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 2014  agosto 01 Venerdì calendario

SENTI CHE BIOPIC


Cinema in crisi? Non si direbbe proprio, almeno a guardarlo dalla prospettiva dei “biopic” musicali: quei ritratti di divi di ieri e di oggi che, tra biografie romanzate e documentari, sono il genere di progetti sicuri su cui l’industria del cinema in questo periodo continua a investire. Sono appena passati nelle sale italiane “Mistaken For Stranger” sui The National, firmato da Tom Berninger (fratello del “frontman” della band, Matt) che ha montato circa 200 ore di riprese artigianali, a volte anche illecite, dei lunghi tour della indie-rock band, e un omaggio ai Duran Duran firmato da David Lynch. Il visionario regista ha concesso la sua anima a “Duran Duran: Unstaged” solo a patto che potesse riprendere e montare a suo piacimento le immagini di un concerto dei protagonisti. E arriverà i Italia a novembre “Get On Up”, la storia di James Brown prodotta da Mick Jagger.
Il biopic musicale non è certo una novità. Da “Amadeus” di Miloš Forman a “Walk the line” su Johnny Cash, passando per “Sid & Nancy” sulla storia di Sid Vicious dei Sex Pistols, “De-Loveley” su Cole Porter o “Bird”, il Charlie Parker raccontato da Clint Eastwood, ce ne sono molti. Lo stesso Eastwood è ora nelle sale con “Jersey Boys”, che racconta la storia del gruppo americano pop-rock The Four Seasons. Eppure mai come in questi ultimi tempi si è parlato di biopic musicali e di documentari. Galeotto il successo inatteso di “Searching For Sugar Man”, il documentario sulla strana parabola del cantautore Sixto Rodriguez che addirittura fu premiato al Sundance Film Festival e si aggiudicò un Oscar.
A inaugurare il nuovo corso è stato il regista John Ridley, già premio Oscar come sceneggiatore per “12 anni schiavo”, che inizia a girare nei festival con il suo “Jimi: All Is By My Side”, dedicato a Jimi Hendrix e interpretato da André Benjamin, l’André 3000 del duo hip hop Outkast. Ridley concentra la sua storia su un anno cruciale nella carriera di questo genio della chitarra, quello che precede il suo show al Monterey Pop Festival del 1967, la performance che lo consacrò. Il 1966, racconta il film, fu un anno di fuoco, segnato dall’incontro con quello che sarebbe diventato il suo manager che lo portò via da New York, lo inserì nei club di Londra, ma anche con Linda Keith, allora fidanzata con Keith Richards dei Rolling Stones. Anche se il film verrà distribuito nelle sale a partire dalla metà di settembre, a 44 anni dalla scomparsa del cantante, le polemiche sono già roventi: con la Keith che già promette un’azione legale nei confronti di chi ha prodotto la pellicola. A sentire l’australiana, cui Hendrix dedicò niente meno che le parole e le note di “The Wind Cries Mary”, il loro rapporto non fu per niente burrascoso: al contrario lei conserva un ricordo di una persona gentile e affabile. Ma la critica preventiva più feroce arriva dai puristi, perché Ridley non ha potuto utilizzare le musiche originali di Hendrix. Il veto è arrivato dalla fondazione intitolata al chitarrista, con alcuni parenti della rockstar in prima fila, che ne detiene i diritti. E che si è affrettata a promuovere un secondo film su Hendrix, presentato durante l’ultimo festival di Cannes. Questa volta nei panni del chitarrista ci sarà l’attore Anthony Mackie (“Million Dollar Baby”, “The Hurt Locker”, “Notorius B.I.G.” e diversi altri), per la regia di Ol Parker. La sceneggiatura, questa volta, è stata approvata dagli eredi. E proprio per questo, rispetto alla pellicola di Ridley, il film avrebbe la possibilità di utilizzare le musiche originali. E non è poco.
