Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore 1/8/2014, 1 agosto 2014
LA FIAT E GLI ANNI D’ORO DEL LINGOTTO
Oggi la Fiat terrà, al Lingotto, l’ultima sua assemblea in Italia: quella convocata per sancire la fusione in Fiat Chrysler Automobiles e il conseguente trasferimento della sede legale in Olanda. Calerà così il sipario su un luogo storico del Gruppo industriale torinese, che ha contribuito per tanto tempo all’attività e all’immagine di quella che è stata l’ammiraglia del capitalismo italiano.
Risale alla fine del 1922 l’entrata in funzione dello stabilimento del Lingotto, progettato nel corso della Grande Guerra. Dopo il trasloco dall’originaria fabbrica di corso Dante delle fonderie e delle fucine, e dei reparti dei torni automatici e per la preparazione dei telai, quello degli altri impianti venne completato all’indomani del ritorno del direttore generale Guido Fornaca dagli Stati Uniti, dove aveva compiuto, insieme a un valente tecnico come Ugo Gobbato, un’ulteriore ricognizione nelle principali fabbriche di automobili per mettere a punto definitivamente, insieme alla disposizione delle macchine speciali e automatiche, le diverse fasi del ciclo lavorativo. Il mandato di Giovanni Agnelli era di tradurre in pratica nel nuovo complesso i principi del taylorismo e i procedimenti fordisti, in modo da realizzare una produzione dai minori costi unitari e dal massimo d’efficienza possibili.
Quello del Lingotto era un edificio di eccezionali dimensioni per allora, disposto su quattro piani e con una pista di prova sopraelevata, composta di due rettifili di 443 metri ciascuno e di due curve circolari a inclinazione trasversale. Per tutta la sua lunghezza, di cinquecento metri, questo fabbricone (a cui vennero aggiunte nel 1926 a nord e a sud due rampe elicoidali di salita) si affacciava su un ampio viale e, nel retro, sui binari delle linee ferroviarie.
Si trattava di un complesso progettato interamente da ingegneri, in base a stretti criteri di funzionalità. Il presidente degli industriali d’Oltreatlantico l’avrebbe definito «il più perfetto stabilimento di stile americano». E Le Corbusier ne scrisse come di un’opera d’avanguardia «autenticamente futurista», in quanto la tecnica ingegneristica si coniugava con una cultura architettonica complementare in termini strutturali e spaziali alle nuove cadenze della produzione industriale. Al di là dell’originalità delle sue fattezze esteriori, l’importanza di questa grande fabbrica stava perciò nella sua rispondenza a criteri organizzativi e a un sistema di divisione del lavoro intonati (per dirla con Piero Gobetti) a uno «spirito d’ordine e di continuità» quale emblema di una rigorosa filosofia aziendale.
Nell’ambito di uno stabilimento allestito in modo che funzionasse come un orologio, la costruzione di una vettura procedeva in verticale, da un piano all’altro, incorporando i singoli pezzi lungo i convogliatori, per poi connetterli con la linea di montaggio degli châssis e i componenti della carrozzeria, prima di raggiungere infine la pista in cemento per il collaudo piazzata sul tetto.
Fra tutte queste operazioni, ci volevano complessivamente, per fabbricare un’auto, non più di sette-otto minuti.
Si trattava di un modo di lavorare e produrre che comportava la progressiva sostituzione del tandem fra il manovale e l’operaio di mestiere con una nuova figura, quella dell’addetto macchine. Nello spazio di uno o due metri assegnatogli non aveva bisogno di muoversi, anzi non doveva per risparmiare tempo ed energia. Il pezzo da lavorare gli giungeva lungo un piccolo binario a rulli e, una volta lavorato, ripartiva verso un altro operaio.
Nel 1936, in seguito all’incremento della produzione, Agnelli decise di avviare la realizzazione dello stabilimento di Mirafiori, inaugurato nel maggio di tre anni dopo, su una superficie coperta sei volte superiore a quella del Lingotto e con una catena di montaggio in orizzontale. Pensava che una parte della fabbrica di via Nizza si prestasse a ospitare sia i laboratori del Politecnico sia la Scuola di applicazione di artiglieria e genio. Ma i sondaggi in tal senso non approdarono ad alcun risultato e così pure le trattative avviate più tardi con le Ferrovie dello Stato. E fu in pratica un’autentica fortuna per la Fiat, in quanto il trasloco delle lavorazioni a Mirafiori avrebbe subito di lì a poco, dopo lo scoppio della guerra, continui inciampi e rallentamenti. Dagli anni Cinquanta, di rinvio in rinvio, lo stabilimento del Lingotto sarebbe sopravvissuto sino al 1982, per vedere successivamente il ritorno dello "stato maggiore" e dello staff manageriale del Gruppo nella palazzina degli uffici, rimasta nel cuore di quello che oggi è divenuto un grande Centro polifunzionale.
Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore 1/8/2014