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 2014  agosto 03 Domenica calendario

DIRETTORE ARTISTICO DELLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

[Intervista a Alberto Barbera] –
Alberto Barbera, lei è stato direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia una prima volta dal ’99 al 2001, quindi è stato richiamato nel 2012. Cos’è cambiato nel cinema in questi dieci anni?
«Molto più di quanto si possa immaginare. La rivoluzione digitale ha trasformato il cinema, il modo di produrre, di promuovere e di distribuire i film. Oggi la realizzazione di un film è molto più accelerata, poi appena è terminata si tenta subito di fare uscire il film in sala perché gli investimenti sono altissimi. I festival non sono più strategici come una volta per i grandi film. Ma lo sono ancora per i film più piccoli e per produzioni indipendenti. Restano un modo efficace per fare conoscere un autore non ancora affermato oppure un film che ha delle difficoltà di distribuzione».
E in cosa è cambiata la Mostra di Venezia?
«Oggi è considerato un festival molto caro. Ormai gli studios fanno molta attenzione alle spese. In più, c’è anche il rischio che un film possa non essere ben accolto dalla critica e quindi subire un effetto boomerang. Certo Venezia rimane un appuntamento di grande prestigio, di validissima tradizione e con una selezione di qualità. Come Cannes, Berlino o, per il film d’autore, Locarno».
Che rapporto c’è oggi tra il cinema «vero» e le serie televisive sempre più popolari?
«Certamente il cinema deve farci i conti. Le serie sono spesso dirette da grandi registi e interpretate da star hollywoodiane e hanno visibilità, successo e popolarità a volte più grandi dei film. L’aspetto interessante è che oggi le serie tivù sono diventate il luogo dove si sperimenta di più, perché permettono di esplorare temi inediti e forme narrative nuove. E recuperano una dimensione romanzesca cui il cinema ha rinunciato, in decine di puntate che ripropongono la grande narrativa, per esempio, dei romanzi ottocenteschi. Resta il fatto che il cinema è in crisi, vive un momento di transizione. A parte la Cina dove c’è un boom come negli Anni Quaranta o Cinquanta da noi».
Quali sono i criteri per scegliere i film della Mostra?
«Tutto il lavoro si fa in poco più di otto settimane. C’è un gruppo di sei esperti che, attraverso selezioni successive, sceglie i 55 film che saranno presentati».
Da quanti Paesi?
«Sono 40, dall’Asia all’America, all’Europa».
Con quale film si apre?
«L’inaugurazione ufficiale è il 27 agosto con Birdman di Alejandro Inarritu, preceduta il 26 in Sala Darsena con un film muto restaurato, Maciste alpino, che arriva dal Museo nazionale del Cinema di Torino, accompagnato dal quartetto jazz di Roberto Casarano e dai Locomotive».
La giuria?
«Nove persone in tutto. Questa volta è presieduta da un compositore di musica di film che ha avuto cinque nomination agli Oscar, Alexandre Desplat, che ha lavorato con i grandissimi. Poi ci saranno l’attrice cinese Joan Chen, il regista tedesco Philippe Groning, la regista austriaca Jessica Hausner, la scrittrice indiana-americana Jhumpa Lahiri, la costumista del film di Scorsese Sandy Powell, l’attore Tim Roth, il resista palestinese Elia Suleiman e Carlo Verdone».
Lei cosa si aspetta dalla Mostra?
«Ci saranno molti grandi autori e attori, alcuni noti, alcuni esordienti, alcuni meno noti e futuri talenti di domani. Molti i film italiani, tre nel concorso principale, Il giovane favoloso sulla vita di Leopardi, regia di Mario Martone, interprete Elio Germano, il terzo film di Francesco Munzi, Anime nere, una faida tra due famiglie di ’ndrangheta e il film di Saverio Costanzo, Hungry Hearts, girato interamente in inglese a New York. Tra i film nella categoria Orizzonti ci sono quello interpretato e prodotto da Pierfrancesco Favino, Senza nessuna pietà, La vita oscena di Renato De Maria e Belluscone, una storia siciliana di Franco Maresco, il suo primo film dopo sette anni».
E fra i non italiani?
«Tra i più attesi, i due film di cui è protagonista Al Pacino, uno in concorso e uno fuori. Poi il Pasolini di Abel Ferrara (interpretato da Willem Dafoe) e Good kill di Andrew Niccol, un film molto forte e duro sull’uso militare dei droni. I francesi presentano in concorso quattro film. Ci sono le opere di Benoit Jacquot, Tre cuori, quella di Xavier Beauvois, La rançon de la gloire (entrambe hanno come protagonista l’attore Benoit Poelvoorde), e poi Alix Delaporte con Le dernier coup de marteau e David Oelhoffen con Loin des hommes».
Insomma, un festival molto variegato...
«Certamente. E’ importante per una Mostra come Venezia dare ascolto e visibilità al maggior numero possibile di talenti provenienti da tutto il mondo».
Alain Elkann, La Stampa 3/8/2014