Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 02 Sabato calendario

PER IL QUIRINALE SOGLIA PIÙ ALTA O ITALICUM CORRETTO

Tra i punti della riforma costituzionale in discussione al Senato ce n’è uno particolarmente delicato. È quello relativo al rapporto tra nuova legge elettorale e modalità di elezione del presidente della repubblica. L’obiettivo dell’Italicum è quello di fare in modo che la sera delle elezioni ci sia un vincitore grazie ad un insieme di regole che danno al partito o alla coalizione con un voto più degli altri la maggioranza assoluta dei seggi. Quindi è la minoranza più votata ad eleggere il presidente del consiglio. Questo va bene. È quello di cui l’Italia ha bisogno in questa fase storica. Quello che non va bene è che la stessa minoranza elegga anche il capo dello stato. Il problema non è che, come spesso si dice, il capo dello Stato debba essere espressione di una maggioranza più ampia di quella su cui si regge il governo. La nostra Costituzione non lo prevede. Come è noto, in base alle attuali modalità di elezione del presidente della Repubblica dopo il terzo scrutinio basta la maggioranza assoluta dei voti per essere eletto. Non occorre una maggioranza qualificata. In base alla Costituzione vigente la maggioranza di governo può imporre la sua scelta senza dover fare i conti con l’opposizione. Certo, è meglio se il capo dello Stato viene eletto con maggioranze molto ampie, ma non è necessario che questo avvenga.
Il problema non sta quindi nel principio di maggioranza di per sé, ma nelle modalità di formazione della maggioranza di governo. Questa maggioranza corrisponde più o meno alla maggioranza dei voti? Se è così diventa difficile contestare la legittimità della regola di maggioranza per eleggere il capo dello Stato. Ma se non è così? Se la maggioranza di governo non rappresenta la maggioranza degli elettori (intesi come voti validi) ma solo la minoranza più grande, si pone un problema, visto il ruolo delicato che la nostra Costituzione assegna al capo dello Stato. Ai tempi della Prima Repubblica questo non poteva succedere. Allora deputati e senatori venivano eletti con un sistema di voto sostanzialmente proporzionale. I governi si fondavano su maggioranza parlamentari che corrispondevano più o meno a maggioranze popolari. In sintesi, tra Costituzione e legge elettorale esisteva una congruenza che garantiva un equilibrio sistemico.
Questo equilibrio è stato profondamente alterato con la riforma elettorale del 1993, la legge Mattarella. È allora, non oggi, che il sistema istituzionale è stato squilibrato. L’introduzione di un sistema elettorale disproporzionale fondato prevalentemente su collegi uninominali maggioritari ha introdotto il principio – giusto per chi scrive – che il governo possa essere espressione di una minoranza elettorale. Grazie alle nuove regole era possibile che il partito o la coalizione con più voti potesse ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, indipendentemente dalla percentuale di voti ottenuta. Allora, e non solo oggi, si sarebbe dovuto affrontare il problema della elezione del capo dello stato alla luce delle nuove regole elettorali maggioritarie. E invece niente.
Ma indipendentemente dai silenzi passati, il problema esiste. Con l’Italicum un partito o una coalizione che ottiene il 37% dei voti può eleggere sia il presidente del consiglio che il capo dello stato. Infatti chi arriva a questa percentuale ottiene un premio del 15% che garantisce il 52% dei seggi alla Camera. Attualmente questa maggioranza basta allo scopo. E questo non va bene. Ma come si può risolvere il problema? Certamente non con un ritorno al proporzionalismo del passato che ci condannerebbe alla frammentazione e alla instabilità. Questa è la soluzione dei nostalgici di un mondo che non esiste più.
La soluzione proposta nell’attuale versione del disegno di legge di riforma della Costituzione prevede che l’elezione del capo dello Stato possa avvenire a maggioranza assoluta non dopo il terzo scrutinio, come è ora, ma dopo l’ottavo. È un po’ poco. Diciamolo con franchezza. Alla fine sarebbe sempre la minoranza a dettar legge. Un’altra soluzione è quella di alzare la soglia dalla maggioranza assoluta a una maggioranza qualificata. Se, per esempio, il presidente della Repubblica dovesse essere eletto con il 60% dei voti si sottrarrebbe alla maggioranza di governo, con il suo 52%, il potere di decidere da sola. Il rischio di questa soluzione però è la paralisi. In un paese normale non sarebbe così. Da noi è un rischio di cui occorre tener conto.
Un’altra soluzione è quella di rivedere l’impianto della legge elettorale. Se per ottenere il premio di maggioranza invece del 37% dei voti ce ne volesse il 40% sarebbe già un passo avanti. Una soglia più alta vuol dire che la minoranza vincente è meno minoranza, ma soprattutto che il ballottaggio diventa più probabile. Infatti se nessuno arriva alla soglia fissata i due contendenti più votati al primo turno si sfidano in un secondo turno. Necessariamente il vincente avrebbe il 50% dei voti più uno, quindi la maggioranza dei voti popolari. In questa direzione la soluzione più drastica, e più legittimante ma politicamente complicata, sarebbe quella di alzare al 50% la soglia per vincere al primo turno. In questo modo il problema della congruenza tra sistema elettorale e modalità di elezione del presidente della Repubblica verrebbe risolto alla radice.
Questa soluzione però vorrebbe dire la certezza di andare al ballottaggio. È difficile infatti che un partito o una coalizione possa ottenere al primo turno il 50% dei voti. Per chi scrive – che è da sempre un sostenitore del doppio turno – non è un problema. Per altri sicuramente lo è. Con questa modifica l’Italicum assomiglierebbe ancora di più al modello con cui si eleggono i sindaci, e per di più si taciterebbero una volta per tutte coloro che vedono in questa riforma costituzionale il pericolo di una svolta autoritaria. Ma questa ultima affermazione forse pecca di eccessivo ottimismo.
Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 2/8/2014