Giuseppe Scaraffia, Sette 1/8/2014, 1 agosto 2014
SESSO, AMORE E TURBAMENTI DELLA GIOVANE VIRGINIA
La notte si sentivano strani rumori venire dalla cantina o dal solaio. I due giovani sposi avevano l’impressione di sentire due persone traversare le stanze sospirando. Certo dovevano essere il vento o i topi. Da tempo, però, si diceva che quella casa fosse frequentata dai fantasmi e che ci fosse nascosto un tesoro.
Virginia e Leonard Woolf avevano passato lì la loro prima notte dopo le nozze prima di partire per la luna di miele. Una notte sicuramente più memorabile per quel che non era successo. Per lui non era stata una sorpresa. Già prima lei gli aveva confessato: «Non provo la minima attrazione sessuale per te, e le tue costanti attenzioni mi confondono». Ma Leonard non intendeva rinunciare alla “più dea delle dee”. Probabilmente sapeva che la moglie non era riuscita a superare lo choc delle molestie infantili subite da un fratellastro. Più attratta dalle donne, Virginia si era confidata con un’amica: «Perché credi che la gente parli tanto del matrimonio e della copulazione? Perché alcuni dei nostri amici cambiano dopo avere perso la verginità?».
Fino al 1913 Virginia aveva mantenuto la speranza di avere dei figli malgrado la ripugnanza che le ispiravano le pratiche sessuali. Lui invece aveva capito che la maternità avrebbe potuto essere “molto pericolosa” per l’equilibrio della giovane donna. Tuttavia né la non facile situazione economica, né l’assenza di rapporti fisici avevano minato o indebolito quella fervida unione di menti.
La scrittrice sapeva che solo sposandosi avrebbe avuto diritto a una vera autonomia nella società del tempo e Leonard, maturato da una riuscita esperienza amministrativa coloniale a Ceylon, le sembrava più solido e interessante degli amici del gruppo di Bloomsbury. Dal canto suo Vanessa, la disinibita sorella pittrice, si sentiva sollevata dal peso di una sorella che, come tutti sapevano, era «veramente pazza».
Era stata lei ad affittare a Virginia Asheham House, una costruzione «un po’ chiusa e triste», senza acqua corrente, gas o elettricità, nella campagna del Sussex. Ma agli Woolf piaceva molto e aveva «qualcosa che sembra un giardino 2 narcisi e mezza dozzina di crochi. È di gran lunga il posto più bello del mondo».
A tempo pieno. Chi andava a trovarla la scopriva dedita ai tipici piaceri della campagna. Oltre alle passeggiate e al giardinaggio, Virginia amava l’equitazione, ma un giorno il cavallo imbizzarrito l’aveva sbalzata a terra. Un avvenimento in quella vita tranquilla, come l’uccisione di un serpente lungo un metro che si era infilato tra le aiuole. Per il resto Virginia si metteva a letto alle nove in punto, confortata dal bicchierone di latte portato da Leonard, per poi svegliarsi otto ore dopo.
In quell’anno, il 1913, era uscito il primo libro del marito, Il villaggio nella giungla, ma Leonard stava rapidamente capendo che badare a Virginia era un’occupazione a tempo pieno. Lei aveva mandato all’editore, un suo fratellastro, il suo primo romanzo, La crociera, dopo averlo elaborato a lungo.
Un viaggio col marito, impegnato in una serie di iniziative politiche del movimento socialista fabiano, l’aveva annoiata e irritata. Per gli estranei non era facile accorgersi dell’incipiente crisi della donna. Prima si era angosciata all’dea che il romanzo venisse rifiutato, ma, quando, dopo una lunga attesa, era stato accettato, la situazione della scrittrice era paradossalmente peggiorata. In giugno l’esordiente stava ancora rivedendo le bozze, un’esperienza traumatizzante per il suo spirito ipercritico. Sicura che l’impresa sarebbe stata salutata dal sarcasmo generale, Virginia si sentiva «prossima al precipizio». Una previsione che a poco a poco le aveva tolto il sonno e l’appetito, scatenando la mania di persecuzione. Le notti cariche di tensione e di disperazione producevano folgoranti emicranie, cementate dalla depressione.
Quando stava un po’ meglio, Virginia era una meravigliosa conversatrice. Prima di prendere la parola, si chinava in avanti e, dopo un lieve colpo di tosse, iniziava a parlare. E man mano che procedeva «la sua voce si incrinava su una nota più alta. In quell’incrinatura si avvertiva tutto il suo umorismo e il suo incanto per la vita». Poi ricadeva di nuovo nel gorgo. Le brevi scappate a Londra si trasformavano per lei in uno sforzo insostenibile. Sopportava pazientemente le visite dei medici, ma un ricovero in clinica dal 25 luglio al 15 agosto non aveva risolto la situazione. Di lì scriveva al marito usando i loro soprannomi, lui Mangusta, lei Mandrillo. «Qui tutto è così irreale». Si accorgeva di quanto fosse provato dalla sua follia e cercava di rassicurarlo e rassicurarsi. «Penso a te e alle cose che abbiamo avuto insieme. In ogni caso mi hai dato quel che ho di meglio nella vita».
Una coppia di fantasmi. Una notte, dopo una visita di Leonard, si era vestita di tutto punto per andare da lui. Era tornata ad Asheham assistita da una serie di infermiere e da un’amica. Non dormiva e alternava aggressività verso Leonard che l’aveva allontanata a brevi schiarite. Nelle sequenze di allucinazione il suo corpo diventava una disgustosa entità avida di cibo che bisognava eliminare col digiuno. Per indurla a mangiare Leonard doveva imboccarla lentamente trasformando i pasti in una snervante cerimonia.
Il 23 agosto Virginia aveva approfittato di un momento di distrazione di chi la custodiva per tentare il suicidio con il Veronal. La strapparono alla morte, ma da allora fu chiaro che non sarebbe mai veramente guarita.
Eppure in quella casa «un po’ chiusa e triste» era stata felice. Nel suo racconto La casa infestata, uscito otto anni dopo, nel 1921, una coppia di fantasmi tornano dopo secoli ad Asheham House dove hanno vissuto. Passeggiano nelle camere tenendosi per mano, facendo attenzione a non turbare la coppia di umani che sta dormendo. È allora che capiscono cos’era il tesoro della leggenda: i momenti felici trascorsi insieme tra quelle mura. «Andavano da una stanza all’altra, mano nella mano, sollevando qua, aprendo là, guardando ancora. Coppia spettrale».
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