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 2014  agosto 01 Venerdì calendario

QUEI BAMBINI TRASFORMATI IN BOMBA L’ULTIMA FOLLIA DEI BOKO HARAM

Accade che la guerra continua, ma che gli uomini non la sentano più come tale, bensì come pura meccanica, pura astrazione, flagello astruso e disumano cui non si accompagna più alcun sentimento, fosse pure la pietà e il furore. È un compito increscioso dover lottare e morire così, con questa stanca nausea.
È la Nigeria del nord, oggi, ora: marchiata dai Boko Haram e dal loro lucido progetto di fede assassina. Tutto il Male pare esservisi dato convegno. È l’antro della bestia, il bubbone gonfio.
È qui che hanno fermato, a Katsina, per fortuna in tempo, una bimba di dieci anni che si trascinava addosso la cintura piena di esplosivo; fermata mentre si dirigeva verso un centro commerciale o un distributore di benzina o una stazione di autobus. Per uccidere e uccidersi.
Qui, in una settimana, quattro attentati sono stati messi a segno, con decine di morti, da donne-suicide. E una tra loro era una adolescente. È un dubbio, soltanto un dubbio per ora. E se fosse questo lo scopo per cui i Boko Haram hanno razziato mesi fa centinaia di giovani studentesse: trasformarle in docili strumenti di morte collettiva? Negli ultimi mesi l’umanità è invecchiata terribilmente. Esce da questo nuovo bagno di sangue islamista, dall’Afghanistan all’Africa nera, con la testa fredda, senza più illusioni. Essa ignora o finge di ignorare ciò che bolle nella caldaia di Macbeth, dove c’era, ricordate, «il dito di un fantolino strangolato alla nascita». Rannicchiata sugli innumerevoli carnai che l’assediano, essa non riesce a capire ciò che borbottano le tre streghe di Shakespeare.
Dobbiamo stare attenti. I bambini continuano a morire. Bisogna nutrire di Speranza, subito, questa bambina kamikaze di Katsina, di tutte le innumerevoli Katsina del mondo che invoca dio e lo bestemmia. Bisogna raccontarle delle favole, e fare in modo che essa possa almeno fingere di crederle. Che cosa può sbocciare, per lei, sulle rovine di un fanatismo che la usa per uccidere? Che cosa potrà raccogliere in mezzo alle macerie e alle travi calcinate della Nigeria trapanata da mille attentati, assalti, pulizie criminali come un immenso dente cariato? Il corpo di questa bimba trasformato in bomba è lo specchio del caos che avanza. Come i bimbi di Siria che ho visto trastullarsi con i kalashnikov dei padri e guazzare, allegri, tra i video di linciaggi e massacri, ahimè veri, non lugubri videogiochi come quelli dei loro coetanei d’occidente.
Il primo colpevole fu, naturalmente, Khomeini: il sant’uomo assassino, il pio annientatore di uomini, killer in ascetico tabarro, aggrondato, minaccioso, temporalesco. Che un certo occidente sconciamente ha salutato, a lungo, come rivoluzionario e campione di democrazia. Lui trasformò i bambini in bombe umane, li fece passeggiare, bonificatori a basso costo, sui campi minati del fronte della guerra contro l’Iraq, diede loro la chiave (di plastica) per aprire un troppo precoce paradiso. Non li voleva veder sorridere i bambini, il dio di Khom. Voleva facce goyesche, facce smorte e fosche di assassini in erba, di martiri killer.
E poi gli altri, troppi altri, copiarono e copiano, distribuendo le grossolane droghe fanatiche: maschi e femmine, non importa, per uccidere l’ebreo, il russo, il musulmano differente e quindi empio, il nero, l’occidentale, tutto va bene, non si bada a età e a sesso. Si può metter tra parentesi anche il maomettano disprezzo per la donna, «il campo che vi è destinato da arare...».
Imbonimento, minaccia, sofismi: i bimbi son facili da plasmare per crociate minorenni. Noi pensiamo alla felicità dei più giovani che non hanno memorie, desertici, per loro tutto è domani. Nel mondo dei nuovi Califfi no, non ne hanno diritto. Devono diventare come una spugna imbevuta di cose vissute e sofferte da altri. Ma quali? Astrazioni, odi, fanatismi, dei bugiardi. In Cecenia e in Israele, a Baghdad e a Mogadiscio il numero dei morti aumenta, il soffrire arroventa pensieri, incenerisce e disperde scorie. Da quanti anni assistiamo, con la vecchia plumbea nausea, alla appropriazione di tutto quanto sia ritenuto giovevole alla causa del Jihad? C’è dell’erculeo in tanto rovello nocivo, in questa smorta rabbia fanatica, in questa insolenza.
Sono stato nel Nord della Nigeria. Nei villaggi semivuoti di cristiani e di musulmani terrorizzati, si avvicinavano i bambini. Non so da dove fossero venuti fuori, perché prima non c’erano. Si avvicinavano in due, in cinque, maschi e femmine, poi erano non so quanti, e tutti stavano zitti a scrutarmi. Qualcuno mi guardava fisso e attonito; qualche altro fingeva di non guardarmi se incontrava il mio sguardo. Io sapevo la storia di quei bambini. Lo sanno tutti la storia dei bambini nei luoghi dove è passata la guerra. Come per i putti dei Della Robbia c’è una faccia speciale per i bambini dei luoghi di guerra, vissuti sotto la paura, nati magari nella foresta, allattati da una madre in fuga. Mi guardavano e i loro occhi erano invincibilmente melanconici. Io sorridevo e non riuscivo a farli sorridere. Solo una bambina al mio sorriso, sorrise. Vestiva con uno sdrucito grembiule, aveva due sottili treccine. Teneva la mano di un fratellino. Il suo viso era quello di una piccola madre infelice. Dietro di lei le catapecchie del villaggio facevano un grande, devastato fondale bigio. Il suo viso era proprio da tanto tempo, da troppo tempo senza gioia. Cosa aveva visto l’infelice nella vita? Cos’era per lei, come per la bambina-kamikaze di Katsina, la divina parola infanzia?
Domenico Quirico, La Stampa 1/8/2014