Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 02 Sabato calendario

PERISCOPIO

«In Inghilterra anche la sinistra è liberale. In Francia, nemmeno la destra lo è». Andrè Compte-Sponville, Dictionnarie philosophique. PUF.

Berlusconi, per il peggio e il meno peggio, mi accompagna dal mio primo giorno in Italia, senza lasciarmi mai una tregua. Mi sono incrociato su di lui quasi ogni giorno. Imprevedibile, fuori norma, ridicolo, patetico, egli, da solo, ha giustificato la presenza di un centinaio di corrispondenti dal mondo intero a Roma, proprio mentre la potenza dell’Italia stava declinando. Philippe Ridet, corrispondente da Roma di le Monde in L’Italie, Rome et moi. Flammarion.

Un tempo l’emulazione era verso l’alto. Io non sono mai stato il primo della classe. Ma non ho mai pensato di invidiare i più meritevoli. Mia nonna mi diceva: «Vai con delle persone migliori di te». Oggi si dice: «Siccome non riesco a raggiungerti, scendi tu al mio livello». Bruno Vespa. Sette.

Il quartier generale del partito socialista a Roma sorgeva nella centralissima via del Corso. Quel vecchio palazzo dell’Ina aveva qualcosa di affascinante nell’architettura e qualcosa di ripugnante negli interni improntati al cliché burocratico dei partiti dell’epoca. Intonati all’ambiente, stili di lavoro approssimativi, ciarlieri e distratti, ruvidi e ingrugniti, e ritmi ministeriali all’insegna di un lassez faire ora becero, ora lamentoso. Claudio Martelli, Ricordati di vivere. Bompiani.

Come mi piacerebbe poter rinascere e poter rinascere nel 1947 a Bologna. Anch’io come Enrico Brizzi, non frequentissimo esempio di nostalgico. Da quarantenne, avrei potuto avere una fanciullezza dialettofona. In L’arte di stare al mondo (Mondadori) il felsineo scrittore ricorda le preghiere della buona notte che cominciavano così: «A lèt, a lèt, a voi andèr / Tot i sant a voj ciamèr». Che meraviglia! Oltre alla dimestichezza coi santi del calendario, invidio a Brizzi quella con un santo profano il cui fantastico programma esistenziale fa rima col nome Michelàz: «Magner, bavver e fèr un càz». Camillo Langone. Il Foglio.

A casa mia conservo un elefante d’argento che fu donato ai miei genitori il giorno del loro matrimonio e che conservo nel mio studio. È un elefante di argento costruito senza l’argento. Era il tipico regalo di nozze durante il fascismo. Ricordava le colonie africane. Siccome tutto l’argento era stato donato alla patria per costruire i cannoni, gli elefanti erano modellati in gesso e poi immersi in un bagno che li rendeva argentati. Per me è il simbolo della casa, della continuità, spero che anche i miei figli lo conservino con cura. Pupi Avati, regista. Corsera.

Claudio Stellari appartiene alla generazione passata, in un attimo, dal crollo dell’Urss al crollo delle Torri gemelle, dagli aeroplanini di carta a Facebook, dal made in Italy al made in China, dalle domeniche in chiesa alle domeniche all’Ikea. Ma soprattutto, la generazione che si è vista retrocedere dal posto fisso al lavoro precario. Luciano Tirinnanzi, Crepi quel lupo! Come sopravvivere quando si è giovani e precari. Robin.

Nella prima udienza del processo che si tenne al Cairo contro Morsi, il deposto presidente dichiarò: «Facciamola finita con questa farsa, è stato un colpo di stato quello che mi ha deposto. Sono altri quelli che dovreste processare». E al giudice che lo chiamava «imputato» ha detto: «Io sono il dottor Mohammed Morsi Isa al-Ayyat. Ricordati che sono il tuo presidente. Secondo la Costituzione, l’unico legittimo». Massimo Fini. Il Fatto.

Il quartiere alla periferia di Roma dove ci trasferimmo non era ancora finito, ma c’era la parrocchia. Fondamentale. Magari te rubbava l’anima, ma ti restituiva una formazione oggi impensabile. Luigi Proietti. Il Fatto.

Varie architetture sono in corso di redazione a Napoli per abbattere il vituperato Giggino (De Magistris ndr), ferito da un colpo auto-inflitto sin dalle foto della prima sera di baldoria da sindaco, con la surreale bandana arancione e gli occhietti da Maradona al mondiale del ’94. Tant’è che Rodolfo, garagista sotto Palazzo San Giacomo dice: «Giggino pare una creatura che ha preso troppi scussettoni, ceffoni. Totonno (Bassolino) è un filibustiere ma sa venderti qualunque merce». Goffredo Buccini. Corsera.

Una casa di cura per malattie nervose. Nella sala di soggiorno già di mattina è accesa una tv: un malato le sta davanti senza guardarla. Due pazienti in pigiama affacciati a un balconcino fumano aspirando avidamente. Una bella donna col viso devastato da un ignoto dolore se ne sta seduta in un angolo, come ripiegata su se stessa, assente. Tutti si trascinano con passi pigri, strascicando le scarpe, come gente che non ha alcun luogo in cui andare. Dalla cucina arriva rumore di piatti, e odore di minestra di verdura. Sull’orologio sul muro le lancette avanzano con esasperante lentezza. Improvvisamente nella sala entra uno sconosciuto e, svelto, la traversa, con una cassetta degli attrezzi in mano. A un infermiere chiede dove si trova il locale caldaia: è un operaio, addetto a una qualche riparazione. Ma in questo luogo di destini sospesi, di passi spenti che tornano sempre nel medesimo punto, la rapida andatura di un uomo che va a lavorare sembra un evento eccezionale. Gli sguardi dei malati lo seguono con un’ombra di nostalgia: anche loro, in un tempo che adesso sembra remoto, andando a lavorare, camminavano a quel modo. Che benedizione è, pensi, per gli uomini, il lavoro, che li trae fuori da sé, che li costringe a alzarsi e a fare e a essere insieme agli altri. E che benedizione è averlo, un lavoro, anche uno qualunque: nei passi certi di un operaio in mezzo all’andirivieni opaco dei malati, lo ho riconosciuto. Marina Corradi. Avvenire.

Nel mio ultimo libro (Sale, zucchero e caffè, Mondadori) rievoco le stragi tedesche, non naziste, in Abruzzo perché non furono le SS, ma la Wehrmacht, l’esercito regolare, a farle. A Pietransieri furono uccise 128 persone. Onna venne rasa al suolo, 66 anni prima del terremoto. A Filetto il «capitano nero», Matthias Defregger, fece fucilare trenta ragazzi, tra cui due figli adolescenti di una povera donna che gridava: «Lasciatemene almeno uno...». Defregger, dopo la guerra diventò vescovo di Monaco, e non pagò mai per quel crimine. Bruno Vespa. Sette.

Le bionde mi piacciono più delle brune. Ma, se ci stanno, mi piacciono anche le grigie. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 2/8/2014