Paolo Biondani, L’Espresso 1/8/2014, 1 agosto 2014
QUANTI MILIONI PER RUBY
[Colloquio con Egidio Verzini] –
Più di sei milioni di euro. Versati all’estero, segretamente. Karima El Mahroug, meglio conosciuta con il suo nickname di “Ruby Rubacuori”, avrebbe ricevuto da Silvio Berlusconi molti più soldi di quanto non sia emerso finora, nei due gradi del processo che, dopo la condanna in tribunale, ha visto il leader di Forza Italia conquistare la piena assoluzione in appello. Nell’estate 2010 quella ragazza marocchina, ancora minorenne, era stata la prima testimone d’accusa, che aveva dato il via alle clamorose indagini sulle notti di sesso a pagamento nella villa dell’allora capo del governo, ma poi ha ritrattato tutto, fino a giurare sull’innocenza di Berlusconi, con tanta convinzione da ritrovarsi indagata per falsa testimonianza. Adesso però salta fuori che, tra la prima e la seconda versione di Ruby, ci sarebbe di mezzo un tesoro, bonificato all’estero per non lasciare tracce.
Ad assumersi la responsabilità di queste rivelazioni è una fonte legale che rivendica tutti i crismi dell’attendibilità: è l’avvocato che ha gestito la trattativa economica per conto di Ruby, mentre era il suo difensore di fiducia. Si chiama Egidio Verzini, ha 56 anni ed è un legale del foro di Verona. Nato e cresciuto tra i rustici in pietra bianca del paese-gioiello di Illasi, dove ha frequentato illustri concittadini come don Luigi Verzè, lo scomparso fondatore dell’ospedale San Raffaele, o il giurista Alberto Trabucchi, l’avvocato Verzini è figlio di un operaio, e ne va fiero. Oggi è decisamente benestante, ma non grazie alla toga: ha fatto fortuna come avvocato d’affari negli anni d’oro dell’immobiliare. Giramondo, è spesso in viaggio per lavoro tra Cina, Usa e Australia. Ha vissuto a lungo in Spagna: i suoi primi dieci anni di vita forense li ha passati nei tribunali tra Barcellona e Madrid.
Verzini era diventato il difensore di Ruby, a sorpresa, nella primavera del 2011. Appena tre mesi dopo, in pieno luglio, ha improvvisamente rinunciato alla difesa. Senza mai rivelare chi gliel’avesse affidata, né per quali motivi abbia poi lasciato quella cliente così preziosa. In un paio di dichiarazioni, aveva accennato a «interferenze esterne», ma senza aggiungere mezza spiegazione in più. Ora è arrivato il momento di parlare. L’appuntamento è fissato in una delle sue proprietà, una splendida villa liberty che sovrasta la val d’Adige, sulle colline di cipressi, viti e olivi tra Verona e il Lago di Garda.
Avvocato Verzini, perché ha deciso di rompere il silenzio ora, dopo l’assoluzione di Berlusconi?
«Perché la sentenza d’appello, purtroppo, viene usata come un’arma per colpire i magistrati della procura di Milano, che non meritano di subire attacchi infamanti. Non si può far credere ai cittadini italiani che i fuorilegge, in questo Paese, siano i pubblici ministeri. Non ho alcun legame con Ilda Boccassini, so che ha un carattere duro, mi sono anche scontrato con lei in aula. Ma conosco bene il processo e ora mi sento in dovere di ristabilire la verità: quel pm e i suoi colleghi Forno e Sangermano sono magistrati seri, che hanno fatto soltanto il loro dovere. Di fronte a precise notizie di reato su un giro di prostituzione enorme, per il numero di ragazze coinvolte e per le cifre pagate, cosa avrebbero dovuto fare? Chiudere gli occhi? I magistrati hanno l’obbligo di procedere anche se c’è di mezzo il capo del governo: è il segno che la giustizia funziona ed è indipendente. Speriamo che lo rimanga, nell’interesse di tutti i cittadini».
Le sembra ingiusta l’assoluzione di Berlusconi?
