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 2014  agosto 01 Venerdì calendario

L’INVASIONE DEGLI ALLOCTONI

L’INVASIONE DEGLI ALLOCTONI –

Roma come Rio de Janeiro. Genova come Miami. Appollaiati sugli alberi di Villa Borghese o su quelli dei Parchi di Nervi. Colorati, chiassosi, esotici, i pappagalli svolazzano beati nei cieli anche di Pavia, Milano e Reggio Emilia. Nuovi inquilini urbani che arrivano da lontano: dal Sudamerica, dall’Africa o dall’India, che da qualche anno sono diventati una presenza costante anche in molte città italiane, dove si sono stabiliti una volta fuggiti (o liberati, chissà) dalle voliere che li tenevano prigionieri. E riguadagnata la vecchia libertà non hanno nessuna intenzione di lasciarla andare. «In città fa sempre più caldo, gli alberi sono pieni di cavità dove possono tranquillamente nidificare, e non mancano quasi mai noci, mandorle o qualche altro seme che possano rompere col becco per sopravvivere», racconta Marco Gustin, responsabile Specie e Ricerca per la Lipu. Quali siano gli effetti dei colorati pennuti - il parrocchetto monaco o il parrocchetto dal collare - sugli ecosistemi non è ancora chiaro, continua Gustin: «Eccezion fatta per qualche sfratto ai danni di scoiattoli e picchi rossi che vivono nelle stesse cavità bramate dai pappagalli».
Ma gli alieni non vengono solo dal cielo. E a volte sono tutt’altro che inoffensivi. Di specie cosiddette alloctone, ovvero di residenza diversa dall’originaria, l’Italia è piena, e in alcuni casi è una vera e propria invasione. «Se è vero infatti che gran parte della nostra stessa vita dipende dal successo di alcune specie alloctone, come i pomodori e le patate, è anche vero che in alcuni casi le specie aliene possono avere impatti devastanti sulla biodiversità, sull’economia e anche sulla salute umana. In questi casi parliamo di specie invasive», spiega Piero Genovesi dell’Ispra, presidente del gruppo di specialisti di specie invasive dell’Unione mondiale per la conservazione della natura.
Quanti siano gli invasori però non è chiaro: delle 2654 specie aliene appena incluse nel database che l’Ispra ha consegnato al ministero dell’Ambiente circa il 10 per cento sono invasive. E dagli anni Settanta al 2010 il numero degli alieni è cresciuto del 76 per cento. Colpa della globalizzazione dell’economia, del continuo via vai delle persone, che intenzionalmente o meno si portano dietro piante, animali d’affezione, trasformando gli ecosistemi in un’omogenizzato di specie, che Anthony Ricciardi della McGill University ha ribattezzato (giocando sul ruolo del cambiamento climatico) non a caso “global swarming”, lo “sciame globale”. E il trend non accenna a diminuire.
La nutria è una vecchia conoscenza italiana quando si parla di specie invasive: «Nel nostro paese esiste dagli anni Trenta circa, quando cominciammo a importarla per ricavarne delle pellicce», racconta Genovesi: «Da allora però ha cominciato a riprodursi in maniera esponenziale, e in breve è diventata una delle peggiori specie invasive d’Europa». Scavando il terreno nei pressi dei corsi d’acqua dove vive, la nutria infatti ne causa l’indebolimento, aumentando il rischio esondazioni. Ma non solo: modificando la vegetazione delle rive mette in pericolo anche la sopravvivenza delle specie che qui vivono, e causa ingenti danni anche al settore agricolo assaltando e divorando i campi di cereali. Per danni alle campagne che ogni anno sfiorano i 20 milioni di euro, tuona Coldiretti. A cui vanno aggiunti i 4-5 milioni spesi per controllare l’espansione delle popolazioni (tramite cattura e soppressione, tra le critiche degli animalisti), senza risolvere però il problema. Ma anche gli invasori più piccoli possono far danno. Ne sa qualcosa il nostro scoiattolo rosso, minacciato dal concorrente (per risorse e rifugi) americano, lo scoiattolo grigio. E lo sanno le vittime della zanzara tigre (sbarcata in Italia dall’Asia negli anni Novanta, nascosta nelle acque rimaste su un carico di pneumatici). Nel 2007 causò l’epidemia di chikungunya (malattia causata da un virus di cui la zanzara è vettore) nel ravennate, mentre adesso tiene in scacco i Caraibi, dove si teme una pandemia. Conoscenza più recente è invece il calabrone asiatico, arrivato in Europa probabilmente insieme ai carichi di merce cinese, e che dalla Francia ora si è spostato in Liguria, minacciando le popolazioni di api (già a rischio), di cui è predatore, e mettendo in pericolo così la produzione di miele e l’intero settore agricolo (niente frutta e verdura se mancano gli impollinatori). E se credete che le piante siano più innocue vi sbagliate: «Il Carpobrotus acinaciformis in Sardegna minaccia i caratteristici ambienti di duna, mentre l’Ambrosia artemisifolia produce una mole enorme di polline, fortemente allergenico, e basta sfiorare le foglie dell’Heracleum mantegazzianum, una pianta ornamentale, per rischiare un’ustione, visto il potente effetto fotosensibilizzante delle sue secrezioni», spiega Genovesi.
L’isola cantata da Dumas se l’è vista brutta fino a qualche anno fa, sotto assedio del ratto nero, che ne distruggeva la vegetazione e la fauna, mettendo a rischio la biodiversità di Montecristo, minacciando uccelli marini come la berta minore. Popolazioni ora completamente ristabilite grazie al lavoro - partecipato da Ispra, Corpo forestale dello stato e finanziato con fondi europei all’interno dei progetti Life – di derattizzazione del gioiello dell’Arcipelago Toscano. Misura estrema sì, ma a volte necessaria, spiega Genovesi: «È chiaro infatti che la migliore strategia contro le specie aliene resta la prevenzione, contrastando l’introduzione, volontaria o involontaria, di nuove piante e animali in paesi diversi da quelli di origine». Anche per questo, il nuovo piano appena approvato dall’Unione europea, e in vigore dal prossimo gennaio, mira a introdurre misure ancora più restrittive per il trasporto e la commercializzazione di specie aliene. Allo stesso tempo chiede ai paesi membri di investire in nuovi progetti per capire come arrivano queste specie, compilando liste regionali e identificando i vettori di arrivo, e di adottare dei piani d’azione rapidi in caso di allerta invasori. Un passo decisivo per Genovesi: «Che sia l’Europa a impegnare i paesi in una strategia sovranazionale nella lotta alle specie invasive è fondamentale, perché se ognuno agisse singolarmente, ma a livello europeo non avessimo delle regolamentazioni, sarebbe inutile. Che senso avrebbe controllare le popolazioni di scoiattolo in Italia se poi se ne permettesse la commercializzazione in Europa?».