro ha rilasciato una dichiarazione non proprio amichevole: «Io non commento la notizia, sono un magistrato con l’abitudine di non parlare come dovrebbero fare in tanti, lascio che siano gli atti a farlo». La scelta di affidare l’incartamento a un magistrato “nuovo” dell’ambiente, lontano per definizione da ogni possibile pressione locale non appare casuale.
La strada dell’indagine a questo punto è abbastanza scontata. La dottoressa Milocco al ritorno dalle vacanze (ha chiuso ieri l’ufficio portando con sé il fascicolo) avvierà i primi accertamenti, delegando la polizia giudiziaria. Poi disporrà una nuova perizia. Il cuore delle accurate indagini effettuate da De Rensis e il suo staff è infatti la perizia medico legale del professor Francesco Maria Avato che ha parlato di «ferite non autoprodotte, ma inferte da terzi» sul corpo di Pantani, di «evidenti segni di trascinamento del cadavere», e della «probabile ingestione della cocaina da una bottiglia di acqua» ritrovata sulla scena e «mai repertata». Elementi che, se confermati, non lascerebbero più dubbi sull’omicidio di Pantani. Resterebbe a quel punto da rispondere alle altre domande: chi e perché ha ucciso Pantani, e chi e perché ha coperto l’assassino? Nell’istanza presentata da Rensis ci sono numerosi altri elementi che potrebbero aiutare a rispondere anche a queste domande. E i tabulati telefonici sono uno di questi.
Marco Mensurati e Matteo Pinci, la Repubblica 3/8/2014