«Non dico questo. Per dare una valutazione tecnica bisognerà aspettare le motivazioni. Ma come avvocato ho sempre pensato che un’assoluzione di Berlusconi, in astratto, ci poteva stare. Che lui abbia assunto comportamenti non degni di un buon padre di famiglia e tanto meno del ruolo istituzionale ricoperto, è un fatto assodato, ma la Corte d’appello ha ritenuto che non ci fossero gli estremi della vera e propria concussione. È un problema di interpretazione della legge, il tribunale aveva deciso il contrario. Alla fine, se c’è il minimo dubbio, l’imputato va assolto. Ma i pm non si sono inventati niente: i fatti restano quelli accertati dalla procura, la famosa telefonata alla questura per far rilasciare Ruby c’è stata. Accusare quei magistrati di accanimento è una sciocchezza: un pm deve accanirsi nella ricerca delle prove, come un avvocato deve accanirsi nella difesa. Fare il processo era doveroso: se l’imputato è colpevole o innocente, devono deciderlo i giudici».
E dell’altra accusa di prostituzione minorile che ne pensa?
«Beh... I giudici sono obbligati a decidere in base ai soli atti processuali. Quindi devono fermarsi alla verità giudiziaria. Ruby era una minorenne con un’esperienza e comportamenti non compatibili con la sua età anagrafica. E se dagli atti non risulta con assoluta certezza che l’imputato era consapevole della minore età, bisogna assolvere. A volte però la verità dei fatti non emerge dai processi».
Quindi Berlusconi in realtà sapeva che Ruby era minorenne?
«Reputo che alcuni particolari non possano sfuggire o passare inosservati quando si frequenta la dimora del capo del governo di un paese istituzionalmente ben strutturato come il nostro».
È una sua opinione o glielo ha confidato Ruby?
«Ora lei sta facendo una domanda a cui non voglio e non posso rispondere, altrimenti violerei il segreto professionale. Come avvocato ho dei doveri di riservatezza».
Avvocato sì, complice no: è per togliersi questo peso che ora ha deciso di parlare delle interferenze esterne sul processo?
«Se Berlusconi fosse stato condannato anche in appello, avrei continuato a tacere, per non ledere la sua posizione di imputato. Non mi piace infierire su chi è in difficoltà. Ma a questo punto, dopo tutto quello che ho visto e sentito, oltre ai documenti processuali che ho analizzato mentre difendevo Ruby, non posso accettare che si mettano in croce i pm».
E allora parli: le risulta che Ruby abbia ricevuto soldi per nascondere la verità ai giudici?
«Soldi ne ha ricevuti molti, sicuramente. Non posso dire se la motivazione fosse quella da lei asserita nella domanda».
Più dei 57 mila euro che lo stesso Berlusconi, dopo aver valutato le carte dell’accusa, ha ammesso di aver versato nel 2010 a quella minorenne, presentandoli ovviamente come innocenti donazioni a una ragazza bisognosa?
«Mi risulta che siano molti di più. Ruby mi disse che aveva raggiunto l’accordo e che doveva percepire cifre molto più ingenti».
Sono i famosi cinque milioni di euro che proprio Ruby aveva annotato, tra ottobre 2010 e gennaio 2011, in un foglietto sequestratole dalla polizia?
«La cifra precisa non posso rivelarla, ma ci avviciniamo».
Se “ci avviciniamo”, significa che sono più di cinque: quanti? Sei milioni, sette?
«Siamo in quell’ordine di grandezza, ma non insista, non intendo rivelare la cifra esatta».
Dove e come sono stati versati quei soldi per Ruby?
«È una storia lunga. Ruby aveva capito dall’inizio che quella era l’occasione della sua vita ed era decisissima ad uscirne con un sacco di soldi. Io le avevo proposto una strada legale. E nel periodo in cui l’assistevo, mi sembrava proprio di averla convinta. Ruby doveva costituirsi parte civile nel processo contro Emilio Fede. Era una mossa inattaccabile: Ruby non agiva direttamente contro Berlusconi, che l’ha aiutata davvero, ma contro la persona che l’aveva portata ad Arcore, sapendo che era minorenne e coinvolgendola così in uno scandalo che ha infangato il suo nome. Un bel giorno avremmo annunciato che la costituzione veniva revocata. Come succede normalmente nei processi, questo significa che la parte civile è stata risarcita privatamente. E visto che Ruby è stata screditata sulla stampa di tutto il mondo, una transazione di alcuni milioni era credibile. Poi, diciamocela tutta: se Fede alla fine non avesse pagato di tasca sua, questi non erano fatti di Ruby né miei».
E perché questo risarcimento giudiziario è saltato? Lo stop è arrivato da Berlusconi? Chi ha convinto Ruby ad abbandonare la strada legale?
