varie, 3 agosto 2014
VALLE OCCUPATO PER IL FOGLIO DEI FOGLI 4 AGOSTO 2014
Cinque, quattro, tre, due, uno, zero… Boom! Evvai con gli ordigni assordanti! Insomma, l’occupa-zione del Valle ha i secondi contati! Sì, ho intenzione di entrare nei corpi speciali di polizia, esatto, proprio quelli che si calano con le corde dell’elicottero per entrare nell’obiettivo sensibile e immediatamente – bang! Bang! e ancora bang! – liberare gli ostaggi. Pum! Pum! Fermi tutti! E così un istante dopo la situazione torna a essere sotto controllo, e vedi tornare il sorriso della libertà riconquistata sul viso dei prigionieri scampati alla cattività» (Fulvio Abbate) [1].
Dopo quasi milleduecento giorni di occupazione, domenica il Teatro Valle, il più antico della Capitale, dovrebbe tornare nelle mani Comune di Roma.
«“Com’è triste la prudenza!”, dice il grande striscione srotolato lungo i palchi. Prudenti non lo sono mai stati, gli occupanti del Valle: né il 14 giugno 2011, quando hanno avviato un nuovo progetto “governato dalla comunità di artisti e cittadini, che scardini il meccanismo di ingerenza partitica”, né mercoledì sera quando hanno deciso di opporre “una resistenza artistica pacifica” alla decisione del Comune di Roma, avvallata dal ministro Dario Franceschini, di porre fine “all’illegalità”» (Sandro Cappelletto) [2].
Dopo un incontro con l’assessore alla Cultura Giovanna Marinelli e il presidente del Teatro di Roma Marino Sinibaldi, gli occupanti si sono detti «disponibili a uscire» entra il 10 agosto portando avanti un «modello di teatro partecipato». Tommaso Rodano: «Questo quanto prospettato: la gestione del Valle rimarrà pubblica – in seno appunto al Teatro di Roma – nel riconoscimento della gestione di questi tre anni e con il coinvolgimento diretto della Fondazione Teatro Valle Bene Comune, nata per trovare una forma al percorso iniziato con l’occupazione. Soprattutto, verrebbe sventata ogni ipotesi di privatizzazione, una delle ragioni più urgenti per cui il Valle fu occupato nel 2011» [3].
Si chiude così un triennio all’insegna delle polemiche e dell’illegalità. Cappelletto: «Vivere nell’illegalità significa non versare agli artisti i contributi Enpals, non riconoscere agli autori i diritti Siae, non pagare le utenze (le paga il Comune) e occupare un luogo pubblico, creando concorrenza sleale con gli altri luoghi di spettacolo. Non emettere biglietti, ma affidarsi alle offerte volontarie del pubblico. L’assessore alla cultura, Giovanna Marinelli e il presidente del Teatro di Roma, Marino Sinibaldi, hanno proposto la creazione di «un modello di teatro partecipato, aprendo un percorso comune per proseguire tutte le attività del Valle» [2].
Gli occupanti hanno creato la Fondazione Teatro Valle Bene Comune il 18 settembre 2013, «con l’adesione di più di cinquemila soci e le donazioni di opere d’arte da parte di diversi artisti». Poi, il 12 febbraio 2014, la prefettura di Roma ha bocciato lo statuto della Fondazione per «carenza dei presupposti richiesti dalla legge» (agibilità, sede giuridica, norme di sicurezza) [4].
Tra i sostenitori del Teatro Valle occupato: Stefano Rodotà, Alessandro Baricco, Andrea Camilleri, Moni Ovadia, Ascanio Celestini, Jovanotti, Lidia Ravera, Toni Servillo eccetera.
Secondo Gabriele Lavia, attore, regista, ex direttore del Teatro di Roma, gli occupanti del Valle «andavano presi a sculacciate. Ma nessuno ha avuto il coraggio di farlo. Quell’occupazione doveva durare dieci giorni, anche meno. È durata tre anni. Colpa dei sindaci che hanno avuto paura di sentirsi dire che erano troppo poco di sinistra. Compreso quello di destra» [5].
Carlo Tecce: «Il balletto sgombero sì o sgombero no ha attraversato tre anni, elogi, critiche, tensioni: all’improvviso, il tempo sembra finito. E in questo tempo, due settimane fa, la Corte dei Conti ha aperto un fascicolo che potrebbe rilevare un danno erariale consumato in questo triennio (che, di certo, ha abbattuto sprechi enormi di gestione pubblica)» [6].
Qualche cifra: cinque milioni di mancati introiti (biglietti per gli spettacoli, compensi dalle compagnie teatrali, affitto per eventi vari); almeno centomila euro all’anno non versati alla Siae per i diritti d’autore, a cui vanno aggiunti i mancati pagamenti dei contributi previdenziali, assistenziali e assicurativi sugli spettacoli andati in scena negli oltre mille giorni di occupazione; oltre 80 mila euro di bollette che ha dovuto pagare il Comune. E ancora si deve contare il milione e seicentomila euro all’anno di mancati pagamenti per il controllo della sicurezza dell’edificio da parte dei vigili del fuoco [7].