Le battaglie con gli eredi sono all’ordine del giorno nella produzione di un biopic. Sono già sul piede di guerra i parenti di Whitney Houston, per una pellicola che sembra sia riservata solo al piccolo schermo e che sarà interpretata da Yaya DaCosta, una bella attrice di Harlem. Ma il più tormentato è il biopic su Freddie Mercury, leader dei Queen, la cui scomparsa nel 1991 lasciò un vuoto incolmabile nel mondo del rock, almeno quanto dubbi atroci sull’integrità morale della persona. Un caso singolare è “Miles Ahead”, su Miles Davis. L’attore di “Hotel Rwanda” e “Iron Man 2” Don Cheadle ci lavora dal 2006. Nel 2012 furono gli eredi del trombettista più famoso del jazz a dichiarare al “Wall Street Journal” di aver concesso le autorizzazioni necessarie. Eppure solo in questi giorni iniziano le riprese a Cincinnati. Cheadle, che sarà interprete e regista del film, ha deciso di raccontare il periodo più buio di Davis, i cinque anni che vanno dal 1975 al 1980, che segnarono il ritiro dalle scene e il periodo più triste e duro della sua vita. La depressione, l’alcol, l’ulcera, la cocaina, la dipendenza dal sesso e anche il carcere per i mancati alimenti ai figli. Miles passava mesi senza uscire di casa, organizzava festini e spesso cacciava malamente i suoi ospiti per chiudersi in un mutismo terribile. Una ricostruzione non certo semplice di anni poco chiari alle cronache e persino ai suoi amici e collaboratori più stretti che ne persero le tracce.
Sarà per anticipare possibili problemi che sempre più spesso sono gli eredi a prendere l’iniziativa. Se non i divi stessi. È il caso del film sui Beatles da poco annunciato, per la regia di Ron Howard. Voluto da Yoko Ono, Paul McCartney, Ringo Starr e Olivia Harrison, il film sarà co-prodotto da Nigel Sinclair (che già lavorò ai documentari di Martin Scorsese su Bob Dylan e George Harrison), racconterà la prima fase della carriera dei Beatles, con l’attività concertistica dei quattro, dal Cavern Club di Liverpool fino all’ultimo concerto “ufficiale”, quello di San Francisco nel 1966, quando Lennon e gli altri furono costretti a raggiungere l’aeroporto della città su un carrarmato per evitare gli assalti della folla. La settantaduenne Aretha Franklin è al lavoro da tempo per controllare la sua biografia, “The Queen Of Soul”. Mentre Elton John ha iniziato a produrre un film sulla propria storia, pensandolo come un musical alla ”Moulin Rouge” cucito attorno alle sue canzoni più note. Per il ruolo di protagonista di “Rocket Man” è stato scelto Tom Hardy, dopo la corsa a due con Justin Timberlake.
Fare un documentario persenta meno problemi. E infatti ne fioccano di nuovi e ci sono persino reti televisive che hanno sdoganato il format e ne assemblano diversi per il proprio palinsesto, specialmente nella notte. Dopo l’estate arrivanei cinema “20.000 Days On Earth” di Iain Forsyth e Jane Pollard, già premiato al Sundance Film Festival, che racconta 24 ore di Nick Cave. Il titolo è ispirato a un appunto del cantante e artista canadese nel quale calcolava approssimativamente il suo tempo di residenza sulla terra. Anche l’ex Nirvana Dave Grohl si sta cimentando nel genere, ma si tiene alla larga dal suo famoso collega Kurt Cobain e si limita a documentare le gesta della sua nuova band, i Foo Fighters.
Tra i tanti in arrivo, le perle del momento sono due: in uscita a metà novembre è “Jaco”, la storia del rivoluzionario bassista elettrico Jaco Pastorius scomparso nel 1987 a soli trentasette anni a seguito di un pestaggio. Fortemente voluto dal bassista dei Metallica Robert Trujillo che l’ha prodotto, il documentario ripercorre il successo e la vita di un uomo che i più descrivevano come totalmente fuori di testa ma che invece soffriva di un forte bipolarismo che lo portò all’autodistruzione. Più colorato l’altro: “Mirror To The Soul” racconta cinquanta vivaci anni (dai Venti ai Cinquanta del secolo passato) di cultura, musica, usi e costumi delle isole caraibiche, così come raccontati dai cinegiornali originali dell’epoca.