«Sono convinto che lo stop sia venuto non dai diretti interessati, ma da consulenti esterni. Non voglio azzardare nomi, anche se un’idea me la sono fatta. Fatto sta che qualcuno ha suggerito o imposto a Ruby una strada diversa e non la via legale da me consigliata. A quel punto ho deciso di interrompere il rapporto con la mia assistita, in quanto ciò che mi veniva proposto andava a collidere con il rispetto delle norme del nostro ordinamento».
Nel luglio 2011 lei ha prima convocato e poi annullato una conferenza stampa con Ruby a Illasi: serviva proprio ad annunciare l’azione civile contro Fede e magari di aver già raggiunto l’accordo per il risarcimento legale?
«No, l’ho convocata quando ho saputo che la mia proposta era stata respinta. È stato il mio ultimo tentativo di sparigliare, di tornare a giocare la partita di Ruby con le carte pulite».
Ricapitolando, lei ha rinunciato alla difesa quando Ruby le ha detto che le avrebbero dato tutti quei soldi sottobanco, anziché legalmente. Ora facciamo un passo in più: consegnare 6-7 milioni di euro in contanti, in Italia non è facile né saggio, quindi è logico pensare che quel denaro sia stato versato estero su estero, attraverso bonifici riservati, società offshore e fiduciari prestanome. Di certo per Berlusconi non sarebbe stata la prima volta, come dimostra la condanna definitiva per le frodi fiscali e i conti segreti tra Svizzera e Caraibi.
All’avvocato sfugge un sorriso molto eloquente: «Devo riconoscere che lei ha intuito, ma io, le ripeto, non voglio fornire ulteriori particolari su un accordo che non mi riguarda e che considero illegittimo. Mi sono chiamato fuori da questa storia quando Ruby mi ha detto che aveva scelto, su consiglio di altri, di seguire una strada diversa da quella legale. E con questo ho detto tutto».
Lei è di Illasi, il paese di don Verzè: lo conosceva?
«Don Luigi Verzè era una persona straordinaria. La sua scomparsa ha lasciato un grande vuoto nella mia vita. Ero legatissimo a lui».
A metterla in contatto con Ruby e il mondo di Berlusconi fu il defunto “prete manager” veronese?
«Lasci perdere, non rispondo, non aggiungerei niente a quello che ho già detto».
Da quando ha rinunciato alla difesa di Ruby, nel contesto di trattative segrete da lei descritto ha subìto ripercussioni?
«Ho ricevuto strani messaggi di amici e conoscenti che improvvisamente mi davano del traditore. Ho perso più di qualche cliente importante. E nel momento più caldo, si sono presentati ai cancelli di questa villa due sconosciuti, che sapevano molte cose di me. Non hanno detto il loro nome e mi hanno lasciato questo messaggio: l’avvocato Verzini deve stare molto attento a quello che fa e a quello che dice. Non le nascondo che tutto ciò non mi ha lasciato indifferente».
Il caso Ruby le stava garantendo una notorietà straordinaria: c’è qualcuno che ha rafforzato la sua scelta di scaricare quella cliente d’oro?
«Il primo dubbio me l’ha messo una donna, la mia assistente in quel processo. Eravamo in udienza e sentivamo ricostruire, con prove inoppugnabili, quelle nottate con decine di giovanissime pronte a tutto nella villa di Arcore, l’incredibile quantità di denaro versato a tutte quelle ragazze da un ultrasettantenne presidente del consiglio... La mia collega mi ha fissato negli occhi e ha detto solo: “Basta. Questo signore è il capo del nostro governo, rappresenta l’Italia. Noi cosa ci facciamo qui?”. La svolta è stata quello sguardo. Io non sono un moralista, anche a me piacciono le donne, i soldi, la bella vita... Ma tutto ha un limite».
Lei fa politica?
L’avvocato risponde dopo una sonora risata: «Faccio solo l’avvocato. E sono sempre stato di destra. Ma ho smesso da tempo di credere a questa destra».
Cosa pensa oggi di Berlusconi?
«Come imputato, per il caso Ruby, penso che sia stato giusto assolverlo. Ma un giudizio politico o storico non può dipendere dalle sentenze di primo o di secondo grado. E come cittadino mi bastano i fatti di cui sono stato testimone. Berlusconi ringrazi la corte d’appello, ma non ci venga a parlare di persecuzione o di moralità, verità e giustizia. Festeggi questa assoluzione e rispetti i magistrati della procura di Milano, che hanno lavorato onestamente nell’interesse del nostro paese».