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 2014  agosto 01 Venerdì calendario

LINA SASTRI ATTRICE


Una ragazzina di 17 anni ombrosa e vulnerabile ma con una forza tutta sua, irredimibile. Una forza che la portava via. E che la portò via, a Roma e nel mondo. Quando Lina Sastri racconta l’adolescente che era, non è difficile vederne ancora le tracce nella risata aperta e nella lingua che parla: solare e rocciosa. Oggi che di anni ne ha sessantuno, invece di andare via forse sente il bisogno di tornare: a quella Napoli da dove tutto è cominciato. E che ora le pare ancora diversa, un posto che forse può accogliere il pensiero e il movimento. Una città dove c’è il mare. Anche se Anna Maria Ortese, che Lina ama immensamente, diceva che invece non è vero: il mare non bagna Napoli. Semmai lo tiene in grembo. Con Lina Sastri parliamo dei luoghi che ci accolgono, della poesia, del teatro, ma anche di Oriente e Occidente, di Oriana Fallaci, dei figli non nati e di una certa solitudine che può prendere una donna che per qualche inspiegabile ragione si sente sempre un po’ ferita ma proprio per questo conosce l’arte della gioia.
Quando ha preso i suoi “Appunti di viaggio” (l’ultimo suo spettacolo, dal 19 al Teatro Greco di Taormina e poi in tournée)? Che territori ha attraversato per scriverli?
Intanto, volevo dire che Appunti di viaggio si inserisce in un filone più personale di teatro e musica. Non essendo io una cantante, ho realizzato degli spettacoli in cui la musica è diventata teatro. Il primo è stato Cuore mio e raccontava il cuore del Sud del mondo… Poi c’è stato Corpo celeste, un’opera in gran parte ispirata agli scritti di Anna Maria Ortese, che raccontava, con un certo anticipo sui tempi, cose che sarebbero puntualmente accadute: la fine d’identità di una nazione, la fine d’identità della lingua, la fine della cultura occidentale, l’ingresso nell’era della vanità… Poi ci sono stati Mese Mariano dedicato tutto a Di Giacomo. Perla strada. La casa di Ninetta, Linapolina. Con Appunti di viaggio tomo all’essenziale. I miei musicisti. Ed io. Mi basterebbe una chitarra. È un racconto libero delle cose che mi sono successe, delle persone che ho conosciuto… Si passa da una canzone all’altra, da una citazione di Eduardo a una di Viviani, da un mio pezzo poetico a una canzone classica napoletana. È vario. Come è il jazz.
Nello spettacolo, parlerà di quella ragazzina di 17 anni che scappò da casa per fare il teatro. È ancora connessa con quell’adolescente?
Assolutamente sì. Quella Lina lì era una ragazzina molto vulnerabile e molto ombrosa. Inquieta. Aveva delle energie creative da esprimere. Un’esplosione che non si poteva contenere in una casa.
Anche se la casa non era male, come lei racconta in altri luoghi. La casa era abitata da una madre speciale, Ninetta.
“La casa di Ninetta” (romanzo e testo teatrale) è costruito su mia madre, una donna meravigliosa cha ha cresciuto me e mio fratello con libertà e grazia. Ninetta aveva nella voce la musica. Ho fatto in tempo a registrarla da vecchia prima che morisse, mentre cantava senza musica motivi appena accennati di canzoni napoletane. La sua voce viaggia con me, negli spettacoli.
Chi era invece suo padre?
Mio padre invece era un uomo bello e avventuroso di origine siracusana. Alla Sicilia mi lega un modo di essere, un certo sentimento della tragedia. Io sono una mescolanza tra la leggerezza napoletana e la forza, il peso della Sicilia. Mio padre era questo. Era un uomo povero senza grande cultura, ma ha avuto la forza dei desideri, della bellezza, la spinta della libertà. Ad un certo punto se ne è andato in Brasile. In Brasile è anche morto. Ogni tanto tornava. Infatti la mia musica, il mio modo di cantare, risente di questo fatto: io sono nata in un vicolo napoletano, figlia di un padre che ogni tanto appariva, con il fado, con il bolero, e tutto questo è entrato nella mia educazione sentimentale e musicale.
Cosa rappresenta Roma per lei?
Io sono andata via di casa per fare il teatro; non avendo mai frequentato nessuna accademia ho cercato subito di lavorare. Ho fatto il teatro che nasceva allora come teatro di rottura, il Masaniello. E poi per caso Roberto De Simone mi fece cantare quel bellissimo Inno alla Madonna de lu Carmine e fu poi una cosa che rimase nel tempo… Rifiutavo la mia città e la mia lingua. Quindi sono venuta a Roma e ci sono rimasta tutta la vita. Sono felice di aver vissuto la Roma di trent’anni fa. Dove potevi veramente sentirti artista… La città è molto cambiata.
