Federico Fubini, la Repubblica 1/8/2014, 1 agosto 2014
LA MANCATA CRESCITA COSTERÀ 6 MILIARDI E CON IL FLOP DEI TAGLI ADDIO A RISPARMI PER 4,5
ROMA.
Molte voci da tempo la fanno balenare, la prevedono o la invocano, ma verosimilmente non prenderà corpo. Non ci sarà una manovra correttiva sui conti di quest’anno né in estate, né in autunno: non se la velocità di crociera dell’economia e dei conti pubblici resta quella attuale.
Per effetto di una crescita che rasenta lo zero, alla fine dell’anno il deficit pubblico del 2014 sembra diretto verso quota 3,1% del Pil. È un lieve superamento delle soglie europee consentite, ma tutto lascia pensare che può rientrare: va contato l’effetto positivo sui conti dei bassi interessi pagati sui nuovi titoli di Stato e la capacità del Tesoro di gestire i trasferimenti di fondi in modo da limitare il disavanzo in certi momenti. Malgrado l’impegno da 6,7 miliardi per il bonus Irpef da 80 euro a 10 milioni di italiani, non ci sarà dunque bisogno di mettere mano ai conti in corso d’anno come accadde nel 2013. Complicato è semmai tutto il resto. Lo è la struttura e la portata della Legge di stabilità per il 2015, sullo sfondo di una bassissima crescita, di 10 miliardi di bonus da coprire su base permanente e di altre spese inevitabili o ereditate dal governo di Enrico Letta. E altrettanto complessa si sta rivelando anche l’applicazione delle norme che già esistono per ridurre la spesa in lavori pubblici o nell’acquisto di beni e servizi nelle migliaia di Comuni d’Italia. Se quelle regole sulle forniture fossero fatte rispettare, come prova a fare il commissario alla spending review Carlo Cottarelli, anche il quadro dei conti sul 2014 e 2015 sarebbe molto più gestibile: a regole esistenti, senza bisogno di nuove misure, i risparmi sarebbero almeno di 4,5 miliardi l’anno. Mai come oggi lo sforzo di contenimento della spesa si incrocia infatti con il calendario del bilancio e l’attenzione che il resto d’Europa o la City di Londra dedicano all’Italia. Oggi a Palazzo Chigi Matteo Renzi vedrà il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per impostare la struttura della legge di bilancio del 2015. Il provvedimento dovrà essere presentato entro metà ottobre, ma ieri il premier ha già confermato le grandi linee: il governo pensa a una correzione da 16 miliardi alla rotta dei conti pubblici.
È molto, ma potrebbe non essere abbastanza a garantire che il deficit scenda e il debito pubblico salga almeno un po’ più lentamente. Una stretta da cinque o sei miliardi serve infatti solo per compensare l’effetto della mancata ripresa, che porta meno gettito fiscale e più spesa sociale del previsto. Altri dieci miliardi di tagli o entrate da lotta all’evasione occorrono poi per coprire lo sgravio da 80 euro al mese ai redditi medio bassi. Qui sembra terminare la portata della Legge di stabilità, ma non la lista delle voci da finanziarie. Ci sono altre spese incomprimibili, come il finanziamento delle missioni militari all’estero o la cassa integrazione per le piccole imprese. E ci sono poi voci di spesa già innescate dal governo di Enrico Letta sul 2015, nell’idea di finanziarle con parte della spending review. In totale dunque una Legge di stabilità da 16 miliardi potrebbe non bastare: per essere certi che il disavanzo cali un po’ e il debito non salga troppo, servirebbe una stretta ulteriore di circa altri sei miliardi.
Palazzo Chigi, almeno per adesso, non sembra metterla in conto. Un’occhiata all’andamento degli acquisti da parte delle amministrazioni pubbliche potrebbe però fornire una soluzione. Lo dimostrano i dati della Consip, la grande centrale di acquisti di beni e servizi del governo: i risparmi immediati sarebbero importanti, se solo gli uffici pubblici comprassero beni e servizi tramite Consip. Solo su 32 categorie di merci delle 75 più comuni, i risparmi sarebbero di circa 9 miliardi nel biennio 2014 e 2015. Gli esempi non mancano: oggi lo Stato spende per esempio circa due miliardi l’anno per l’uso dei telefoni fissi, ma se i contratti fossero tutti stipulati dalla Consip o fossero fatti ai suoi prezzi, il risparmio potenziale sarebbe quasi di 1,5 miliardi. Per le fotocopiatrici a noleggio, la spesa totale è di 210 milioni l’anno: scenderebbe di quasi la metà se gli tutti gli uffici comprassero ai prezzi della centrale nazionale d’acquisto. I risparmi sulle derrate alimentari comprate dalla pubblica amministrazione sarebbero poi di 200 milioni l’anno, un quarto della spesa totale. Quelli per il cosiddetto “facility management”, la gestione logistica degli uffici, oggi sono di 2,5 miliardi e scenderebbero di 600 milioni.
Solo alla fine anno si saprà quanto sarà stato risparmiato nel 2014 rispetto al 2013, ma è già chiaro che si tratta di pochissimo rispetto a quanto sarebbe possibile. Intanto però l’obbligo imposto ai Comuni di adeguarsi è appena stato rinviato per l’ennesima volta, dopo ben due anni di proroghe.
Carlo Cottarelli e Raffaele Cantone, rispettivamente commissario alla spending review e capo dell’autorità anti-corruzione, hanno scritto a duecento enti e uffici centrali dello Stato. Nella loro lettera hanno chiesto conto di acquisti effettuati a prezzi molto al di sopra di quelli normali. Doveva essere l’inizio di un controllo più pressante sugli amministratori più inefficienti. Ma da quando Carlo Cottarelli ha un piede e mezzo fuori della porta del governo, anche loro si chiederanno se la sua lettera va davvero presa sul serio.
Federico Fubini, la Repubblica 1/8/2014