Maurizio Chierici, il Fatto Quotidiano 1/8/2014, 1 agosto 2014
LA SINISTRA QUIETE DOPO LA TEMPESTA
BUENOS AIRES
Buenos Aires non è tranquilla. Nervi tesi ma solo un po’. Viene considerato una default parziale che il coro di giornali e Tv, imprenditori, sindacalisti e politici promettono di rimontare “difendendo la sovranità economica di un paese che non vuole ridiventare una colonia”. Anche gli avversati della signora Cristina Kirchner ammettono che la decisione della corte americana dimostra non solo incompetenza, soprattutto parzialità favorevole “agli avvoltoi della speculazione”. Dire che i ragazzi vanno “regolarmente a scuola” sembra una banalità ma i ricordi dell’altro default (quel terribile 2001) sembrano sepolti in un tempo irripetibile. L’Argentina lasciata da Menen non somiglia all’Argentina della famiglia Kirchner. Anche l’America Latina ha un’altra faccia. Tredici anni fa il Brasile liberista aspettava Lula, ultimo salvagente di un paese allo sfascio. La Colombia sconvolta dalla guerra civile per non parlare del Perù ridotto sul lastrico da Fujimori. E il Cile del dopo Pinochet rimarginava le ferite alla ricerca di una vita normale mentre Chavez doveva ancora uscire dall’ombra. Paesi che oggi volano con l’eccezione di Caracas. Corteggiati da Putin e dai cinesi: economia e politica, cocktail della seduzione.
Raccontare ai ragazzi argentini che l’entrare in classe ogni mattina diventa il termometro di una situazione complicata ma non tragica ripesca i ricordi del primo default. Banche prese d’assalto di chi voleva salvare i risparmi. Domingo Cavallo, ministro dell’economia, proibisce prelievi al di sopra di 250 pesos , 250 dollari: paradossalmente fluttuano assieme. Si immaginava fosse l’ombrello giusto per salvare le banche ed evitare il collasso. Banche prese d’assalto, cordoni di polizia, fumogeni. Feriti, qualche morto. Argentini dalle tasche vuote. Con scuole e università quasi tutte private nessuno pagava le rette, cattedre abbandonate e gli insegnanti senza stipendio si arrangiano con la fantasia degli intellettuali dall’acqua alla gola. Coi servizi pubblici paralizzati Buenos Aires sprofondava nella sporcizia.
I primi “cartoneros” escono dalle scuole squattrinate. Organizzano ronde che ripuliscono la città. A dire il vero raccolgono solo carte e vecchi giornali che s’ammucchiano nelle strade. La distinzione delle professoresse impugna bastoni con in fondo un chiodo: raccolgono le carte da vendere a chi ricicla. Subito imitate e travolte dai disperati delle villas miserias, favelas della capitale. Spingono carri, attaccano cavalli: due o trecentomila al lavoro nella Buenos Aires della disperazione. Per il momento non succede niente. I capitali che scappano non è una novità nell’Argentina (ma non solo) dei traffichini furbi. Eppure nessuna valanga come nel 2001. Il dollaro del mercato parallelo (quei botteghini sui marciapiedi) non raddoppia il cambio dalla mattina alla sera. Perde il 3 per cento ma al pomeriggio si riprende: passa da 12, 80 a 12, 38 pesos per un biglietto verde. Le lettere ai giornali rincuorano la fiducia. Carta Abierta, spazio culturale che raccoglie intellettuali dalla scioltezza lontana dai cattivi pensieri, lancia un appello che gli gnomi di Wall Street possono considerare eccentrico: “Così come il popolo si è unito spiritualmente durante il mondiale di calcio, adesso è necessario mantenere l’unità ora che è in gioco il buon nome della patria. L’Argentina unita continuerà la sua marcia”. Firmano le Madri di piazza di Maggio, autorevoli fondazioni, elenco di artisti, scrittori, qualche regista. Ma il veleno non manca. Pioggia di twitter dalle Malvine che gli inglesi chiamano Falkland, cittadini che all’unanimità hanno votato il referendum per restare con la regina di Londra sgonfiando la richiesta della sovranità di Buenos Aires. Giocano con le parole default e Argentina: “Benvenuti a Defaultina, tante grazie non ci sto”.
Maurizio Chierici, il Fatto Quotidiano 1/8/2014