D’altra parte, in questi tre anni il Valle – rivendicano gli occupanti – è riuscito a garantire un cartellone all’altezza, ad aprire corsi e laboratori, a collaborare con artisti e collettivi italiani e internazionali, a tenere vivo un punto di riferimento per la cultura della città [3].
Inaugurato nel 1727 e voluto dal nobile Camillo Capranica, già proprietario dell’omonimo teatro, il Valle ha ospitato prime memorabili, dalla Cenerentola di Rossini ai Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello [2].
L’edificio appartiene ancora in parte alla famiglia di Aldo Pezzana Capranica Del Grillo, presidente onorario del Consiglio di Stato. La famiglia è proprietaria della porzione della struttura che va dall’ingresso in via del Teatro Valle, con il foyer, il botteghino, il bar, del primo palco numero 14 (palco storico, in cui si davano appuntamento, tra gli altri, Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio), di alcuni spazi del sottopalco, dell’appartamento sopra il teatro in cui ha sempre abitato il custode-portiere [7].
Il marchese Capranica Del Grillo riceveva un affitto per questi locali, che non ha più percepito dal settembre 2011. Gli arretrati, ammontano a circa 130 mila euro. Sono stati citati in giudizio il Comune e il ministero, subentrati appunto all’Eti nella gestione del Valle e il giudice ha sentenziato che è responsabile il ministero, ma ancora fino a poco tempo fa, il marchese non aveva ricevuto nulla [7].
Il ministro della Cultura Dario Franceschini la vede così: «Ci sono due fasi del Teatro Valle. La prima più comprensibile la seconda no. Quella più comprensibile è l’occupazione iniziale. Quella portata avanti per far sì che il Teatro Valle restasse un teatro. Era il maggio del 2011. Poco dopo il Teatro viene affidato al comune di Roma, arrivano tutte le garanzie del caso che il teatro resterà un teatro e a quel punto l’occupazione diventa priva di significato. Diventa inaccettabile. Così come è inaccettabile che una situazione di illegalità evidente venga giustificata con la bandiere del Bene comune» [8].
Il teatro come «bene comune» è uno dei mantra degli occupanti: «Comune, nel senso che è di chi vi si è installato giorno e notte. Di chi, come ha osservato Gino Paoli a capo della Siae, fa concorrenza sleale agli altri teatri, perché non paga i diritti e i tributi che tutti gli altri, meno furbi degli okkupanti, sono tenuti a pagare. Di chi ha un concetto così alto del “comune” da far saldare appunto al Comune (al resto della cittadinanza) le bollette della luce e degli altri servizi» (Pierluigi Battista) [9].
Secondo Christian Raimo invece «quella del Valle è un’occupazione anomala. Diversa da quella degli anni ’70 o ’90 o anche ’10. Non si è occupato un luogo dismesso e lo si è riqualificato. Si è scelto un luogo storico e lo si è si è tutelato. Si è scelto, per certi versi, di sostituire una legalità formale (non rispettata) con una iperlegalità (la responsabilità nei confronti del bene). Chi dice che il Valle ha buttato, rubato, sprecato soldi, mettendo in mezzo la questione delle bollette, dice il falso. Il Valle, a costi ridottissimi, ha prodotto un indotto incredibile. Soltanto per la preservazione del luogo, quanti soldi si sono risparmiati? Ve lo ricordate Alemanno che pagò 400.000 euro l’anno solo di guardiani per il dismesso Teatro del Lido?» [10].
Nel 2011 Goffredo Fofi fu parecchio duro: «Tra gli occupanti del teatro Valle a Roma vi confluisce e vi si confonde di tutto, ma soprattutto sembra dominarvi la paura del futuro e la vecchia abitudine a chiedere la protezione o l’elemosina dello Stato. Il fai da te non vi ha molto corso, dopo tanti anni di disastrosa confusione morale collettiva e di crisi o morte della capacità di lettura e di critica dell’esistente. Ma la crisi non è un’invenzione, la crisi c’è ed è mondiale, colpisce tutti e soprattutto chi ha dimenticato l’arte di arrangiarsi e di “creare” in anni trascorsi in paciosa e soddisfatta servitù o, i giovani, crescendo tra corruzioni e menzogne che hanno considerato come l’unica forma del possibile» [11].
Note: [1] Fulvio Abbate, Il Garantista 18/7; [2] Sandro Cappelletto, La Stampa 31/7; [3] Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 30/7; [4] Viola Giannoli, la Repubblica 13/2; [5] Mauro Favale, la Repubblica 1/8; [6] Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 31/7; [7] Caterina Maniaci, Libero 1/8; [8] Claudio Cerasa, Il Foglio 30/07; [9] Pierluigi Battista, Corriere della Sera 10/2; [10] Christian Raimo, Il Post 29/7; [11] Goffredo Fofi, l’Unità 3/7/2011.