Andrea Monti e Pier Bergonzi, La Gazzetta dello Sport 2/8/2014, 2 agosto 2014
ORA CHIEDIAMO VERITA’ E GIUSTIZIA
E adesso, la verità. Per noi, e per tanti tifosi con una bandana sul cuore, è una questione di giustizia processuale e storica. Per mamma Tonina è una ragione di vita. Verità e giustizia: lo urlò con lacrime disperate quel giorno di San Valentino del 2004. Ha continuato a farlo a ciglio asciutto, con ostinata severità, in ogni occasione negli ultimi dieci anni. Da ieri il caso è ufficialmente riaperto. E noi tutti, con lei, vogliamo sapere che cosa è successo davvero in quell’anonimo teatro di solitudine che fu la stanza D5 del Residence Le Rose di Rimini. Vogliamo sapere com’è morto Marco Pantani, il più carismatico, tormentato e amato tra i campioni del nostro ciclismo, e non solo, dell’ultimo ventennio.
Attenzione, la vicenda che vi raccontiamo non vuole essere un giudizio postumo. Non riguarda l’atleta, le sue formidabili ascese o il precipizio sportivo in cui cadde per un livello di ematocrito non consentito dall’Uci. Riguarda un uomo fuori dalla norma e dalle convenzioni, la sua disperazione cosmica ma soprattutto le oscure circostanze della sua morte. Le incongruenze dell’inchiesta erano note da tempo. Ci fu la corsa a confermare il decesso di Marco per «overdose di cocaina». Il processo ai pusher e ai capi dell’organizzazione criminale, gente che ha seminato tempesta in tutta la riviera romagnola, ha però acceso nuovi fari là dove gli inquirenti avevano troppo frettolosamente spento la luce.
Grazie alla coraggiosa battaglia di mamma Tonina, e all’impegno certosino di chi ha saputo raccogliere il suo appello, siamo ad una svolta decisiva. L’avvocato Antonio De Rensis, lo stesso che ha difeso Antonio Conte nello scandalo scommesse, si è messo a disposizione della famiglia Pantani e per nove mesi ha lavorato sui buchi neri lasciati dagli inquirenti dell’epoca sino a definire un esposto che, appena depositato, ha portato alla riapertura dell’inchiesta.
Stavolta non sono ammessi errori e omissioni. Il caso è stato affidato a una giovane pm, Elisa Milocco, 33 anni, che nel 2004 era ancora una studentessa. Forse è stata tifosa, come tutti noi, di Marco Pantani, l’uomo che sussurrava alle montagne. Ma non ha alcun coinvolgimento nei fatti e nelle polemiche. Una scelta opportuna. Può ripartire a mente sgombra dalla quantità di clamorosi dettagli contenuti nell’esposto.
In queste pagine ne trovate la sintesi fatta da Francesco Ceniti, il giornalista della Gazzetta che recentemente ha scritto un libro con mamma Tonina. Ci racconta come la tesi dell’omicidio sia molto più di un’ipotesi. Dall’ora della morte - probabilmente avvenuta prima delle 11 del mattino - all’intervento delle forze dell’ordine, attorno alle 20.30, in quella stanza può essere successo di tutto. Nella ricostruzione dei fatti ci sono così tante incongruenze da giustificare l’urgenza di una nuova investigazione da una prospettiva completamente diversa.
Per anni, la Gazzetta dello Sport ha sottolineato la necessità di riaprire l’inchiesta. Intendiamoci, non siamo sicuri che il Pirata sia stato ucciso. Ma è una pista che avrebbe dovuto essere esaminata con attenzione e che ora bisogna percorrere. Nel 2004, chi ha conosciuto bene Pantani era disperato per la sua scomparsa e schiacciato dal senso di colpa per aver assistito impotente alla sua rovina. Dunque, l’ipotesi del «suicidio involontario» da overdose di cocaina era la via catartica per dare alla tragedia una spiegazione razionale e plausibile. La pm Milocco, che non ha lo stesso coinvolgimento emotivo, può permettersi di guardare in faccia ai fatti e ricostruirli con gli elementi disponibili.
A lei chiediamo, una volta per tutte, di andare fino in fondo. La riapertura dell’inchiesta può farci anche molto male ma non c’è altra via. Noi vogliamo sapere che cosa è successo. Come mamma Tonina, a nome di tutti quelli che ancora si emozionano vedendo le immagini di Pantani che scatta sul Galibier, chiediamo la nuda verità.