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 2014  luglio 31 Giovedì calendario

DITTA TRSPORTI RCS ROMA

Non proprio come Lehman Brothers: niente fallimento; però scatoloni, tanti. E in piena estate. Neanche come via Solferino; questo palazzo Bonaparte, sede romana di Rcs cioè del Corriere della Sera, non aveva fatto in tempo a generare mitologie e affezioni che già si deve traslocare. La data è fissata al 23 agosto, quando Rcs passerà dagli stucchi e dalle aquile impero ad architetture quasi ugualmente prestigiose ma un po’ meno centrali. Spending review, crisi della carta stampata. Il padrone di casa, sempre lo stesso, le Assicurazioni Generali, mette a disposizione il seminterrato e il primo piano di un palazzo tutto vetri fumé a via Campania, zona di ristoranti di funghi e sarti, alle spalle di via Veneto. Il prestigio è salvo, la zona è signorile, Rcs è un po’ come Downton Abbey, il conte ha investito in robe sballate tipo Recoletos, adesso si sbaracca tutta la famiglia, e (per carità) si va in un cottage tanto carino, però non è la stessa cosa, è ovvio, lo si capisce tutti.
Addio dunque al palazzo dove visse Donna Letizia o Madame Mère, madre dell’Imperatore, che qui passò la vecchiaia, morendovi, come lapide ricorda, l’11 febbraio 1836. E addio vista sull’altare della Patria e sui due leoni alati, quello di palazzo Venezia, col famoso balcone, e quello di fronte, sede delle Generali. Addio vedo-non-vedo con l’antico azionista, tra poteri e contropoteri dirimpettai: «Palazzo Bonaparte è uno dei tanti immobili delle Assicurazioni Generali, ma soprattutto ospita voi del Corriere della Sera» dice Cesare Geronzi a Massimo Mucchetti in Confiteor, libro intervista tra vicini di quasi pianerottolo. In realtà, come diplomatici o agenti di commercio, i giornalisti del Corriere di Roma erano abituati ai traslochi; solo sei anni fa stavano ancora dalle parti di piazza di Spagna, in un palazzone già dell’Unione Militare oggi trasformato in compound H&M da Massimiliano Fuksas (e già qualcuno a fare ironie: ci metteranno Zara a palazzo Bonaparte? Zara del resto è la speranza di qualunque possessore di immobili multipiano, di questi tempi, a Roma).
E addio anche all’altana, la famosa altana con la scritta cubitale “BONAPARTE”, che spunta tipo prataiolo a dominare Roma e testimoniare grandeur e malinconie qui veramente perdute; ci si arriva salendo l’ultima rampa di una scaletta di mogano, con moquettina di velluto blu, tipo ketch d’epoca Sangermani, che percorre verticalmente tutto il palazzo; si arriva su, all’ultimo piano, in questa verandona forse abuso seicentesco, con la colossale scritta in facciata, e dentro, una fila di poltroncine Eames d’acciaio; insieme agli scatoloni come a ogni piano; qualche proiettore, qualche computer, tutto impacchettato, pronto per essere portato a via Campania, verso il prossimo esilio. Da qui si vede proprio tutta Roma, l’altare della patria e i fori e il Quirinale, e con le poltroncine da riunione di potere sembra un po’ la cupola del Lingotto, un Lingottino romano, e ci si aspetterebbe di veder arrivare l’Avvocato in elicottero da un momento all’altro: però l’Avvocato naturalmente è morto nel 2003 e anche il dirimpettaio, Cesare Geronzi, non sta più di fronte: per il suo nuovo ruolo di presidente della Fondazione Generali ha scelto una sede più sobria, più defilata, su via Venti Settembre. Altri esili.
L’altana era anche il posto dove si facevano riunioni di informatici e dove soprattutto si andava a fumare di nascosto, racconta un giornalista del Corriere; tabagismo crescente anche causato dai continui tagli e prepensionamenti; a ogni porta di ogni piano è attaccata la stessa vignetta di Altan, fotocopia a colori di un Cipputi che si punta una pistola alla tempia e dice: “Non ci riesco”; e un signore con la cravatta, presumibilmente il principale: “guardi che faccio appello al suo senso di responsabilità”. Scendendo dall’altana, luogo di massimo splendore aereo, si scende a un mezzanino, dove ferve un po’ di attività – è ancora il piano dei tecnici e degli informatici, e molti umani ticchettano veloci sulle loro tastiere. La disposizione in piani del Corriere romano è ancora pre-industriale, pre-ascensore (il primo piano è quello fico, a salire si scende d’importanza; non è mai stata applicata una divisione ascensionale da organigramma novecentesco). Al terzo piano, dunque, uffici più prestigiosi, e già la demografia decresce; è il piano della cronaca di Roma e della Gazzetta dello Sport; soffitti non molto alti, ancora qualche presenza umana; al secondo c’è l’Economia; subito, a sinistra dopo l’ingresso, ecco l’ufficio di Sergio Rizzo, ma lui non c’è (dicono che è a Pescasseroli a ritirare il premio “Benedetto Croce”, appena vinto per un suo nuovo libro). Scatoloni. Si incrocia Francesco Verderami. Non c’è Massimo Franco, notista e raffinato biografo andreottiano.
