Francesco Palmas, Avvenire 3/8/2014, 3 agosto 2014
«SOTTRATTI DAGLI HACKER CINESI I SEGRETI DEL SISTEMA IRON DROME»
E’ quasi invulnerabile ai missili e ai razzi palestinesi. Non agli hacker. Chi realizza il sistema israeliano di difesa Iron Dome ha peccato della più grossa ingenuità: la sicurezza dei dati informatici. Lo rivela un rapporto della società statunitense Cyber Esi, divulgato pochi giorni fa: per dieci mesi, le reti cibernetiche di Elisra, Iai e Rafael, tre aziende in prima linea nella costruzione dell’Iron Dome, sarebbero state ripetutamente violate. Con un metodo semplicissimo: email contraffatte per carpire codici d’accesso e chiavi criptate. La sola Iai avrebbe perso 762 megabyte di dati. In soldoni 700 file altamente riservati, finiti in pasto ai pirati dagli occhi a mandorla. L’azienda ha minimizzato: «È un fatto vecchio e i servizi competenti sono stati messi subito in guardia». Lecito dubitarne. Se Rafael ha smentito l’accaduto, Elisra ha preferito non commentare. Joseph Drissel, direttore di Cyber Esi, ha le idee molto chiare: il modus operandi delle intrusioni informatiche ha un marchio ben preciso. Dietro il furto ci sarebbe l’Unità 61398, l’ufficio d’intelligence tecnica del 3° dipartimento dell’esercito cinese. Duemila hacker segretamente reclutati da Pechino. Un po’ l’equivalente della National Security Agency americana. Uzi Rubin, oggi direttore di Rubicon, è stato a lungo responsabile dei programmi antimissile della Difesa israeliana. Sentito da Reuters, non si è mostrato affatto sorpreso: «I cinesi spiano costantemente le aziende belliche hi-tech occidentali. Se i fatti sono veri, vedremo presto un Iron Dome nell’Impero di Mezzo».