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 2014  agosto 01 Venerdì calendario

BERLINO TENTENNA MA LO ZAR AZZANNA


Mentre leggete queste righe, cento anni fa la Grande guerra era già scoppiata. Accadde alle prime ore del 29 luglio 1914. Le cronache del tempo raccontano di un bombardamento austriaco su Belgrado effettuato dai pontoni sul Danubio. Le cannonate partono anche dalla riva presso la fortezza di Zemun. Quindi alcune imbarcazioni dalle chiglie piatte munite di batterie leggere scendono il Danubio e la Sava per colpire il centro della capitale serba nei pressi della cattedrale. L’allarme era nell’aria, già nelle ore precedenti diversi civili serbi erano sfollati verso le regioni dell’interno, lontano dal confine. Ciononostante, in città regna il panico, le strade restano deserte. Quindi alcune detonazioni più forti scuotono l’aria. Sono i genieri serbi che fanno saltare i ponti (le cariche erano già pronte) che collegano con l’Impero Asburgico. Con loro immensa soddisfazione le macerie cadono su una barca austriaca, causando la morte di buona parte dell’equipaggio. Ma l’attacco continua. La popolazione di Belgrado si riversa allora verso la stazione, riempie i vagoni di ogni treno in partenza e in mancanza di meglio si arrampica sul tetto delle carrozze. Per loro è la fine della normalità. Sono trascorse solo poche ore dai primi colpi, ma hanno già l’aspetto dei profughi, con l’indispensabile stipato in fretta e furia nei sacchi sulle spalle, nelle borse stracolme, le coperte tenute con i cordoni, i bambini per mano. Si mette in moto così uno dei meccanismi più tipici delle zone di conflitto, praticamente non c’è guerra che ne sia immune: quello della fuga dei civili con lo sradicamento di interi nuclei sociali, la trasformazione di civiltà, i trasferimenti più o meno coatti di grandi fette di popolazione. Lo svuotarsi e alternativamente il riempirsi di città e villaggi. E di conseguenza i disagi, la povertà, la fame, le malattie non curate, le epidemie di colera e tifo, la prostituzione tra le giovani profughe, le violenze sessuali diffuse.

Il pessimismo di Churchill. Per comprendere meglio questo drastico e irreversibile passaggio dalla pace alla guerra occorre fare un passo indietro. E ricordare il precipitare degli avvenimenti così come si sono dipanati dal momento della consegna del già ricordato ultimatum austriaco alle 18.00 del 23 luglio. I serbi hanno 48 ore di tempo. Ma il documento è duro, secco, esige che i serbi rinuncino almeno a parte della loro sovranità. Winston Churchill, allora giovane ministro della Marina britannica, lo definisce: «Nel suo genere, il documento più insolente che mai sia stato formulato». E in una missiva alla moglie scrive che «l’Europa è traballante, sull’orlo del baratro di una guerra totale». Non è il solo. Sono ormai tanti tra politici, militari e diplomatici europei, ad avere capito che si sta andando rapidamente verso un conflitto mondiale. Dal torpore lento si passa all’azione veloce, dal rinvio alle decisioni repentine. Alla passività delle prime tre settimane di luglio subentra adesso un’attività febbrile, da una parte spaventata, dall’altra come galvanizzata, resa euforica dalla prospettiva di mutamenti tanto drastici, epocali. A smuovere le acque sono per primi i russi. Alle 11 di mattina del 25 luglio, 7 ore prima dello scadere dell’ultimatum austriaco, lo Zar Nicola II dalla sua residenza di campagna annuncia l’avvio del “periodo preparatorio alla guerra”. Vorrebbe essere un passo a metà strada, una timida scelta di compromesso: far capire che la Russia è pronta a combattere, ma non del tutto. A vederla da Mosca, la decisione ha una sua logica. La Russia ha bisogno di tanto tempo per mobilitare il proprio gigantesco esercito di leva, i generali chiedono un mese. La sua rete ferroviaria è incompleta, i trasporti sono primitivi, i suoi soldati sono quasi tutti contadini dispersi nell’immensità delle campagne. È stato calcolato che un soldato russo debba percorrere in media quasi 800 chilometri per raggiungere la sua unità, contro i meno di 200 per un tedesco.

L’eccitazione di Vienna. Ma la mossa dello Zar non tranquillizza nessuno, al contrario, allarma tutti. I serbi consegnano la loro risposta agli austriaci due minuti prima dello scadere dei termini. Forti adesso del sostegno russo, accettano di vietare la propaganda antiaustriaca, di reprimere i movimenti sovversivi, di processare gli assassini di Francesco Ferdinando e sua moglie, ma quanto alla richiesta austriaca di inviare investigatori in Serbia si appellano al Tribunale Internazionale. È un “no” gentile, edulcorato, aperto al dialogo e al compromesso, ma pur sempre un “no” sulla richiesta più importante. Mezz’ora dopo l’ambasciatore austriaco lascia Belgrado. E a Vienna il mezzogiorno del 28 luglio Francesco Giuseppe firma la dichiarazione di guerra alla Serbia, ancora prima dell’ordine di mobilitazione generale. Questa arriva immancabile il 31 luglio, con grande eccitazione dell’esercito austriaco, il cui capo di Stato Maggiore Franz Conrad von Hotzendorf, feroce antirusso, già da tempo avocava la necessità di una guerra preventiva anche contro l’Italia da lui considerata un alleato inaffidabile. Contemporaneamente, mobilita anche Berlino. Qui il capo Stato maggiore Helmuth von Moltke giunge a scontrarsi frontalmente con il suo Kaiser, quando quest’ultimo in un ennesimo tentennamento sarebbe pronto a rinviare la mobilitazione e prendere in seria considerazione la risposta serba all’ultimatum austriaco. Soprattutto il Kaiser cerca ancora di evitare l’entrata in guerra dell’Inghilterra e della Francia. Ma ormai i militari hanno preso le redini del comando: sono pronti alla guerra e guerra sarà. Il primo agosto è il turno della Francia a mobilitare e nel pomeriggio la Germania dichiara guerra alla Russia.
10 - continua