Tornerà a Napoli?
Non lo so. So solo che in questi ultimi ho riscoperto Napoli. Anche se è una città metropolitana, puoi camminare e incontrare sempre qualcuno con cui parlare e prenderti un caffè. Questa cosa a Roma si è persa. Vivere la solitudine a Napoli è più difficile.
Prima parlava della vanità. Un attore è particolarmente esposto alle lusinghe e alla tentazione del narcisismo. Come si controlla la deriva vanitosa?
Innanzitutto la vanità e il narcisismo non sono la stessa cosa. La vanità di cui parlavo io è una tentazione filosofica, che ha a che fare con la dannazione, con un lato di grande debolezza dell’essere umano che quando perde i suoi riferimenti importanti (l’etica, la giustizia, il talento, la fede) si lascia andare al suo teatro solitario.
Lei è credente?
Sì, sono credente.
Ha figli?
Purtroppo no. Li avrei voluti. Sento che una parte importante di me non si è potuta esprimere. Però ha avuto altri figli. Le opere. È vero, però un figlio è più difficile.
Avrebbe preferito una vita più difficile?
Seguire un bambino piccolo è più difficile che seguire un personaggio virtuale che stai facendo nascere. Sì, avrei preferito vivere quella difficoltà.
Chi era Eduardo De Filippo?
Era un uomo bello, anche da vecchio. Nel suo caso, la bellezza non si abbinava alla tenerezza, ma al rigore e alla severità.
Lei è severa con se stessa?
Sì, sono molto severa. Anche se con il tempo si affievolisce tutto questo perché ti stanchi, e oggi io sono stanca, e sono molto ferita dalla vita…
Cosa la ferisce?
Mi ferisce questa sordità, questa indifferenza che vedo intorno. Mi ferisce l’idolatria del danaro. Mi ferisce il concetto di protezione politica. Un artista non deve aver bisogno di nessuno che lo protegga.
Segue i fatti della politica?
Sì. La politica è vita. Non mi piace però la politica da salotto.
E lei come ha fatto ad evitarli, i salotti della politica?
Per naturale predisposizione, sia mia che loro. La mia predisposizione mi porta a non andarci, e loro capiscono subito.
Anna Maria Ortese....
Anna Maria Ortese! Era un’altra che credo non fosse predisposta per i salotti. E pare che abbia vissuto una vita molto difficile. Si diceva che non avesse un buon carattere… Però ho letto delle cose di rara intensità e bellezza dove il realismo di tutti i giorni si univa a una specie di magia della vita. Credeva in una specie di divinità della natura. Tutte queste cose insieme la rendono modernissima.
Torna spesso a frequentare le sue pagine?
No, io non rileggo niente, non rivedo, anzi non vedo neanche. Cerco di dimenticare.
Sta leggendo qualche libro in particolare?
Adesso sto leggendo una cosa che mi diverte per un certo verso e per un altro invece mi immalinconisce: Viaggio in America di Oriana Fallaci. Lo leggo come un romanzo d’appendice. Certo scriveva bene.
Ma era diventata una pensatrice intollerante.
Era una specie di contadina toscana che si era stabilità a New York. Brillante, intelligentissima. Ad un certo punto, non aveva più contatti col mondo esterno. Ma io questa cosa la capisco. Col tempo, ci si sente più isolati, più feriti. Ci si arrovella. Lei non usciva più di casa. In questo è stata onesta. Non ha voluto seguire la corrente. Ha voluto dire che alla fine questo Oriente minacciava l’Occidente. Io non penso come Oriana Fallaci che la nostra cultura sia superiore, ma penso che la minaccia esista. La cultura occidentale è senza identità. Paradossalmente i più forti sono quelli che hanno conservato le loro identità chiudendo le frontiere. Cioè sono più forti rispetto a noi che siamo…
Liquidi?
Questa cosa della società liquida non mi convince. È una cosa di moda che si dice. Che vuol dire “liquida”?
Senza confini, credo.
Non è vero. Perché poi i confini esistono. Le Strisce di Gaza esistono.
Esistono perché qualcuno le ha create.
Certo.
Cosa pensa dell’apertura di Renzi al riconoscimento delle unioni civili?
Penso che sia una cosa civile, appunto. Quante volte abbiamo visto persone che dopo vent’anni di convivenza si sono trovate ad essere estromesse, senza niente, senza diritti? A me tuttora fa tenerezza vedere persone che si sposano.
E lei si è mai sposata?
Sì, mi sono sposata! Un giorno per caso l’ultimo dell’anno. Mi sono sposata con un argentino. Poi però mi sono anche divorziata. Accadeva diversi anni fa.