Però è al primo piano, il piano nobile, con gli appartamenti di Letizia Bonaparte, che si avverte maggiormente il trapasso. Tutto è impacchettato nel piano degli inviati: poltrone interpareti attaccapanni: tutto rivestito e imballato col millebolle e con lo scotch. Tanti scatoloni col marchio: Ditta Trasporti Bolliger – Pero-Milano. E uno molto grande con scritto, a pennarello: “Dvd Totò – Buttare!”; cineteche che nel seminterrato non troveranno posto, forse; poi altre scatole, accatastate accanto a camini con altorilievi di marmo – opera del Canova – e aquile imperiali e B maiuscole di Bonaparte sul soffitto: altre scritte a pennarello: “staffe”; “telefoni”; “cavi”, impilati, pronti per esser portati via.
Siamo nei nove saloni dell’appartamento di madame Mère, che qui visse sobriamente e forse tristemente, dopo la morte del figlio imperatore, facendosi costruire anche una loggetta coperta o bussolotto che dà sulla piazza Venezia e sul Corso, per vedere il traffico di carrozze e non sentirsi sola (e dopo esser diventata cieca, facendosi raccontare la vista dalla dama di compagnia). Gli scatoloni e gli imballi impallano anche il pavimento di cristallo sospeso di una ristrutturazione molto hi-tech, che ricopre lasciandolo intravedere un grande seminato veneziano. Sul soffitto, affreschi settecenteschi vaporosi; in una saletta – deserta – una statua gigante, è “Napoleone Bonaparte come Marte pacificatore”; del Canova, alta tre metri e mezzo. Però poi una targhetta indica che è una copia dell’originale, in gesso e non in marmo (però copia d’autore, ce ne sono solo cinque in circolazione, una è a Brera. Ma come la trasporteranno nel seminterrato? La lasceranno qui?) Intorno, il deserto: non c’è Cazzullo, non c’è Paolo Valentino, non c’è il vicedirettore Macaluso, non c’è Pierluigi Battista; c’è solo una signorina che spunta da una interparete bassa, nascosta sotto il Canova finto, mi chiede cosa voglio, dico mentendo che cercavo Pigi Battista, che non c’è, la signorina si ri-nasconde sotto la interparete e il Napoleone colosso. Si scende giù, nell’atrio gigante, sotto testine napoleoniche e la lapide che ricorda madame Mère; tutte le pareti sono assiepate da questi scatoloni ditta Bolliger. La guardiola coi vetri siglati orgogliosamente in blu “Rcs”, attraverso i quali si guarda l’altare della patria, con le bandiere italiane che sventolano.
Ma come sarà questa nuova sede signorile senza vessilli napoleonici? Si va. Via Campania, distretto della banca d’affari e della camicia su misura; il palazzo tutto-vetro del nuovo Corriere non è un palazzo qualunque: opera dello studio Passarelli, 1964, costruzione già lodata da Bruno Zevi, è una sorta di casa sulla cascata appoggiata su una banca, oppure, in alternativa, una Torre Velasca caduta da molto in alto, rattrappendosi un po’ nel suolo; è un dadone di cristallo scuro su cui sono appoggiati attici fioriti, sfalsati, fuoriasse, di cemento armato. Qui, già tutto pronto: spunta subito una rete wi-fi “Rcs-Guest”, segno che le infrastrutture ci sono già; al famoso piano seminterrato, visibile dalla strada, si vedono forati e foratini e barattoli di vernice “Fassa Bortolo”, e si vede che si procede spediti coi lavori, mancano solo tre settimane. “Scia” regolamentare attaccata alla parete, direttore dei lavori un arch. Gabriele Napolitano; consegna prevista il 6 luglio, ma si sa che i tempi in queste cose si sforano sempre.
E a qualcuno potrà anche far comodo, qui: accanto, la storica sartoria Tommy e Giulio Caraceni, dove andava l’Avvocato; per redattori nostalgici o dandy; poco più in là, il liceo Tasso, dove studiano e okkupano classi dirigenti romane; dunque diversi adolescenti già terrorizzati per la vicinanza genitoriale; poi una yogurteria, giudicata buona e dietetica; un negozio Driade, un Banco Desio; pare d’essere a Milano. Cdr spaccato: alcuni entusiasti, soprattutto quelli del quadrante Roma Nord, che planeranno dalla Salaria dimezzando percorrenze; stigmatizzano invece quelli del Centro e di Prati; quelli che a piazza Venezia andavano a piedi, atterriti dalle salitone per arrivare quassù. Spazi ariosi, in definitiva. Forse non abbastanza per ospitare il Napoleone di Canova. E non ci sarà l’altana per fumare. Però molte pareti vetrate: anche da tutte queste sale sottostrada, si vedrà tutto; da sotto, in fondamentali riunioni di redazione, si vedranno tanti cani al guinzaglio passeggiare, e soprattutto tante macchine. Un po’ come Madame Mère dal suo bussolotto su piazza Venezia, forse.