Antonello Caporale, il Fatto Quotidiano 2/8/2014, 2 agosto 2014
AMORI E GUERRA IL NOSTRO ‘900 DALLE LENZUOLA ALLE E-MAIL
Nel Paese dei senza memoria, dove ogni cosa accaduta sembra scomparsa e mai esistita c’è un luogo in cui ciascuno, ricco o povero, colto oppure no, conferisce un pezzo dei suoi ricordi, li destina all’Italia, agli italiani perché lo conservino. E in questo luogo c’è una donna che accoglie i diari, li legge, li spenna, li cataloga, e classificandoli li assorbe, se ne impadronisce fino a farli divenire suoi.
Natalia Cangi ha 54 anni ed è direttrice dell’Archivio dei diari, il pozzo che riceve dal 1981 le lacrime d’amore e d’odio, la disperazione e la fiducia delle migliaia di connazionali che hanno scritto la loro storia, consegnata a un diario.
È per merito di Saverio Tutino, grande giornalista, inviato dell’Unità, che questo tesoro autobiografico esiste. Ricorda Natalia: “Ebbe l’idea di raccogliere la memoria autobiografica degli italiani e tentò per anni di trovare un luogo che ospitasse l’Archivio. Provò con San Sepolcro, ma niente, poi Anghiari e non fu un successo. Infine approdò qui a Pieve Santo Stefano, nelle colline dietro ad Arezzo. Gli diedero due stanze, poi un palazzetto. Ora lui non c’è più, ma settemila diari sono qui. Settemila anime, settemila cuori che hanno illustrato l’Italia del novecento e continuano a farlo. Io sono di Pieve e ho messo piede all’Archivio 21 anni fa. Da allora non me ne sono più andata. Ho lasciato il mio lavoro all’Università e sono qui a leggere, emozionarmi di fronte a questi scritti. Ricordi antichi, memorie di oggi, luoghi sepolti dalla storia, superati dagli anni che corrono veloci oppure vivi, contemporanei a noi e a questo nostro tempo”.
LE MILLE STAGIONI DEL PAESE
L’Archivio ha messo a disposizione del Fatto Quotidiano il suo tesoro. E da domenica prossima il giornale racconterà la storia della Repubblica, dal dopoguerra ai nostri giorni, attraverso il diario degli italiani senza gradi, dei cittadini comuni. Per dieci puntate pubblicheremo le memorie di chi ha vissuto le tappe essenziali della nostra storia contemporanea: il referendum tra Monarchia e Repubblica, l’abbandono delle campagne, le prime lotte nelle fabbriche, la grande emigrazione. E poi gli anni del boom economico, l’arrivo della tv in casa, quelli della contestazione giovanile. Le lotte vittoriose per i diritti civili, la stagione del terrorismo e quella della mafia. “Abbiamo accolto con piacere il vostro invito – dice Natalia – del resto l’archivio collabora con i maggiori editori italiani e alcuni dei suoi diari più belli sono stati pubblicati da Mondadori come dal Mulino, da Terre di Mezzo e da altre importanti case editrici”. È un tesoro a cui registi e scrittori hanno preso pezzi, documenti che sono serviti anche a serie televisive.
Natalia è la nostra signora dei diari. “Credo di averne letti qualche migliaio. Alcuni sono davvero bellissimi”. Hanno scritto i fanti della grande guerra, nel loro italiano stentato, e i disperati in cerca di una nuova terra, gli emigranti sulle navi a vapore a scoprire l’America. “Sono scritture elementari e scritture colte. Durante i grandi fatti del novecento soprattutto le classi meno abbienti, quei giovani che si trovavano al fronte o quei padri di famiglia che lasciavano il paese per una terra lontana, sentivano il bisogno di scrivere, di rendere la loro testimonianza. Era anche l’unico modo per conservare un legame con le proprie mogli, la famiglia, i figli e i genitori”.
Miracolosa, nella sua bellezza, la prova di scrittura che ha dato Clelia Marchi, la più illustre diarista. Il suo lenzuolo del matrimonio, ornato di parole, consumato dall’inchiostro, riempito in ogni centimetro, fu il suo diario. Diario di famiglia, di una donna emiliana che volle raccontare con sincerità, senza una sola bugia (Gnanca na busìa infatti è il titolo che la Fondazione Mondadori offrì al pubblico quando lo editò) la sua vita di provincia, gli anni della povertà, quelli della ragione, della speranza e finalmente della vecchiaia serena. Un diario minimo di gesta quotidiane, un italiano approssimato ma appassionante, ricco di una fibra viva, dell’amore per il racconto, della voglia di lasciare un segno della propria esistenza. Clelia non aveva fogli, non conosceva i quaderni. Usò il lenzuolo, dopo la scomparsa del marito, per raccontare la sua vita.
IERI E OGGI, CAMBIA SOLO LO STILE
Sono bellissime e a decine i diari che sono arrivati quassù e continuano a giungere. Ieri per posta oggi per mail. “È mutato il modo di scrivere, non c’è naturalmente più la penna e l’inchiostro, ma resta la voglia, il piacere della narrazione, il gusto di consegnare ad altri la propria vita anche nella sua dimensione più intima. Oggi l’età dei diaristi è un po’ più avanzata. Quando si è giovani, diciamo fino ai trent’anni, si scelgono i social network, la condivisione è pubblica e assume quelle forme. Poi si lascia facebook e si decide di proseguire autonomamente. C’è tanta gente che scrive i diari. E a noi giungono in tutti i modi possibili: la nipote che ritrova in cantina lo scritto della nonna, la diarista che manda una copia, chi invece ci consegna il suo lavoro con l’obbligo di non pubblicarlo prima di una data. Oramai abbiamo occhio e capiamo subito chi scrive per sé e chi invece bluffa”.
Al lavoro ogni anno una commissione di lettura che pazientemente legge e rilegge, poi seleziona e infine decide coloro che hanno meritato di partecipare al concorso che voterà il miglior diario. Un premio annuale che si tiene a settembre a Pieve Santo Stefano. E si rinnova ogni anno, con la memoria che avanza, si allarga e custodisce il nostro tempo.
Antonello Caporale, il Fatto Quotidiano 2/8/2014