Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 02 Sabato calendario

SE NON RICONTRATTIAMO SUBITO CON L’EUROPA IL FISCAL COMPACT, E CI ACCODIAMO ALLA MERKEL, PORTEREMO L’ITALIA ALLA MISERIA

La proposta di Riccardo Ruggeri di organizzare una battaglia culturale, prima ancora che politica, per liberare l’Italia dai pessimi leader politici arroccati nel «Partito della Nazione» (Pd, Ncd, Fi), questa volta mi trova completamente d’accordo. Alcune settimane fa Ruggeri aveva proposto di fare una cosa simile su alcuni temi specifici, una Leopolda gialla di centro-destra, per distinguerla dalla Leopolda di Matteo Renzi, e solo a sentire quel nome mi era venuta l’orticaria. Ho sempre pensato che il successo della Leopolda renziana non dipendesse dai contenuti culturali e politici, invero assai deboli e confusi, ma dal grande sostegno dei giornaloni a una giovanotto che si proponeva di rottamare la nomenclatura post-comunista del Pd. Da quando quell’obiettivo è stato raggiunto, il giovin rottamatore è stato messo alla prova affidandogli il governo dell’Italia, e – nonostante il peana quotidiano di tv e giornaloni, che ne tiene alto il consenso nei sondaggi - il risultato è sotto gli occhi di tutti: promesse tante, risultati concreti zero. Esattamente come i due premier che l’hanno preceduto (Mario Monti ed Enrico Letta), Renzi porta avanti una politica che, per fare fronte alla Grande Crisi, «impoverisce la classe media, e seda le classi povere» (parole di Ruggeri). Una definizione che trovo perfetta.
E’ vero, per ora non si vede in giro un leader alternativo. Ma non per questo, se non vogliamo morire impoveriti, in un paese da Terzo mondo, ci dobbiamo rassegnare. Ben venga dunque una convention Maria Teresa, per mettere insieme almeno i materiali culturali alternativi al pensiero dominante. Chiunque sia d’accordo, è una mia proposta, scriva una email a Ruggeri (e a ItaliaOggi se il direttore Pierluigi Magnaschi è d’accordo) per dirlo alto e forte, allegando idee e proposte su ciò che dovrebbe fare un nuovo governo che abbia come obiettivi non l’impoverimento della classe media, ma la sua difesa; non la tutela del ceto burocratico parassitario, ma di chi produce ricchezza; non la chiacchiera e le promesse via tweet, ma l’execution manageriale di un programma chiaro e concreto; in estrema sintesi, non la sottomissione sistematica all’Europa della Merkel, ma la difesa orgogliosa della sovranità nazionale. Ne potrebbe venire fuori un ebook di grande utilità per tutti, un punto di partenza piccolo ma solido. L’alternativa sarebbe evidente: una vittoria della rassegnazione al peggio.
Per quanto mi riguarda, inizio da subito. Maria Teresa è un nome che mi piace: mi ricorda l’imperatrice d’Austria che, su consiglio di alcuni scienziati del suo tempo, introdusse l’obbligo per i medici e le infermiere di lavare con cura le mani prima di assistere una partoriente. Prima di quella ordinanza imperiale, in tutti gli ospedali europei, non solo in quelli austriaci, molte donne morivano di setticemia dopo il parto, poiché infettate proprio dai medici e dalle infermiere che le avevano assistite, spesso dopo avere curato le ferite infette di un soldato o di un moribondo. Grazie a Maria Teresa, al suo ordine di avere più cura dell’igiene, migliaia di donne si sono salvate, e da allora le partorienti non hanno più dovuto recarsi in ospedale con l’incubo della setticemia. Ecco perché, caro Riccardo, trovo che Maria Teresa sia un nome azzeccato: riassume buon governo, execution su basi scientifiche e di buon senso, benessere sociale.
Quanto al da farsi, in agosto starò in vacanza e ne approfitterò per raccogliere più materiali che potrò. Sono convinto che la prima cosa che l’Italia deve fare è di rinegoziare la sua presenza in Europa. Per questo faccio mie le parole di Giulio Sapelli, uno studioso serio, da lui pronunciate nel corso di una audizione di fronte alla Commissione bilancio della Camera e riportate da Filippo Astone in un libro ricco di spunti (La riscossa; Magenes): «Trovo incomprensibile che il governo non negozi con l’Europa una ridefinizione del trattato (il Fiscal compact; ndr). Se facciamo tutto per essere ancelle della Germania, portiamo l’Italia alla miseria e al disastro. Se continuiamo così, non c’è via di scampo, anche perché il ciclo della Germania sta terminando, il commercio mondiale sta cadendo, la Germania vive sull’esportazione ed è in una morsa terribile, perché con questa politica deflattiva ha fatto il deserto intorno a sé, ha reso i paesi poveri, e quindi potrà esportare molto meno in Europa. Dobbiamo rinegoziare e costringere i tedeschi a cambiare. Nel dicembre 2011 Helmuth Schmidt ha fatto un grande discorso, dicendo alla Merkel che stava sbagliando tutto, perché si era messa davanti all’Europa, non dietro all’Europa. E ogni volta che la Germania si pone davanti all’Europa, provoca disastri, e alimenta l’odio per i tedeschi. Lo ha detto un uomo di 91 anni che ha combattuto il nazismo, quindi sa bene di cosa parla, ed è uno degli ultimi grandi politici al mondo. Esiste quindi una soluzione politica: bisogna rinegoziare l’intero trattato, altrimenti la crescita non ci sarà”.
Come primo contributo, direi che basta. Rinegoziare il Fiscal compact, cancellandolo dalla Costituzione, è un passo che anch’io, come Sapelli, giudico preliminare a tutto il resto. Il Partito della Nazione (Pd, Ncd, Fi) non ci pensa neppure: ieri notte al Senato, durante la discussione sulla riforma costituzionale, appena l’ex ministro Giulio Tremonti ha sfiorato il tema del Fiscal compact, l’ex premier Mario Monti l’ha bloccato, sconsigliando di «affrontare una materia tanto importante e delicata a un’ora così tarda». E tutto è finito lì. La convention Maria Teresa, invece, dovrebbe iniziare la rivoluzione culturale, prima ancora che politica, proprio dove Monti ha messo lo stop.
Tino Oldani, ItaliaOggi 2/8/2014